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JINJER – Duel
Anno 2025 – Voto: 7/10 *

Un album molto atteso questo dei Jinjer, giunti al quinto full length a quattro anni di distanza dal precedente “Wallflowers”. Originari dl Donetsk in Ucraina, zona tristemente nota per essere uno dei fulcri del conflitto russo-ucraino, i Jinjer sono un quartetto di modern metal che porta avanti una personale miscela di djent music, prog e deathcore, guidato dalla voce e dalla presenza carismatica di Tatiana Shmayluk, la quale mescola sapientemente growl e canto pulito, oltre a scrivere i testi delle canzoni.

L’apertura dell’album è affidata a “Tantrum”, un vero assalto sonoro sparato a tutta velocità, una sfida aperto, un duello. Schegge di ritmo ci colpiscono, mentre il ringhio di Tatiana ci trascina in un territorio di guerra, perchè di guerra si parla, in maniera manifesta o meno. Quando la nebbia radioattiva si dirada , la voce torna in primo piano ma pulita , estremamente delicata, Tatiana è un anti-star ed il suo canto muta per assecondare la narrazione. Ad accompagnarla un tris di musicisti incredibili , il basso di Eugene preciso, impeccabile eppure capace di far vibrare il nostro mondo emotivo in maniera inedita, Vlad alla batteria fonde le sue ritmiche con il basso, oltre ad essere il maggior compositore della band, mentre la chitarra di Roman fa da contrappunto, insieme sdoganano/creano una creatura musicale che usa i codici del progressive per diventere metal estremo, narrazione di una narrazione : “Such a loud premier will never happen again. Do not send me invitations anymore”.

In “Hedonist” il ritmo rallenta ma non il suono pesante che diventa come un macigno che schiaccia l’ascoltatore ad ogni passaggio. Il testo di Tatiana rivolto alla figura, appunto, dell’edonista, sembra interrogare, giudicare ed anche condannare chi è dedito al solo piacere personale, noncurante di tutto il resto, ed il canto è un alternarsi un po teatrale fra growl e clean. “Rogue” sembra quasi seguire lo stesso flusso ritmico. Il senso di continuità di quest’album sembra voler lasciare l’ascoltatore senza fiato , senza un attimo di tregua. “Rogue” è uno dei brani chiave dell’album, intransigente nel suo voler essere estremo. Un atto di denuncia verso le dittature, la propaganda su vasta scala che influenza le opinioni fino ad arrivare ad un vero lavaggio del cervello. Il brano, ossessivo e privo di melodia, raggiunge uno dei vertici musicali della band grazie agl’incredibili incastri ritmici in stile djent music.

“Tumbleweed” si riferisce alla terra di origine della band, attraverso la metafora di una tempesta che colpisce la propria casa. Anche il cantato pulito di Tatiana sembra contenere un eco da cantilena popolare ucraina, alternato ad un growl su frequenze molto basse. “Green Seprent” è un altro brano cardine di questo “Duel”, le dipendenze raccontate attraverso immagini e metafore anche bibliche. Il basso di Eugene diventa quasi liquido e la voce di Tatiana sembra spegnersi come in un ultima carezza: “The grapes are falling down”. La burocrazia che schiaccia l’uomo è un altro dei temi affrontati in questo album, il riferimento a “Il Processo” di Franz Kafka è più che evidente nel brano che si chiama appunto “Kafka”. Molto delle soluzioni musicali dei Jinjer riportano alla mente i King Crimson più rocciosi anche se apparentemente i mondi sembrano molto lontani, ma evidentemente i semi piantati dal classico progressive danno frutti ancora oggi. “Dark Bile” ci appare come un episodio un po’ più sbiadito nell’economia di quest’album, con soluzioni già ampiamente rivisitate, quindi si passa velocemente al brano seguente : “Fast Drew”, pura furia sonora, un growl aggressivo sostenuto da una pioggia di ritmi impazziti, come un magma che fuoriesce da un pozzo chimico intossicando tutta l’aria circostante. “Someone’s Daughter” si fa amare già dalle prime battute. Tatiana sembra una novella Amy Winehouse mentre la sua voce tesse la melodia di questa canzone che parla del mondo interiore della donna attraverso i secoli. La musica si affida ancora una volta al progressive e gli sviluppi del brano sono davvero coinvolgenti e ci avvolgono in una spirale ritmica fino a raggiungere quel climax drammatico che si sposa perfettamente alla narrazione. In coda al brano c’è il ritorno brutale del growl incorniciato da una perizia tecnica senza precedenti.

“A Tongue so Sly” ci riporta su soluzioni ritmiche e melodiche care ai Jinjer, forse uno dei pochi momenti in cui sembrano rifugiarsi nella “confort zone” di cose già sperimentate, ma è solo l’illusione di un attimo di tregua prima del duello finale: appunto la traccia che chiude l’album, la title track: “Duel”. Il brano parte davvero spedito con la voce ancora in clean, per poi trasformarsi con i primi break ritmici. Una musica mutante con Tatiana musa di una continua trasformazione sonica e testuale. Il duello interiore è lo specchio del conflitto esterno e viceversa. Un campo sterminato di guerra che parte dalle viscere dell’umanità per espandersi su tutto il pianeta creando un manto di sangue. Non c’è redenzione, ma solo interrogativi. Da dove può provenire la selvezza se non da se stessi? Solo combattendo con il proprio vecchio “io”, edonista, egosita , privo di scrupoli, si può vincere questo dualismo eterno: “The choice to heal or let revenge reside No painkillers I need I deserved it all indeed (Though) Though I’m down on my knees I have battled my old me”.

Duel potrebbe essere il “black album”’dei Jinjer , un lavoro duro, spigoloso, con poche concessioni alla melodia. Mancano momenti di contaminazione più accattivanti come negli album “Micro” e “Macro” oppure delle potenziali hit come era accaduto per brani come “Pisces” e “I Speak Astronomy” che hanno contribuito a far conoscere la band in tutto l’universo metal. Ed anche l’ascolto complessivo da parte di un neofita potrebbe risultare un po’ ostico e faticoso. Ma in compenso ci troviamo dinanzi un lavoro che ci mostra un ulteriore evoluzione tecnica e stilistica della band, cresciuta anche a livello di testi. Un lavoro, dunque, che potrebbe diventare seminale per i futuri scenari della musica metal e prog.e portare i Jinjer a diventare uno dei vertici della scena contemporanea.

Line-up: Tatiana Shmayluk: Vocals; Roman Ibramkhalilov: Guitars; Eugene Abdukhanov: Bass; Vlad Ulasevich: Drums.         

SCHEDA *

ANNO: 2025

ETICHETTA: Napalm Records

GENERE: Metalcore, Progressive Metal, Djent

VOTO: 7/10

PAESE: Ucraina

Tracklist:

1. Tantrum

2. Hedonist

3. Rogue

4. Tumbleweed

5. Green Serpent

6. Kafka

7. Dark Bile

8. Fast Draw

9. Someone’s Daughter

10. A Tongue So Sly

11.Duel

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