GRUPPO: IRON MAIDEN
TITOLO: Senjutsu
ANNO: 2021
ETICHETTA: Sanctuary Records
GENERE: Heavy Metal/NWOBHM
VOTO: 8/10
PAESE: Inghilterra
E così, dopo una lunga attesa è finalmente uscito il diciassettesimo album in studio degli Iron Maiden! C’è da dire che con il passare degli anni, la mitica band britannica ci ha sempre più abituati a farci attendere sempre più a lungo un loro lavoro con materiale inedito: si era partiti con intervalli di anno dopo anno, poi due anni, tre anni, quattro anni, cinque anni e infine sei per la neonata creatura che porta il titolo esotico ‘Senjutsu’. A loro discapito però, questa volta la volontà della band c’entra ben poco perché, anche in questo caso, la pandemia ci ha messo del suo: stando infatti ad alcune dichiarazioni dei componenti della band le registrazioni erano già terminate nell’ormai lontano 2019.
Come ci rivela il titolo (Senjutsu è un termine giapponese che significa “tattica o strategia” – n. d. r.) e la splendida copertina, l’album ha come tema portante la cultura dell’antico Giappone e le guerre dei Samurai. Chi conosce bene la carriera della band, avrà notato che questo tema li ha sempre affascinati: basti pensare alla copertina dell’ EP ‘Maiden Japan’ (1981), il testo di “Sun and Steel”, oppure il tatuaggio sul braccio del batterista Nicko McBrain.
Ma che album è ‘Senjutsu’ ? ‘Senjutsu’ non è altro che la continuazione di un percorso che loro hanno intrapreso a partire dall’alba del corrente millennio, da ‘Brave New World’ (2000) per intenderci, ovvero dalla famosa reunion con i rientri di Bruce Dickinson e Adrian Smith. Un percorso che vede la band sempre più orientata verso un metal progressive e sempre più lontana dal vecchio classico NWOBHM, con il quale iniziarono ormai più di quarant’anni fa! Sempre più presenza di canzoni lunghe e arzigogolate, sempre meno quella di canzoni corte e veloci. Questi sono gli Iron Maiden del nuovo corso, prendere o lasciare. ‘Senjutsu’, come tutti gli album del post reunion, probabilmente piacerà a tutti i fedelissimi della band che apprezzano ogni loro proposta e tutti coloro musicalmente aperti a diverse tipologie del mondo Rock, altresì farà storcere il naso a molti puristi prevalentemente legati a un Metal vecchio stampo. C’è da dire, in tutta onestà, che la band simboleggiata dall’eterno Eddie ha sempre composto ad ogni loro disco almeno uno o due pezzi con strutture più elaborate: non è infatti mai stato un mistero che il loro bassista leader e maggior compositore, Steve Harris, è sempre stato un grande ammiratore di band esponenti del Rock Progressive come Jethro Tull e Genesis, è solo che questa caratteristica si è sempre fatta più marcata nel corso degli ultimi due decenni. ‘Senjutsu’, nello specifico, è un album che, come i precedenti, è un alternarsi di novità e rimandi al passato soprattutto recente, tutto ciò senza perdere la loro stilistica di base inconfondibile: i loro riff, i loro assoli, le loro melodie!
I tamburi nipponici di guerra scanditi dalle percussioni di un sempre impeccabile Nicko Mc Brain introduce la title track, “Senjutsu”, scelta come traccia di apertura (“Beat the warning the sound of the drums” – n. d. r.): il brano è piuttosto atipico per essere un brano degli Iron, ma ancor più per essere un’ opener. I ritmi sono blandi ma i riff risultano comunque graffianti, le sue liriche narrano dell’arte di combattimento nell’antico Giappone, per cui la canzone ha un incedere imperioso e Dickinson sembra recitare un comizio di chiamata alle armi! Il brano è interessante ma, allo stesso tempo, si ha la netta sensazione che nel prosieguo dell’album ci sarà di meglio.
“Stratego”, il secondo singolo già noto prima dell’uscita del disco, è diretta e immediata. L’intro è un riff dai suoni orientaleggianti che ci fa tornare alla mente l’intro del ritornello della mitica “Powerslave”: l’accompagnamento è dato dalla loro inconfondibile galoppata, il ritornello è accattivante e coinvolgente, anche se la melodia risulta già sentita in altri loro brani precedenti. Le tematiche del testo sono più o meno le stesse della precedente “Senjutsu”, difatti i due titoli, seppur in lingue diverse, hanno lo stesso significato: tali tematiche sono presentate anche nel videoclip sotto forma di cartone animato surrealista.
“The Writing on The Wall”, primo singolo uscito ancor prima che si conoscesse titolo copertina e tracklist del platter, risulta uno dei singoli più atipici che la band abbia mai pubblicato, dati i suoi ritmi cadenzati e un sound tra il Folk e il Southern Rock, con i soli della parte centrale alquanto ispirati. Fin dall’uscita, la traccia è accompagnata da un videoclip-cortometraggio animato, ambientato in uno scenario post apocalittico nel quale ogni fan si può sbizzarrire nel notare numerosi riferimenti sulla carriera della band!
Ed eccoci a “Lost in a Lost World”, la prima canzone scritta dal solo Steve Harris, nonché la prima dalla struttura elaborata. La prima parte è un connubio tra il synth, riff di chitarre acustiche e voce di Bruce dalle atmosfere cupe ed eteree, poi la canzone si fa decisamente aggressiva sia nei riff che nel cantato: vi sono diversi cambi di passaggi tra riff, fraseggi, assoli e parti cantate, che tendono a ricordare i Maiden degli anni ’90.
“Days of Future Past”, ispirata al film Costantine (2005), con i suoi quattro minuti è la canzone più breve dell’intero album. Oltre a “Stratego”, è l’altro pezzo immediato, ma qui le chitarre risultano leggermente più potenti: notevole il pathos del ritornello.
Una intro di “talismaniana” memoria introduce “The Time Machine“, altro brano dalla struttura complessa che quando entra nel vivo ripresenta scambi di riff, fraseggi e cavalcate dalle melodie tipicamente maideniane. La traccia, scritta dal solito Harris, si avvale anche della collaborazione di Janick Gers, il quale conferma le sue ottime doti compositive.
Il secondo disco, per chi ha acquistato la versione in CD, si apre con “Darkest Hour”, canzone dedicata alla figura di Winston Churchill (Churchill-Iron Maiden. Vi ricorda qualcosa ?…), storico primo ministro britannico all’epoca del secondo conflitto mondiale, tant’è che il titolo è il medesimo del biopic cinematografico. Si tratta di una splendida e ispirata power ballad che ricalca in pieno lo stile del Bruce Dickinson solista, compositore del brano assieme ad Adrian Smith: difatti quest’ultimo è stato anche chitarrista e collaboratore compositivo di Dickinson per gli album ‘Accident of Birth’ (1996) e ‘The Chemical Wedding’ (1998).
E così arriviamo al trittico finale: tre canzoni firmate esclusivamente da Harris, tre canzoni che superano i 10 minuti, tre canzoni epiche e dalla struttura progressive!
Si parte con “Death of The Celts”, un pezzo che personalmente mi ha molto colpito sia per la qualità compositiva, sia per le tante peculiarità, a cominciare dall’introduzione che ci riporta alle atmosfere oscure di ‘A Matter of Life and Death’ (2006), dopodiché, un riff arpeggiato in stile menestrello medievale accompagna il cantato a filastrocca di Dickinson, tanto da far sembrare la prima parte del brano un vecchio canto popolare folcloristico. Il testo della canzone parla dell’antica civiltà dei celti, vissuta tra il V e III secolo a.C., mentre i “menestrelli” del trio Smith-Murray-Gers si trasformano in vere chitarre elettriche e la filastrocca cresce di intensità. La seconda parte, invece, è quasi tutta strumentale e ripropone le sonorità dell’album ‘Powerslave’ (1984): in particolare le tracce “Losfer Words”, “The Rime of The Ancient Mariner” e “The Duellists”. Il finale ha una chiusura circolare.
“The Parchment”, forse il pezzo più riuscito di tutto il platter, di sicuro il più lungo, ha un intro dalle atmosfere arabesche, mentre quando si entra nella parte cantata sembra riproporsi una “The Book of Souls” bis accompagnata da un riff che ricorda vagamente quello di “To Tame a Land”. Il seguito è un alternarsi di riff, fraseggi, parti cantate e assoli dalle melodie che difficilmente lasciano indifferenti e che tocca picchi d’intensità nel finale della parte cantata, prima di regalarci una sorprendente sezione strumentale molto heavy per poi chiudersi con l’outro che si ricollega all’inizio del brano.
L’album si chiude con “Hell on Earth” che ha l’ennesima introduzione scura ed evidenti rimandi a “The Clansman”: è del trittico finale di Steve Harris probabilmente quella meno complessa e più lineare. Si tratta di un brano che rappresenta in pieno le loro caratteristiche: dinamica e melodica nella prima parte, mentre nella seconda parta rallenta decisamente i ritmi.
Ho scoperto e cominciato ad amare gli Iron Maiden proprio in quel periodo della loro carriera nel quale il loro apice artistico era appena ma già trascorso, a partire da ‘No Prayer For The Dyng’, ho visto uscire ogni loro pubblicazione e probabilmente questo è stato determinante per far sì che mi affezionassi anche a molti album che sono trattati con forse eccessivo snobismo o severità: perciò ho sempre trovato ingeneroso e poco corretto giudicare un loro lavoro confrontandolo con quelli che secondo me sono le vere “sette meraviglie del mondo”, da lì ogni album va giudicato per quello che è senza paragoni scomodi. Se prendiamo in considerazione tutto il periodo del post reunion, ‘Senjutsu’ è uno dei loro album più omogenei dal punto di vista qualitativo, non ha punti bassi anche se non ha gli stessi picchi di una “Dance of Death” o una “Empire of The Clouds”: magari molti non concorderanno su alcune tracce che hanno riscosso più consensi come ad esempio una “Darkest Hour” o “The Parchment” e forse neanche io ne sono poi così convinto. Le grandi band che hanno fatto la storia sono come le donne belle e gli uomini belli: raggiungono il massimo della loro bellezza in gioventù, il massimo del loro fascino quando maturano per poi invecchiare inesorabilmente, però c’è chi invecchia più precocemente e chi lo fa mantenendosi bene e gli Iron Maiden si mantengono ancora benissimo e in splendida forma!
Tracklist:
Disc 1
1) Senjutsu
2) Stratego
3) The Writing On The Wall
4) Lost In A Lost World
5) Days Of Future Past
6) The Time Machine
Disc 2
1) Darkest Hour
2) Death Of The Celts
3) The Parchment
4) Hell On Earth
Lineup:
Steve Harris: Bass / Keyboards / Backing Vocals
Bruce Dickinson: Lead Vocals / Piano
Adrian Smith: Guitars
Janick Gers: Guitars
Dave Murray: Guitars
Nicko McBrain: Drums
Simone Usai