

Anno 2025 – Voto: 6,5/10 *
Ho scoperto i Blackbriar qualche anno fa, con il singolo “Snow White and Rose Red” brano favolistico in cui la voce incantevole della leader Zora Cock duettava con la soprano ospite Ulli Perhonen. In seguito ho approfondito con l’EP “We’d rather burn” piccolo gioiello che racconta storie di streghe e sirene in una chiave sinfonica e metal, senza mai eccedere in un versante o in un altro. Da allora non ho più perso di vista la band, nuova frontiera del Symphonic Metal olandese, ormai quasi un marchio di fabbrica che dovrebbe avere un riconoscimento internazionale.
Il misto fra storie fantasmagoriche e fiabe nere, condite a mio avviso da una sottile autoironia (impressione non confermata dalla band) è davvero molto affascinante nella sua singolarità ed è facile innamorarsi di tale proposta musicale. Puntualmente i Blackbriar hanno continuato a pubblicare i loro EP e singoli, con una grafica sempre uguale che richiama uno stile da fumetto gotico , fino ad arrivare al primo full length: “”The Cause of Shipwreck” del 2021 seguito da “Dark Euphony” del 2023 per giungere infine a questo terzo lavoro: “A Thousand Little Deaths” per la Nuclear Blast Records. Pur consolidando il loro sound ed il loro pubblico, la mia impressione è che la band sia rimasta staticamente uguale a se stessa, sia come scrittura dei brani che come tematiche, mantenendo stretti i confini del proprio territorio musicale. L’album si apre con “Bluebeard’s Chamber”, introdotto da una melodia per piano da film horror, soluzione cara ai Lacuna Coil, prima che la potenza metal symponic non lasci spazio ad esitazioni. La voce di Zora è sempre incantevole, così come resta efficace il drumming di René Boxem e di tutta le sezione ritmica. Le chitarre falciano l’atmosfera con interventi precisi ma a volte prevedibili.

Così ad uno ad uno vengono snocciolati i brani di quest’album, si va dal ritmo ostinato di “The Hermit and the Lover” al romanticismo di “The Fossilized Widow”, un inquietante storia di follia e spiritismo ben rappresentata anche dal relativo videoclip. Ancora una storia di amore e morte con “My Lonely Crusade” per poi giungere ad uno dei brani più interessanti di questo album “Floriography”. L’atmosfera iniziale è sempre da film horror, e la voce di Zora passa attraverso un riverbero lontano fino ad esplodere in una melodia catchy molto convincente. La cantante diventa ogni volta la protagonista delle storie che racconta e la produzione video legata ai brani aiuta a costruire questo mondo immaginario e spiritato con location spesso suggestive ed inquietanti. Zora sembra davvero incarnare I personaggi femminili dei romanzi gotici di Shirley Jackson, scrittrice americana del novecento che ha molto influenzato questo genere ketterario, soprattutto con opere come “l’incubo di Hill House” o “Abbiamo sempre vissuto nel castello”. Il resto di questo “A Thousand Little Deaths” scorre senza scossoni, e passano in serie prima la strana cantilena di “The Catastrophe That is Us”, poi il ritmo incisivo di “A Last Sigh of Bliss” che ci distoglie un attimo dal torpore sottolineando la natura metal della band . “Green Light Across the Bay” è ancora una canzone che parla di sirene (o forse dobbiamo intendere Chimere?) ma con una citazione letteraria : “Il Grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald che ricorre più volte nel brano, ed anche la “Luce Verde” del titolo è riiferita al celebre romanzo. “ I Buried Us” parte come una sorta di ninna nanna mortale per poi arrivare alla sua esplosione sinfonica. Ancora immagini, visioni e metafore sulla linea di confine che separa la vita dalla morte, ed anche questa volta i Blackbriar scelgono di realizzare un video molto suggestivo dove Zora canta in una bara di vetro fra la neve. Per l’ultimo brano, “Harpy” si gioca ancora con figure mitologiche e leggendarie. Un operazione simile a quella realizzata con il brano “Selkie” contenuto nel primo full length della band. Ed anche in quel caso si era optato per un cartone animato per rappresentare un essere non umano. Il brano è un trionfo di melodie e suoni sinfonici e come al solito un gran lavoro per il tastierista Ruben Wijga. “A Thousand Little Deaths” è un album impeccabile dal punto di vista della produzione, grazie anche al mago Joost van den Broek sul banco mixer. Ogni brano ha una storia da raccontare e Zora Cock appare una cantante in continua evoluzione, stesso dicasi di tutti i membri della band.

Ma c’è anche da dire che questo terzo lavoro non aggiunge nulla di nuovo , come se fosse un suono “fossilizzato”, per parafrasare il brano più indicativo di questo full length. I Blackbriar sono oggi come un castello infestato, in cui le apparizioni avvengono puntualmente sempre alla stessa ora per poi sparire di nuovo. Basterebbe forse, visto i talenti in campo, un colpo di bacchetta per infrangere il cerchio magico ed introdurre suoni nuovi. Sono certo che la band ne gioverebbe.
Line-up – Zora Cock: Voce; Bart Winters: Chitarra Solista; Robin Koezen: Chitarra Ritmica; Ruben Wijga: Tastiere; Siebe Sol Sijpkens: Basso; René Boxem: Batteria
SCHEDA *
ARTISTA: Blackbriar
TITOLO: A Thousand Little Deaths
ANNO: 2025
ETICHETTA: Nuclear Blast
GENERE: Gothic Symphonic
VOTO: 6,5/10
PAESE: Olanda
TRACKLIST
1) Bluebeard’s Chamber
2) The Hermit and the Lover
3) The Fossilized Widow
4) My Lonely Crusade
5) Floriography
6) The Catastrophe That is Us
7) A Last Sigh of Bliss
8) Green Light Across the Bay
9) I Buried Us
10) Harpy


