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Live Report SOMMARIO

PETER GABRIEL: realtà o avatar?

VERONA, Arena, 20/05/2023 – Peter Gabriel chiama, l’Italia risponde. Novemila fan di tutte le età provenienti da ogni angolo dello stivale gremiscono gli spalti dell’Arena di Verona, per la prima delle due date italiane (l’altra è Milano) del i/o The Tour, partito il 18 maggio da Cracovia.

Ben nove anni sono trascorsi dal “Back To Front Tour” del 2014. In questo arco temporale, l’ex frontman dei Genesis è rimasto ai margini della scena musicale – impegnato, come sempre, in una miriade di altre attività sociali e umanitarie – esibendosi unicamente nel 2016 insieme all’amico Sting nel “Rock, Paper, Scissors Tour”. Progetto, quest’ultimo, che ha procrastinato ulteriormente la scrittura dei brani del nuovo album, di cui si conoscono titolo (i/o, acronimo di input/output) e ben cinque singoli (usciti in coincidenza con le fasi di plenilunio), ma non ancora la data di pubblicazione.

L’allestimento scenico di questo tour consta di elementi fissi e mobili: uno schermo posizionato in alto al centro del palco che si inclina di 90°, due schermi laterali che consentono la visibilità agli spettatori più lontani e decentrati e un sistema modulare di nove pannelli che scorrono in verticale e in orizzontale. A far da cornice naturale al concerto c’è l’Arena, con la sua imponente bellezza.

Foto: Achille Benigni
Foto: Raffaele Sestito

Sono da poco passate le 20 e la fastidiosa pioggerellina che ci assilla dal pomeriggio si è quasi del tutto attenuata. Gabriel si palesa in solitario sul palco con indosso una tuta arancione, come fosse un tecnico qualsiasi, e un manoscritto in italiano: “Il tempo è il nostro padrone… vorrei farvi tornare indietro di quattro miliardi e mezzo di anni, quando il nostro pianeta era morto e potrebbe esserlo ancora a meno che non stiamo molto attenti… è sempre più difficile separare il vero dal falso… potrebbe sorprendervi sapere che quello che state guardando in questo momento è il mio avatar mentre io, in realtà, sono rilassato su una spiaggia dei Caraibi e assomiglio a un dio greco, scusate, romano! Divertitevi.” Riflessioni, condite con un pizzico di ironia, sull’impatto dei cambiamenti climatici e il sopravvento dell’intelligenza artificiale su quella umana che, a suo dire, avrebbe il potere di trasformarci in una specie obsoleta.

L’esecuzione dei brani è affidata all’inossidabile motore ritmico formato da Tony Levin (basso e contrabbasso) e Manu Katchè (batteria) con David Rhodes (chitarra elettrica e acustica) in veste di perfetto rifinitore. La compagine è completata da Richard Evans (chitarra, flauto e voce) e da quattro volti nuovi: Marina Moore (violino, viola e voce), Ayanna Witter-Johnson (violoncello, tastiere e voce), Josh Shpak (fiati e tastiere) e Don E (tastiere).

La lunga maratona musicale – ventitré i pezzi in scaletta, di cui ben dieci nuovi – inizia con un mini set acustico. Apre Washing of the water, eseguita dal duo Gabriel-Levin (“collaboriamo insieme da quando avevamo entrambi i capelli” dirà il frontman) cui segue Growing Up, più tribale e drammatica ma soprattutto meno danzereccia della versione in studio, suonata da tutti i membri della band disposti in semicerchio come in un antico rituale, con le immagini delle fasi lunari a fare da sfondo. Dagli sguardi di complicità che si scambiano i musicisti e dall’ironia con cui Gabriel commenta la sua iniziale sbavatura sul testo della canzone (“questa è la prima cazzata della serata”) si intuisce che l’atmosfera è rilassata, non c’è tensione nonostante la prolungata assenza dalle scene e l’insidia di un tour che è alle battute iniziali.

Foto: Raffaele Sestito
Foto: Claudio Bustamante

È la volta del nuovo album che decolla con le note dei tre singoli Panopticom (la condivisione trasparente delle informazioni quale precondizione per uno sviluppo equo e sostenibile), Four kinds of horses (livelli diversi di consapevolezza narrati nella parabola dei quattro cavalli dell’Āgama Sūtra) e i/o (l’interconnessione tra persone e cose nell’universo), le cui orecchiabili melodie e i pregevoli e corposi arrangiamenti beneficiano della superlativa acustica dell’anfiteatro romano. A giudicare poi dall’accoglienza riservata a Four kinds of horses, si può affermare che i/o ha prodotto un classico istantaneo. La scenografia, un pò anonima in modalità “off”, si trasforma, grazie alla musica, in una spettacolare tavolozza di colori e animazioni.

Foto: Raffaele Sestito
Foto: Raffaele Sestito
Foto: Achille Benigni

Gabriel tiene fede al dogma del maestro Stanley Kubrik, secondo cui il futuro non è credibile se non include il passato. L’inedita Road to joy (la ripresa dei sensi dopo aver visto la morte da vicino) coniuga perfettamente tradizione e innovazione, richiamando ritmica e ritornello di Steam (dall’album Us), presentandola sotto una veste stilistica nuova, più vicina a canoni jazz funk. Irriverenti le mani che ruotano sugli schermi puntando il dito medio contro un teschio, simbolo di trapasso.

La bellissima Playing for time è praticamente la riproposizione contemporanea di Here comes the flood, una delle escluse eccellenti dalla scaletta forse perché il titolo evoca il dramma che in questi giorni stanno vivendo le popolazioni dell’Emilia Romagna.

Foto: Maurizio Astolfi
Foto: Maurizio Astolfi

Gabriel supera sé stesso estraendo dal cilindro due capolavori, And still e Love can heal, che rappresentano la migliore risposta a chi, aprioristicamente, obietta sull’eccessivo spazio concesso alle ultime composizioni. Il primo è un commosso ricordo della madre defunta che tocca picchi emotivi impensabili ad inizio concerto (“And still your hands feel cold / those hands that brushed my hair”): il dolore per la perdita di una persona cara diventa fonte di ispirazione che dà forma e colore all’arte. Il secondo è un inno al potere terapeutico dell’amore: in un’ambientazione di suoni acquatici campionati, Gabriel veste idealmente i panni di un direttore d’orchestra, incanalando verso il pubblico il coro rarefatto della band e le strazianti note di violoncello, flauto traverso e corno francese.

Foto: Claudio Bustamante
Foto: Claudio Bustamante

Un paio di inediti suonati questa sera brillano di luce riflessa. Il ritornello della bluesy This is home richiama la splendida Se la di Lionel Ritchie; Olive tree è il pezzo che si discosta maggiormente dal pur ampio e variegato repertorio di Gabriel: strofe meditative dal vago sapore folk rock americano si alternano a ritornelli gioiosi, guidati dalla tromba con annessa sordina di Shpak, che si avvicinano ad alcune composizioni dell’amico Phil Collins.

Foto: Maurizio Astolfi

Ma non è tutto oro quel che luccica. Live and let live è un debole tentativo di fondere pop e gospel, What lies ahead ha tutta l’aria di essere un brano ancora incompleto, nelle idee e negli arrangiamenti.

Foto: Claudio Bustamante

Anche il pubblico di Gabriel ha bisogno di certezze, il che vuol dire repertorio classico. È l’album So a recitare ancora una volta la parte del leone, con ben cinque canzoni che spaziano dalle ballabili Sledgehammer e Big time alla onirica Red Rain, scandita da chitarra ritmica e impetuose rullate di batteria, con la scenografia a tinte rosse e bianche a fare degnamente da cornice.

Foto: Raffaele Sestito

La componente femminile ha sempre occupato uno spazio di rilievo nella discografia e nelle esibizioni dal vivo di Gabriel. La talentuosa Ayanna Witter-Johnson, da poco in squadra, duetta magnificamente con il cantante su Don’t give up e sul primo dei due bis dal retrogusto etnico, In your eyes, su cui il trio Gabriel-Levin-Rhodes improvvisa un balletto coordinato che scatena la voglia di danzare del pubblico. Immancabile l’autobiografica Solsbury hill, emozionante come sempre Darkness, che tratta con angoscia il tema del fine vita. Secondo neo della serata, la falsa partenza di Digging in the dirt, poi eseguita magnificamente.

Foto: Claudio Bustamante
Foto: Raffaele Sestito

Il concerto si è aperto con un forte richiamo alla consapevolezza e si chiude con un altrettanto forte richiamo all’uguaglianza. Tamburi, cornamuse sintetizzate e pochi ma efficaci accordi di chitarra elettrica introducono Biko, commuovente dedica in memoria dell’attivista Steven Biko, il cui brutale assassinio in carcere ne farà un simbolo dell’anti-apartheid. Brano semplice ma di straordinaria efficacia comunicativa, sul cui finale i nove musicisti escono dal palco uno ad uno, tra i cori del pubblico inneggianti al martire sudafricano.

Foto: Raffaele Sestito

I vent’anni di letargo compositivo seguiti alla pubblicazione di Up e l’assenza da più di un lustro dai grandi palcoscenici, lasciavano presagire per Gabriel un futuro artisticamente incerto. Questa sera il frontman è apparso in ottima forma fisica e vocale e, cosa più importante, per nulla appagato di una gloriosa carriera solista: rimettersi in gioco a settantatré anni è il segnale che si ha ancora qualcosa di bello e interessante da raccontare. L’uscita del nuovo album è ancora lontana ma stasera abbiamo avuto modo di ascoltarlo in anteprima praticamente nella sua interezza: è un lavoro che reca ancora il marchio di fabbrica gabrieliano, con meno ritmo e più cuore.

Il giorno successivo facciamo ritorno a casa con il rimpianto di non aver proseguito l’itinerario per Milano ma con la consapevolezza di aver assistito a uno spettacolo nello spettacolo: un mix unico di suoni, colori e luci nella splendida cornice naturale dell’Arena di Verona.

Scaletta:

Set 1

  1. Washing of the water (acustica)
  2. Growing up (acustica)
  3. Panopticom
  4. Four kinds of horses
  5. i/o
  6. Digging in the dirt
  7. Playing for time
  8. Olive tree
  9. This is home
  10. Sledgehammer

Set 2

  1. Darkness
  2. Love can heal
  3. Road to joy
  4. Don’t give up
  5. The court
  6. Red rain
  7. And still
  8. What lies ahead
  9. Big time
  10. Live and let live
  11. Solsbury Hill

Bis

  1. In your eyes
  2. Biko

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2 comments

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Paolo Crialesi 4 Giugno 2023 at 14:34

Le recensioni di Raffaele ti fanno assistere ai concerti da casa, stando comodamente seduti sul divano…
complimenti a te ed anche un po’ a Peter!

Reply
Raffaele Sestito
Raffaele Sestito 7 Giugno 2023 at 23:10

Grazie per il feedback Paolo!

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