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Interviste SOMMARIO

LUCIANO BOERO (LOCANDA DELLE FATE): L’infinito mondo delle Lucciole!

“Non credo sia un caso, Raffa”. Le mie parole, pronunciate pochi mesi, mi tornavano in mente improvvisamente, nel momento in cui il telefono di Luciano Boero squillava: mi riferivo al fatto che ogni estate condivisa con Raffaele ci trovava sempre uniti nelle scelte di ascolto critico che, come ogni cosa di valore nella vita, deve essere approfondita nella ricerca di qualcosa sempre più profondo e importante. La stessa appassionata ricerca, stavolta, ci trovava concordi nell´amare profondamente la Locanda delle Fate.“Non è un caso se ogni estate ci troviamo a parlare di gruppi prog e condividiamo, in perfetta sintonia, i nostri gruppi preferiti. Primo fra tutti, la Locanda delle Fate. Se ricordi, anni fa iniziammo con i dischi dei Genesis e dei King Crimson, e ora ci troviamo con la Locanda… non è una coincidenza, caro Ralph”.

Lascio immaginare, al lettore, lo stato d´animo misto di gioia e senso di responsabilità che ho provato al momento della scelta delle domande da porre a Luciano Boero, bassista nonchè uno dei fondatori della Locanda delle Fate, e al momento in cui mi è stata concessa la possibilità di contattarlo per condurre l´intervista personalmente. Nella scelta delle domande dell´intervista che segue, in esclusiva per Vero Rock Italia, ho cercato di scoprire ogni sfaccettatura di un´artista che, nell´arco di 40 anni, ha vissuto le più variegate fasi della propria carriera artistica, come lo stesso Boero ha brillantemente raccontato nel suo “Prati di Lucciole per Sempre” (Araba Fenice Ed.), in seno a una delle band che incarna perfettamente i propositi più impegnativi del prog italiano, a partire dalla cura dei testi, al significato profondo degli stessi, per finire con la ricerca delle melodie. Conserverò sempre tra i ricordi più cari la copia del suo libro, con dedica autografata dall´autore alla fine del concerto a Martirano Lombardo del 07.08.2017, così come ho gelosamente incorniciato il vinile di “Forse le Lucciole Non si Amano Più”, autografato da tutta la band, esposto come un quadro “appeso al vento”.

Ciao Luciano, innanzitutto ti ringrazio infinitamente per la possibilità che mi stai concedendo!
(Luciano):”Ciao Marco, è un piacere, grazie a te!”

La prima domanda che vorrei porti è: quanto ha influito, la formazione così variegata del gruppo, nella realizzazione dell’lp “Forse le Lucciole Non si Amano più”(1977)?
(Luciano):”Bella domanda… diciamo che la Locanda delle Fate ha la peculiarità di avere nel gruppo la doppia tastiera. Questa esigenza rappresentava un po’ il nostro intento, quello di avere l’accoppiata pianoforte acustico e hammond, tipico dei gruppi quali Procol Harum e di altre band inglesi che univano queste sonorità. Michele conta si unì a noi proprio perché eravamo alla ricerca di un pianista. E a seguito del suo ingresso nel gruppo abbiamo anche avuto modo di scoprire il suo grande talento da compositore. E da lì è nata la nostra storia nella realizzazione del disco “Forse le Lucciole Non si Amano più””.

Cosa provi ad aver realizzato, a detta di molti nonché secondo le recensioni più autorevoli, un capolavoro del prog, nonostante le vendite non proprio entusiasmanti del momento dell’uscita dell’lp?
(Luciano):”Molti ci domandano: “Eravate consapevoli che stavate realizzando un capolavoro?”. Io rispondo sempre che eravamo consapevoli di aver realizzato qualcosa che ci piaceva, che trovavamo grandiosa. Tutti noi eravamo impegnati a suonare semplici cover delle canzoni degli Yes, Genesis, dei Gentle Giant. E comporre musica che ci piaceva allo stesso modo delle cover che suonavamo, ci dava una enorme gratificazione e facevamo le ore piccole in cantina a provare e riprovare a loop un giro, che poi sarebbe diventato “Profumo di Colla Bianca”. Quando suonavamo, la cantina, da bugigattolo, diventava una realtà grandiosa. Posso dirti che eravamo consapevoli di aver realizzato un´opera importante, al di là della possibilità di pubblicare il disco e dell’eventuale successo artistico.”

Ti sei mai pentito di non aver cambiato orientamento musicale? Quanto è stata coraggiosa la scelta di ignorare i cambi di tendenza musicale di fine anni ’70 (penso alla dance, al punk o all’hard rock – n. d. r.)?
(Luciano):“Mi sono pentito nel momento in cui, nel 1978, la Polydor pose la locanda dinanzi a un bivio: “o fate qualcosa di commerciale o, ragazzi, non contate più sulla nostra collaborazione”. Noi optammo per il 45 giri (contenente “New York” e “Nove Lune”), confidando di trasformarci un po’ come anche le altre prog band inglesi stavano già facendo. Credo che, se avessimo continuato a credere nella nostra musica, magari avremmo potuto continuare la nostra fase di notorietà, magari rivolgendoci a un pubblico più di nicchia, mostrando comunque coerenza con le nostre scelte artistiche. Il nostro breve cambiamento in direzione della musica più commerciale, invece, ha provocato lo scioglimento del gruppo, perché non tutti eravamo d’accordo con le nuove tendenze. Per me, è un grande rincrescimento.”

Quanto l’opera d’arte può essere legata al momento storico e artistico in cui viene concepita? Penso a “Aria” di Alan Sorrenti e alla successiva “Figli delle Stelle”, qual è il tuo punto di vista a riguardo?
(Luciano):“Il paragone che hai scelto è proprio calzante. Il “vecchio incensiere” come lo chiamo io, personaggio sempre controcorrente che, improvvisamente, da quella fase sperimentale diventa quanto più becero dal punto di vista commerciale, con tutto il rispetto per chi dalla musica ci deve vivere. E´ figlio della moda. A quell’epoca la moda impose, agli artisti, il cambio di tendenza musical. Una band o faceva lo switch o tornava in cantina. La moda di pochi anni precedenti, invece, agevolava proprio la realizzazione di grandi opere del prog italiano (che prima si chiamava “rock romantico”). Nelle sale da ballo non c’era il D.J., ma il gruppo che suonava dal vivo e c’era gente che frequentava i locali proprio per ascoltare la musica. La tendenza del momento creò proprio l’ambiente adatto per far sì che molti gruppi nascessero, non solo la Locanda delle Fate.

Come è possibile che, dalle ceneri di un gruppo beat, possa sorgere un complesso prog? Penso a i Quelli / PFM, Jplep / Nuova idea, D. Stratos con i Ribelli e gli Area…
(Luciano):“Si trattò quasi di una tappa obbligata, perché negli anni ’60 beat era di tendenza. Successivamente, negli anni ’70, gli artisti preparati passarono a fare prog rock, un genere più impegnativo. Recentemente ho avuto la fortuna di incontrare nuovamente Giorgio “Fico” Piazza (bassista, storico fondatore della PFM – n. d. r.) il quale mi parlava della sua esperienza con i Quelli e con la prima PFM. Nel confrontarci sui brani che hanno ispirato la nostra formazione, facciamo riferimento alle stesse canzoni: possiamo pensare che siamo tutti figli della stessa musica, siamo tutti cresciuti con la stessa musica. “La Carrozza di Hans”, nella parte centrale, è esattamente la celeberrima “21st Century Schizoid Man” dei King Crimson, e loro stessi non lo negano.”

Mi viene in mente anche una certa assonanza tra un pezzo dei Maxophone e “Tarkus” degli Emerson, Lake & Palmer.
(Luciano):“Tutti i gruppi italiani avevano fatto esperienza su cover di gruppi inglesi, o quantomeno li avevano ascoltati approfonditamente.”

Vorrei la tua opinione riguardo a quel diffuso senso di diffidenza nei confronti di quei musicisti non impegnati politicamente: quale è il tuo punto di vista?
(Luciano):“C’erano anche degli artisti collocati politicamente senza un preciso motivo, penso a Lucio Battisti e a tanti altri. La militanza politica era una cosa frequente negli anni ’70, e la cultura stessa era considerata appannaggio quasi esclusivo della sinistra. I gruppi musicali, proprio per questo motivo, dicevano di essere di sinistra e credo che molti musicisti abbiano scelto di schierarsi politicamente per avere un successo maggiore. Lo stesso Giorgio Piazza mi diceva, proprio in riferimento agli Area che si presentavano sul palco con il pugno chiuso (con i quali ha anche suonato più volte), ma quanto poteva interessare la politica a Demetrio Stratos, che era anche greco? Noi locandieri ci presentavamo come musicisti e volevano unicamente suonare, ma puntualmente ci ritrovavamo costretti a ammiccare a una certa tendenza politica.”

Doveroso anche il riferimento alla vicenda che riguardò i Museo Rosenbach…
(Luciano): “Un caso proprio all’opposto rispetto a quello che dicevamo prima. I Museo Rosenbach, per una copertina che non so neanche quanto sia stata frutto delle scelte del gruppo, sono stati banditi da ogni evento perché etichettati come gruppo di “destra”.”

Come è possibile spiegare l’attuale rinascita (o riscoperta) del prog italiano anni ’70? E Quanto hanno possono influire le nuove frontiere digitali nella composizione musicale?
(Luciano): “Credo che il prog, come tutta la musica d’ascolto, non stanchi mai. Anzi, un brano prog, proprio per la sua costruzione o per la sua struttura, per gli arrangiamenti e per l’intreccio degli strumenti, sia un genere che ha sempre qualcosa di nuovo da offrire, per cui far appassionare il pubblico. Negli anni ’70 i brani nascevano in cantina, appannaggio quasi esclusivo del gruppo, come una tana per i musicisti. Era una specie di fucina di canzoni. All’epoca, proprio per la strumentazione allora disponibile, non c’era assoluta-mente la possibilità di registrare e sovrapporre, per cui si andava di fantasia e di immaginazione, e di prove e riprove di pezzi e di parti delle canzoni. Ora, con l’avvento del digitale, c’è addirittura la possibilità che 4, 5 componenti di un gruppo possano registrare in vari luoghi del mondo, a distanza tra loro. Viene meno, tuttavia, la sinergia del gruppo e l’empatia tra i componenti, al momento della composizione. Secondo me, ben vengano le nuove possibilità del digitale, purchè sia composto qualcosa di veramente valido, perché spesso mi trovo a ascoltare qualcosa di recente, purtroppo poco originale, secondo me.”

Avresti dei suggerimenti da rivolgere a gruppi prog emergenti?
(Luciano): “L’unico suggerimento che mi sentirei di dare è di curare la melodia. Sembra come se, attualmente, la melodia sia qualcosa di secondo ordine. Ascolto i dischi delle nuove prog band e dal punto di vista tecnico suonano perfettamente. Si notano scale, fraseggi, stacchi strumentali, tempi dispari, ma non emerge la melodia. Credo che se chiedessi agli stessi componenti della band di canticchiarmi un pezzo loro, magari non ci riuscirebbero neanche. Prendo la Locanda delle Fate solo per fare un esempio facile. La Locanda ha delle melodie che ritengo molto valide. E, soprattutto, sempre ben distinte tra loro, non c’è mai l’improvvisazione. Quindi direi a un gruppo emergente di prendere esempio dai classici e di curare la melodia. I Beatles, per esempio, sono solo melodia.”

E’ possibile fare un parallelismo tra le radio indipendenti di fine anni ‘70/’80 e l’attuale piattaforma digitale Youtube?
(Luciano): “Su Youtube non c’è filtro nei contenuti, a differenza delle radio indipendenti, la cui programmazione veniva selezionata da un D.J. Stesso discorso vale per la produzione dei dischi. Prima era una casa discografica a scegliere cosa far incidere e pubblicare, adesso -invece- chiunque può fare musica e divulgarla su Youtube e addirittura venderla. Nessuno può sapere se sia un bene o un male.”

Intraprenderesti mai un progetto tipo Stefano Galifi con il Tempio delle clessidre?
(Luciano):” No, non lo farei. Mi sentirei più propenso a una collaborazione “fuori scena” con giovani musicisti. Magari, passando loro i testi o musiche inediti, composti negli anni.”

Se il vostro Lp Forse le Lucciole è considerato il canto del cigno del prog italiano anni ’70, l’ultimo concerto della Locanda del 09.12.2017 può essere considerato il decesso del cigno chiamato prog?
(Luciano):” No (ride…) no… il prog andrà avanti perché ci saranno altri gruppi a continuare la tradizione. L’evento del 09.12.2017 può essere considerato come il canto del cigno dei live della Locanda delle Fate. Non mi sentirei di escludere un nuovo disco in futuro, ma sicuramente niente più live.”

Cosa proverai la mattina del 10.12.2017 (il giorno dopo il loro ultimo concerto d’addio – n. d. r.)?
(Luciano):” Bella domanda, questa (ride…). Continuo a dire anche ai miei compagni di viaggio della Locanda che la chiusura ai concerti deve essere considerato un momento di gioia, come un viaggiatore che raggiunge la propria meta. Il paragone che faccio sempre è con il cammino di Santiago, che ho fatto qualche anno fa. Quando si giunge all’ultimo colle, la vista è immensa, nonostante la sottile malinconia che si prova. Con la Locanda sarà così, con 4 componenti originali, nonostante l’età! Il 10.12.2017 credo che proverò un’enorme soddisfazione, non sarò triste, ma profondamente compiaciuto.”

La Locanda delle fate rientra tra le prog band italiane che vantano un nutrito seguito in tutto il mondo (es. Giappone in cui ha una cover band – n. d. r.), al punto che molti giovani, oggi, citano la Locanda tra le proprie influenze artistiche. Cosa ti senti di dire in merito? Se qualcuno te lo avesse preannunciato nel lontano 1977, cosa avresti risposto?
(Luciano):” Non l’avrei mai potuto immaginare. Così come non avrei mai potuto immaginare di poter avere così tanti ammiratori in giro per il mondo. Ti racconto un aneddoto. Come sai, siamo di ritorno dal Brasile in cui abbiamo fatto due date. Ci trovavamo nei pressi della location del secondo concerto, e guardavamo uno di quegli enormi tabelloni con la pubblicità scorrevole posta ai margini delle superstrade. Ogni due minuti compariva il banner del nostro concerto, con la nostra copertina con la lucciola. Mi ricordo di aver detto proprio a Oscar Mazzoglio“ma tu, nel ’77, avresti mai detto che la nostra copertina sarebbe stata su un enorme tabellone, a Rio de Janeiro?” e lui ha risposto: “Ma soprattutto, con noi proprio a Rio a guardarla!”. E questo aneddoto dice tutto. Abbiamo scoperto tutto, strada facendo, poco alla volta.”

Se il vostro lp “Forse le Lucciole…” fosse stato composto e pubblicato agli inizi degli anni ´70, sarebbe cambiato qualcosa per la band?
(Luciano):” Sicuramente si, anche se la domanda che mi hai fatto è impropria, perché noi nel 1970 non eravamo ancora pronti a comporre un disco come “Forse le Lucciole”, perché il nostro primo Lp può essere inteso come un concept album che racchiude tutte le migliori influenze del genere, una sintesi del prog rock italiano. Nel comporlo, abbiamo raccolto ogni influenza che ci piaceva. Se avessimo fatto un disco nei primi anni del’70, sarebbe sicuramente nato qualcosa di differente rispetto a “Forse le Lucciole”, più simile ai primi dischi dei Led Zeppelin o dei Deep Purple. In ogni caso, credo che non avremmo avuto qualcosa in meno rispetto alle prime tre band più importanti del prog italiano.”

E se il disco in questione fosse stato composto in inglese?
(Luciano):” Credo che non sarebbe cambiato nulla, perché all’estero il pubblico vuole sentire cantare in italiano. Persino in Giappone, dove la lingua non è affine neanche nei suoni (a differenza del Messico o Brasile), amano il cosiddetto “Italian sound”. I riferimenti alla tradizione operistica italiana lasciano il segno anche in quei Paesi.”

Come è possibile far convivere artisticamente, in uno stesso complesso, musicale membri fondatori e nuovi elementi? Il pensiero è rivolto a Maurizio Muha e alla sua sequenza circolare.
(Luciano):” Diciamo che Maurizio Muha è un musicista prog, che già faceva parte di una cover band della PFM. Lo stesso dicasi per Max Brignolo che pur essendo un chitarrista hard, è da sempre un fan della Locanda, sin da quando -ragazzino con i pantaloni corti- venne a sentirci suonare nel 1977. Il loro ingresso nel gruppo è stato immediato perché si sono adattati benissimo, fondendosi perfettamente con noi membri “storici” del gruppo.”

Vorrei la tua opinione riguardo alla “seconda” generazione del prog e l´uscita del disco Homo Homini Lupus del 1999. E´ possibile un parallelismo tra il disco menzionato e 90125 degli Yes del 1985?
(Luciano):” Credo che la seconda generazione del prog faccia riferimento a quei dischi di inizio anni ’90. In quel periodo abbiamo ascoltato qualcosa di molto bello. In quel periodo, tutti noi facevamo altro. Homo Homini Lupus è stato un disco studio molto desiderato da Ezio Vevey, che ha curato l’arrangiamento e la gran parte dei testi presenti nell’lp. L’abbiamo composto cercando di realizzare qualcosa di rock, senza voler dare un seguito al nostro disco d’esordio. Venivamo tutti da quell’esperienza brutta di aver composto qual-cosa di commerciale, immediatamente dopo Forse le LuccioleHomo Homini Lupus è un disco nato per non essere mai suonato dal vivo, infatti contiene molte sovraincisioni, ci sono delle corali, addirittura in alcuni punti c’è una banda. In quel periodo sono nati molti gruppi interessanti che hanno portato avanti il discorso del prog. Ne penso tutto il bene possibile. Credo che se oggi si parla ancora di prog, il merito sia anche loro. Altrimenti sarebbe come visitare un museo degli anni ‘70.”

Eh, un bel “Museo” però…
(Luciano):” nessun riferimento ai Museo Rosenbach, intendiamoci.”

Chi conosce adeguatamente il prog non può che provare un certo senso di diffiden-za verso la musica elettronica, ritenendola non troppo originale (vedasi Lanzetti con il glovox e si pensi a gruppi quali Automat / Paradiso dei Robot / Alberto Camerini nelle sue partecipazioni). Può ritenersi una coincidenza che proprio i Paesi del sol levante, al momento, risultino i più appassionati di prog italiano e non? Quasi un abbandono dell´elettronica più esasperata per un ritorno “alle origini”?
(Luciano):” Le correnti sono due, da una parte chi vorrebbe lo stesso suono “naturale” tipico degli anni ’70 (pianoforte acustico, hammond, chitarra, basso non troppo “pedalato”, flanger, mellotron) e chi dice che il prog sia sperimentazione e che quindi anche gli strumenti debbano evolversi. Credo che se i King Crimson avessero avuto a disposizione le tastiere moderne, non avrebbero certo utilizzato il mellotron, ma degli strumenti più moderni. Credo che entrambe le visioni siano condivisibili, anche se non mi soffermerei tanto sull’uso dell’elettronica, ma porrei l’attenzione al risultato. Se c’è quella cura nel suono, come quella che c’era negli anni ’70, ben venga l’elettronica. Non condivido, invece, quel suono elettronico stereotipato che ascolto spesso in altri generi musicali. Quando ascolto nuovamente quei tappeti di archi come In The Court Of The Crimson King, mi vengono i brividi ancora oggi perché mi dà l’idea di un’orchestra infinita che suona. Se questa sensazione me la trasmette uno strumento elettronico, ben venga. L’opinione mia è che il suono tradizionale degli strumenti sia, in ogni caso, irraggiungibile.”

Quanto ha influito la tradizione del cantautorato italiano nei testi ricercati tipici del prog italiano?
(Luciano):” Non so quanto il cantautorato italiano abbia influito nella ricerca dei testi dei gruppi prog anni ’70, perché i grandi cantautori sono nati successivamente. Mi riferisco a De Gregori, a Ivan Graziani. Vero anche che, al momento della nascita della Locanda, De Gregori già cantava “Alice”. In realtà, noi della locanda ci siamo ispirati molto agli autori inglesi, ai Procol Harum per esempio, che sono stati i primi a inventare quelle metafore oniriche e quei testi così suggestivi, come in White Shade Of Pale. Soprattutto ci ispiravamo ai King Crimson e ai testi di Peter Sinfield, che faceva quei testi con quelle immagini meravigliose, che tutti noi traducevamo in italiano, e scoprivamo che si legavano perfettamente alla musica. Non proprio come quelle canzonette con la semplice rima baciata.”

Tra i gruppi ispiratori della Locanda c´è anche qualche band italiana? O la vostra attenzione era rivolta unicamente ai complessi d´oltremanica?
(Luciano):” La nostra attenzione era tutta rivolta ai gruppi d’oltremanica. Vero che abbiamo anche ascoltato e suonato con gruppi italiani e siamo tutti appassionati della musica dei primi album della PFMPer un Amico, per esempio, per me è stata una rivelazione. Credo che quel disco incarni perfettamente l’idea di prog. Stesso discorso vale per il Banco del Mutuo Soccorso. Più che ispiratori, credo che questi gruppi siano stati per noi degli esempi di come si può suonare del prog italiano di evidente ispirazione dei grandi gruppi inglesi, che amavano profondamente.”

Quanto sono legati, alla realtà quotidiana, i vostri testi? E fino a che punto si tratta di metafore oniriche?
(Luciano): ” Abbiamo sempre detto che i nostri testi sono ispirati alla fuga dalla realtà. La nostra idea è che solamente tramite il sogno noi avremmo potuto trovare qualcosa di vero dentro di noi e la forza di proseguire nelle nostre aspirazioni e ambizioni. Quando ne parlo con Alberto Gaviglio, lui dice sempre di aver scritto i testi che gli venivano di getto in quel momento. Questa cosa credo gli faccia onore perché vuol dire che viveva proprio la sensazione che esprime quella canzone. Solo chi ci riesce realmente può essere, a mio parere, definito artista. Chi, invece, ci rimugina troppo può essere definito solo un bravo mestierante, ma nulla di più.”

Quanto si è rivelato azzeccata l´idea del personaggio di Estumno, ora che l´artista Boero è giunto alla maturità artistica?
(Luciano): ” Mi trovo perfettamente con la descrizione di questo personaggio che ho inventato nel 1977. Allora ero un trentenne che vedeva il momento del pensionamento come qualcosa di lontanissimo, forse come lo vedi tu in questo momento, forse anche di più visto l’innalzamento dell’età pensionabile (ride).”

Irrealizzabile proprio, forse…
(Luciano):” Nel momento in cui la scrivevo mi trovavo in una fabbrica occupata e l’idea di poter sfuggire da quella fabbrica che mi toglieva le ore più belle della giornata era qualcosa che mi dava un’idea di liberazione, ma già intuivo che nel momento in cui ci sarei arrivato, non l’avrei certamente vissuta come me la immaginavo all’epoca. Come nel sabato del villaggio. Vivevo proprio la sensazione di muovere piano i passi, per non sciupare l’attimo di libertà. Ora mi trovo nella stagione invernale della mia vita e cerco di vivere il profondo valore di ogni cosa che mi capita, apprezzandola in ogni aspetto.”

Perchè intitolare una triste canzone dedicata a una bambina deceduta “Cercando un Nuovo Confine”?
(Luciano):” Una domanda che andrebbe posta a Gaviglio. Lui ebbe la visione della morte non intesa come la fine della vita, ma quale realizzazione di cose bellissime, anche per una bambina che non ha avuto il tempo di vivere la propria vita. Alberto dice sempre che ha scritto i testi di un´immagine che gli era venuta in mente, senza voler realizzare un discorso relativo all’aldilà. “Cercando un Nuovo Confine” è un titolo estrapolato dal significato del testo.”

Personalmente, è la mia canzone preferita dell’lp.
(Luciano):” Anche Giorgio Gardino la pensa così. Si può pensare che un batterista preferisca sogno di Estumno perché contiene delle sezioni di batteria corpose, invece lui dice sempre che la sua preferita è cercando un nuovo confine. E’ un brano tardo locanda, nel senso che è uno degli ultimi brani che facemmo nel 1977, lo finimmo immediatamente prima della registrazione di “Forse le Lucciole” e ci piaceva molto, al punto da preferire questa canzone a la Giostra” per motivi di spazio nel disco. E lasciammo fuori anche “Crescendo”.”

Per lo stesso motivo ti ho chiesto, dopo il concerto a Martirano Lombardo, di scrivermi “Cercando un Nuovo Confine” nella dedica del tuo libro.
(Luciano):” Mi ricordo… in quel momento mi son proprio chiesto “ma perché ha voluto cercando un nuovo confine come dedica ?”

Nel diario di bordo della Locanda (“Prati di Lucciole per Sempre”) ci lasci con un interrogativo. E´ possibile, giunti -purtroppo- alla fine del viaggio, rispondere al dubbio se è la “Locanda è stata la tua vita, oppure la tua vita è stata la Locanda?”.
(Luciano):” L’interrogativo non ha una risposta. Sono due cose state legate profondamente tra loro, anche se una delle due ha avuto varie battute d’arresto. La Locanda è stato uno degli amori della mia vita. La paragono a una donna, a un grande amore. E’ stata una delle cose più importanti della mia vita.”

Fonte: Intervista: Marco Francione – Foto: Raffaele Pontrandolfi

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