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Live Report SOMMARIO

STEVE HACKETT: il concerto romano del “Foxtrot at Fifty + Hackett highlights” tour

LE TAPPE DELLA CARRIERA DI STEVE HACKETT

ROMA, Auditorium della Conciliazione, 13/11/22 – Chitarrista e compositore fantasioso cerca musicisti ricettivi determinati ad elevarsi oltre le stagnanti forme musicali odierne”. Questo annuncio, apparso il 12 dicembre 1970 sul settimanale musicale britannico Melody Maker, segna la svolta decisiva nella carriera artistica di un ventenne londinese, Stephen Richard Hackett. L’esordio con i Genesis avviene a Londra il 14 gennaio dell’anno successivo: il chitarrista si unisce a Peter Gabriel, Tony Banks, Mike Rutherford e Phil Collins, quest’ultimo da poco in formazione. I sei album in studio (e i due live) pubblicati nei sette anni di permanenza nel gruppo, legano indissolubilmente il suo nome al periodo progressive del celebre marchio.

Abbandonati definitivamente i Genesis nell’ottobre 1977, Hackett si tuffa a capofitto nell’avventura solista. La mossa appare alquanto azzardata non solo per la giovane età e la breve carriera alle spalle ma soprattutto alla luce della crescente popolarità del suo ex gruppo, catalizzatore di centomila presenze nelle cinque serate parigine del giugno 1977, da cui vengono tratte la quasi totalità delle tracce di Seconds Out. Tuttavia, il significativo riscontro di vendite del primo album solista, il concept Voyage of the Acolyte (1975) e un’innata volontà e determinazione nel misurarsi costantemente con situazioni nuove, rappresentano segnali confortanti in ottica futura. Puntuali arrivano, nei tre anni successivi, altrettanti capolavori (Please don’t touch!, Spectral Mornings e Defector) che ne consolidano reputazione e successo commerciale.

La carriera prosegue tra inevitabili alti e bassi. Dopo un decennio un pò sottotono – tra virate pop non del tutto convincenti, album senza un seguito live come ‘Till We Have Faces e il prematuro scioglimento del progetto GTR con il collega Steve Howe durato un solo album e tour – è la volta del ritorno in grande stile con Guitar Noir (1993) dopo ben cinque anni di letargo artistico. Hackett tiene fede alla sua indole sperimentale e voglia di cambiamento omaggiando altri generi musicali (Blues with a feeling, 1994), alternando convincenti album elettrici (Darktown, 1999, To Watch The Storms, 2003 e Out Of The Tunnel’s Mouth, 2009) a struggenti lavori acustici (A Midsummer Night’s Dream, 1997 e Sketches Of Satie, 2000 insieme al fratello John), senza disdegnare collaborazioni artistiche con membri di altri gruppi (Squackett, 2012 con il compianto Chris Squire, ex Yes).

A metà anni novanta la prima, personale, rielaborazione della musica dei Genesis del periodo progressive. L’album, chiamato Genesis Revisited, sembra rappresentare un episodio isolato benché seguito, a stretto giro, da un live di successo, The Tokyo Tapes (1998). Ma l’irrefrenabile voglia di riproporre le composizioni di quel periodo trova un ideale punto d’incontro con il desiderio di fan vecchi e nuovi di riascoltare, da un membro della storica formazione a cinque, un genere in larga parte trascurato dal trio Banks/Collins/Rutherford e rinnegato da Peter Gabriel.

Il 2012 è il punto di partenza di una fase nuova della carriera di Hackett. Viene pubblicato il sequel Genesis Revisited II che si avvale della collaborazione di numerosi artisti prog, tra cui il cantante svedese Nad Sylvan (ex Unifaun e Agents of Mercy) che entra stabilmente in formazione come voce principale. L’occasione è propizia per celebrare album storici (dei Genesis ma anche suoi) dando un nuovo assetto alla scaletta dal vivo che bilancia, in egual misura, le due produzioni. Cosi, dopo Wind & Wuthering, Spectral Mornings, Voyage of the Acolyte, Selling England by the pound e Seconds Out, è la volta di Foxtrot che spegne quest’anno le cinquanta candeline.

IL TOUR

Pronti, partenza, via! Dopo appena una settimana di prove nella sua Londra, Hackett e la band (of merry men!) formata da Nad Sylvan (voce), Roger King (tastiere), Rob Townsend (fiati, percussioni, tastiere e voce), Jonas Reingold (basso, pedali bassi, chitarra ritmica e dodici corde), Craig Blundell (batteria e voce) e Amanda Lehmann (chitarra ritmica e voce, ospite in date prestabilite) si imbarcano per la prima tappa inglese del “Foxtrot at Fifty + Hackett highlights” tour, che parte da Swansea il 9 settembre e si conclude a Londra poco più di un mese dopo. La sosta a Bergen op Zoom nei Paesi Bassi per ritirare il prestigioso premio Sena Performers European Guitar Award 2022 precede il tour italiano che tocca sei città: Roma, Bologna, Torino, Milano, Padova e Legnano. La band si esibirà a fine anno negli Stati Uniti e in Canada – dove riproporrà lo show “Seconds Out + more!” con Nick D’Virgilio temporaneamente al posto di Craig Blundell – per fare nuovamente tappa in Europa nella primavera del 2023.

IL CONCERTO DI ROMA

La Sala Grande dell’Auditorium della Conciliazione è gremita di spettatori di ogni età. Sono presenti personaggi dello spettacolo e protagonisti dell’universo Genesis: Paul Whitehead, ideatore delle copertine dei primi album (tra cui, appunto, Foxtrot) si concede affabilmente per foto e autografi.

Insieme a un gruppo di amici, occupiamo la nona fila in posizione centrale: la visibilità è ottima grazie alla configurazione ad anfiteatro dei posti a sedere. Hackett cala subito l’asso di bastoni, che nel linguaggio dei tarocchi – filo conduttore di Voyage of the Acolyte – è sinonimo di creatività e di nuovo inizio. La strumentale “Ace Of Wands” si presenta in una veste ritmica insolitamente veloce con la band che procede compatta fino alla sezione centrale, caratterizzata dalla staffetta tipicamente jazz tra tastiere e sax soprano. L’Auditorium è probabilmente il miglior teatro per concerti, essendo dotato di un sistema di amplificazione e diffusione sonora ad altissima definizione, a garanzia di un suono potente e cristallino.

“The Devil’s Cathedral” è lo spaccato più convincente dell’ultimo album, Surrender of silence (2020). L’angoscioso intreccio tra organo e sax soprano, il cantato cupo di Sylvan e i caratteristici riff hackettiani pennellano magnificamente la sfrenata ambizione dell’inquietante protagonista della narrazione. Il brano mostra un carattere decisamente esuberante nella veste live.

Si ritorna ai favolosi seventies con due baluardi della produzione hackettiana tratti da Spectral Mornings (1979). Il primo è la vetta emotivamente più alta dell’album. In perenne bilico tra sogno e realtà, lo strumentale “Spectral Mornings” spazia da delicati arpeggi alla dodici corde a fugaci scivolate chitarristiche che precedono lancinanti riff alla elettrica. Il secondo, “Every Day”, è dedicato a David Longdon, ex-cantante del gruppo prog britannico Big Big Train, recentemente scomparso in conseguenza di un incidente domestico. Ad ascoltare la commossa dedica di Hackett c’è anche Gregory Spawton, fondatore e bassista della band britannica nonché grande amico del compianto Longdon. La gioiosa melodia del brano nasconde la dolorosa riflessione di un giovane Hackett sulla irreversibile dipendenza dalla droga di un suo amore adolescenziale “… you became a ghost to me long before you died…”. Il testo fa quindi riferimento alla morte della persona cara, il sottotesto, invece, alla sopravvivenza dello spirito. L’esecuzione è mozzafiato: Reingold, bassista dalle ottime qualità, si è da subito inserito nel contesto grazie al suo background progressive (The Flower Kings e Kaipa su tutti), formando con Blundell una poderosa sezione ritmica. L’assolo di chitarra che chiude il brano, poi, è una delle cose più belle, per ricchezza di spunti tecnici ed emotività – l’effetto “astronave in fase di atterraggio” è fantasmagorico – che Hackett abbia mai scritto.

Nel linguaggio dei tarocchi, la torre abbattuta non è metafora di distruzione, bensì di cambiamento. L’ipnotico attacco e il sinistro incedere di “A Tower Struck Down” evocano il crollo di un regime autoritario e la nascita di un mondo nuovo, privo di oppressori. Sembra di assistere alla scena di un thriller: la linea di chitarra assassina, la schizofrenia delle tastiere e il nugolo di inquietanti suoni preregistrati contribuiscono a creare un’atmosfera cupa. La tensione si stempera e il divertente bass solo di Reingold ci guida verso “Camino Royale”. L’anno è il 1982, l’album Highly Strung. Sono tempi bui per il prog e Hackett prosegue sulla strada tracciata dal precedente album, Cured. Insieme al tastierista e amico Nick Magnus compone un mosaico di stili in cui coabitano felicemente rock, jazz e fusion. Sua è la voce principale che narra di un sogno avvenuto a New Orleans che coinvolge, guarda caso, anche i Genesis! La performance si riallaccia inevitabilmente al sogno: il bridge che precede l’assolo di chitarra richiama il riff aggressivo di Dancing with the moonlit knight. Townsend doppia la voce principale sui tre ritornelli e si ritaglia uno spazio solistico al sax tenore improvvisando note che evocano l’assolo di “43”, pezzo jazz funk dei primissimi Level 42.

“Shadow Of The Hierophant” inizia con una sequenza di finger tapping che dà il via al graduale crescendo strumentale: una linea di chitarra elettrica ripete ossessivamente la melodia principale sulla quale si innestano tintinnii di campane tubolari, tastiere cosmiche e pedali bassi squarcianti. Particolarmente in evidenza Blundell, il cui drumming dal tocco eccelso è una sapiente miscela di tecnica e fantasia. Mancano però, purtroppo, le prime tre strofe su cui svetta la bellissima voce sopranile di Amanda Lehmann, assente nelle date autunnali italiane. Applausi torrenziali al termine del brano mostrano tutta la soddisfazione del pubblico per questo primo set.

Il ritorno in scena della band dopo una breve pausa è accompagnato dall’inconfondibile intro di “Watcher Of The Skies”. L’Italia è, notoriamente, il paese che per primo ha idolatrato l’arte dei Genesis, ispirandone testi e musica. La band percepisce il calore e l’affetto del pubblico e fornisce una prova magistrale: le tastiere si ergono maestose su una sezione ritmica compatta e veloce, Hackett delizia i presenti con note insolitamente lunghe e con rifiniture e scivolate chitarristiche da brivido, Sylvan canta con perfetta intonazione dimostrando di trovarsi più a suo agio con il repertorio di Peter Gabriel piuttosto che con quello, successivo, di Phil Collins.

Luci d’atmosfera e uno sfondo di foglie decidue in movimento fanno da cornice alla placida “Timetable”, inedita dal vivo, il cui testo e musica trasudano nostalgia per il dissolversi di valori e ideali della società moderna. Particolarmente struggente è la coda strumentale le cui sofferte note di basso accompagnano l’unisono procedere di piano e chitarra.

“Get’Em Out By Friday” condanna, con tipico humour anglosassone, il dilagante fenomeno della speculazione edilizia e il conseguente disagio delle persone sfrattate, nella turbolenta Inghilterra degli anni settanta. Supportato da una magistrale prova dei compagni, Nad Sylvan interpreta, con disinvoltura e con umoristici cambi di intonazione, la moltitudine di personaggi della storia, partoriti dalla fervida mente di Gabriel.

Hackett fornisce un saggio delle proprie capacità compositive con un gioiello di rara bellezza e intensità che chiude il lato A del vinile originale. “Can-Utility And The Coastliners”, dall’intraducibile, o quasi, titolo narra la leggenda del Re Canuto il Grande, sovrano di origini nordiche che detestava gli adulatori. Il brano è un contenitore di paesaggi sonori contrastanti: l’iniziale sezione acustica prosegue con un avvicendarsi di robuste rullate, acuti vocali, assoli tastieristici di matrice banksiana e note bradisismiche di basso che scuotono l’Auditorium. E pensare che durante le sessioni di registrazione dell’album, dopo appena un anno e mezzo di permanenza nel gruppo, Hackett aveva presentato le sue dimissioni – per fortuna respinte, nella circostanza, dai compagni – perché non si sentiva all’altezza del suo ruolo!

Con la consueta maestria, Hackett esegue in solitario un breve frammento acustico dal sapore barocco. “Horizons” è un altro contributo del chitarrista, il frutto di una rielaborazione alla sei corde delle prime due battute del preludio della prima suite per violoncello di Bach. La composizione di poco più di un minuto è un brano a sé stante che non fa dunque parte della suite Supper’s Ready, come erroneamente ritiene qualche disinformato!

Walking across the sitting room…”: così esordisce l’opera magna che occupa, insieme a Horizons, il lato B del vinile. “Supper’s Ready” è ispirata, quasi interamente, all’Apocalisse di San Giovanni Apostolo che narra, con simbolismi e allegorie, il trionfo delle forze del bene sul male. Nella suite genesisiana, si inizia con la religione e si prosegue con la mitologia: il pubblico avverte la presenza di Narciso e, divertito, intona in coro: “A flower?” Tra immancabili riferimenti letterari e nonsense linguistici frutto della mente dell’istrionico Gabriel, l’atmosfera raggiunge il picco massimo di rarefazione: dall’alto di un piedistallo, Sylvan annuncia l’ideale avvento della Gerusalemme Celeste e chiama tutti a raccolta al banchetto del Signore (“… there’s an angel standing in the sun, and he’s crying with a loud voice, this is the supper of the mighty one…”). Brividi corrono lungo la schiena quando Hackett suggella il finale con una esibizione tecnica mozzafiato in cui alterna veri e propri ruggiti chitarristici a inediti e fantasiosi passaggi strumentali concedendosi, a buon diritto, una libertà nemmeno lontanamente immaginabile al tempo in cui militava nel suo ex gruppo!

La tappa romana si chiude con altre due pietre miliari del repertorio Genesis. Una folta schiera di spettatori si raduna ai piedi del palco per assistere al primo bis, Sua Maestà “Firth Of Fifth”, il cui intro pianistico viene finalmente eseguito da Roger King senza sbavature. Il tastierista, impeccabile sul materiale Hackett, dopo anni di imperfezioni accompagnate, immancabilmente, da feroci critiche (non è giusto, però, essere indulgenti sempre e solo con Tony Banks!) ha finalmente trovato il bandolo della matassa su quello Genesis. Da metà brano in poi, il proscenio è tutto per Hackett: all change! eccezion fatta per l’assolo di chitarra che l’artista interpreta, unitamente a quello di Every Day, in maniera sempre fedele all’originale in studio.

Su un palco buio, tre fari illuminano Blundell che si ritaglia un meritatissimo spazio con un lungo drum solo, prologo all’apocalittica “Los Endos”, che Hackett abilmente “contamina” inserendovi l’ipnotica sequenza di accordi di tapping di Slogans, affresco schizofrenico di Defector (1980).

Dopo oltre due ore di concerto, la band si congeda tra le ovazioni dei quasi duemila presenti. Il mio itinerario personale prosegue per l’ultima tappa italiana a Legnano con la mente già proiettata al tour primaverile inglese del 2023. Chissà…

Grazie Steve, Maestro di emozioni, until next time!

SCALETTA:

Set 1: Hackett highlights

1. Ace Of Wands

2. The Devil’s Cathedral

3. Spectral Mornings

4. Every Day

5. A Tower Struck Down

6. Camino Royale

7. Shadow Of The Hierophant (sezione strumentale)

Set 2: Foxtrot

8. Watcher Of The Skies

9. Timetable

10. Get’Em Out By Friday

11. Can-Utility And The Coastliners

12. Horizons

13. Supper’s Ready

Bis:

14. Firth Of Fifth

15. Drum Solo / Los Endos

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Redazione

2 comments

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Eugenio Scampini 1 Dicembre 2022 at 21:35

Grazie Raf per l’ottima recensione, articolo scritto molto bene!

Reply
RAFFAELE SESTITO
RAFFAELE SESTITO 1 Dicembre 2022 at 22:22

Grazie a te Eugenio per l’apprezzamento! Un saluto.

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