‘Imperial’ è il quinto lavoro degli svedesi SOEN, una formazione che ha, nel corso degli anni, progressivamente abbandonato i riferimenti che nei loro primi dischi (‘Cognitive’ – 2012, e ‘Tellurian’ – 2014) risultavano piuttosto presenti, con richiami agli Opeth (ex band del batterista Martin Lopez) e soprattutto ai Tool, costruendosi un suo stile sempre più riconoscibile. Lo sviluppo musicale e concettuale della band, da sempre caratterizzata da un songwriting particolarmente ispirato, ha trovato il suo focus con le uscite di ‘Lykaia’ nel 2017 e, soprattutto, di ‘Lotus’ nel 2019, da molti considerato il loro disco più riuscito.
Mentre i testi hanno iniziato a scandagliare l’animo umano, le proprie debolezze, il suo posto nella società, le distorsioni e corruzioni del mondo contemporaneo, il rapporto tra l’individuo e la comunità e la riverberazione di tali connessioni, il corrispondente sviluppo musicale ha trovato un riuscito equilibrio tra la componente prog-metal e la linea più prettamente melodica riuscendo ad ottenere una commistione che non risulta mai forzata ma oggettivamente scorrevole e coerente. In questo scenario ‘Imperial’ rappresenta la logica e naturale evoluzione di LOTUS nella storia del gruppo. Frutto di un lavoro di oltre un anno, in un periodo storico decisamente particolare – la pandemia che stiamo vivendo – Martin Lopez, Joel Ekelöf e gli altri membri della band si sono concentrati a lungo su ‘Imperial’. Il risultato è un disco assolutamente focalizzato e ben riuscito.
L’album si apre con la potente “Lumerian”: senza intro veniamo catapultati di forza in un imponente muro sonoro con l’impatto aggressivo della batteria di Martin ed uno splendido riff che graffia l’anima, prima che la voce baritonica di Joel Ekelöf si prenda la scena, raccontandoci in tutta la sua estensione e precisione il declino della nostra specie: cacciatori ciechi e senza mira, caduti dalla grazia nell’ignoto, arresisi ad un’avidità infinita senza riuscire ad impedire a quella lancia di infilzare i nostri cuori e le nostre anime. Il j’accuse di Joel al declino di Homo Sapiens è squarciato da un assolo ispirato di Cody Ford, il cui ingresso nel gruppo ha modificato lo sviluppo musicale del quintetto, introducendo influenze Floydiane e la linea melodica che oggi è uno dei marchi della band.
Si prosegue con “Deceiver”, canzone scandita dal groove della batteria di Martin, le chitarre ed il basso a seguire, mentre Joel ci racconta come l’inganno del tempo abbia disperso la nostra energia e i segni del nostro percorso, come la nostra strada sia diventata ormai incerta ed il nostro individualismo ci abbia portato fuori rotta, perdendo di vista la consapevolezza dell’altro. Cori ottimamente mixati ed una buona fluttuazione tra le parti più ritmiche e quelle melodiche rendono il pezzo godibile.
Un suono di sirena, come quelli degli allarmi durante periodi di guerra, introduce “Monarch”, aperta da un riff piuttosto tecnico e da Joel che lavora nei registri bassi. L’alternanza tra la parte più heavy e l’apertura verso linee melodiche è ben riuscita, mentre osserviamo il mondo moderno in cui la logica dello scontro, della competizione, della guerra, ha avuto il sopravvento sull’empatia e sulla compassione umana, emozioni colpevoli di non essere adeguatamente “maschie” o vincenti nella nostra evoluzione. L’assolo graffiante della chitarra solista spezza in due la canzone, con la seconda parte che evolve in modo più corale fino ad un finale quasi sinfonico, inclusi gli archi, dove prendiamo consapevolezza che coloro che vengono mandati a morire nelle guerre sono i fantasmi del nostro tempo.
Questa consapevolezza introduce “Illusion”, la prima ballad del disco, guidata dalle linee particolarmente gilmouriane ed ispirate della chitarra solista di Ford, mentre Joel ci illustra il mondo individualistico postmoderno, in cui diamo la colpa del fallimento al nostro prossimo, in cui i leader prendono il potere con promesse irrealizzabili, l’uno dopo l’altro, bugia dopo bugia, allontanandoci dalla nostra ricerca di un bene comune. Il nostro libero arbitrio ci permette di scegliere individualmente, ma dobbiamo essere consapevoli che il fallimento (della nostra specie) è invece condiviso. Per “Illusion” è stato anche girato un video, ambientato in un mondo post-apocalittico (che ricorda vagamente il romanzo La Strada di Cormac McCarthy e sua relativa trasposizione cinematografica).
“Antagonist”, primo singolo pubblicato ad Ottobre 2020, è probabilmente il cuore centrale dell’album, particolarmente stratificato ed articolato nei pattern musicali, nei differenti ritmi dell’accoppiata basso/batteria, nelle oscillazioni tra le parti più d’impatto e quelle melodiche, e nel suo cuore pulsante concettuale, l’identificazione delle disuguaglianze in continuo aumento nel mondo, il ruolo distorcente dei mezzi di comunicazione come fabbrica del consenso che lavora sulle emozioni primarie dell’uomo – paura e rabbia – , le dipendenze come agente corruttore, su come in fondo “life isn’t just to survive”. Ricercare un senso. Particolarmente riuscito anche il video.
In “Modesty” le tastiere di Lars Åhlund sono in primo piano, con un arrangiamento orchestrale che miscela alcune atmosfere mediorientali a richiami agli ultimi Katatonia; Joel aumenta la sua estensione vocale nella nostra ricerca, senza fortuna, di cause, risposte, soluzioni, idee ormai compromesse, divisi e quasi sul punto da scendere a patti con la nostra coscienza, “cause sometimes it’s hard to feel hope”. L’assolo di Ford è quasi un lamento, un grido di dolore che spezza le nostre coscienze.
“Dissident” sintetizza in qualche modo l’evoluzione degli ultimi anni dei SOEN: è probabilmente la canzone più prog e più tecnica del lotto: ritmi onnipresenti, cambi di tempo, variazioni melodiche, linee vocali e corali impeccabili, un bridge di una bellezza quasi dolorosa, ed un crescendo finale in cui tutti gli strumenti, pur ben rilevabili singolarmente, funzionano all’unisono. Rappresenta anche, a livello testuale e concettuale, una sorta di presa di coscienza, di risveglio. Liberarci da alcune idee, prendere per dato di fatto la nostra caduta e ricominciare da zero, consapevoli della nostra ignoranza (“there’s a reason why the deceitful do find a prey”) ma determinati a dare una possibilità alla fiamma vitale che brucia dentro di noi e provare ad incamminarci verso una nuova direzione comune (“We are one undivided fallen sons”) non più associata all’individualismo.
La seconda ballad, “Fortune”, conclude con un pezzo altamente emozionale questo viaggio nell’animo dell’uomo e della società. La chitarra di Ford risuona particolarmente ispirata (con il più bell’assolo del disco), l’arrangiamento orchestrale e i semplici pattern della batteria spostano il focus sulla linea vocale, con le orchestrazioni di Lars ed il coro nella seconda parte che sbocciano ed avvolgono l’ascoltatore, nell’accresciuta consapevolezza di incamminarsi in un nuovo percorso comune basato sul noi. Nuove declinazioni del tempo, della felicità, sul restare in piedi anche dopo tante battaglie perse, e sul superamento dell’individualismo postmoderno.
Hobbes teorizzava, nello stato di natura, Homo Homini Lupus, ovvero l’essenza fondamentalmente egoistica dell’uomo, le cui azioni seguono unicamente l’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione. Nella declinazione dei SOEN è proprio questo processo che ci sta portando dritti all’autodistruzione, ed è necessario un cambio di paradigma, in una visione più collaborativa e cooperativa della nostra specie.
Il disco è sicuramente la prova della maturità dei SOEN, che si riconfermano ad alti livelli dopo l’ottimo ‘Lotus’. Artisti che hanno qualcosa di importante e non banale da dire, e lo fanno in modo preciso, con una produzione impeccabile, un equilibrio particolarmente riuscito e coesivo tra elementi metal, prog e melodici, un songwriting decisamente a fuoco, pattern di batteria e linee melodiche di chitarra ispirati e godibili, una performance vocale di alto livello, e l’assenza di filler o anelli deboli nel disco.
Se proprio dobbiamo trovare un difetto all’album segnalerei un lavoro di mixing che mette il basso leggermente in secondo piano rispetto agli altri strumenti e il Dynamic Range (DR) non particolarmente elevato delle tracce, che penalizza un po’ (specialmente nell’ascolto in cuffia) la variazione dinamica tra ritmi più aggressivi e linee melodiche che è in fondo uno dei marchi di fabbrica del quintetto.
Tracklist:
1) Lumerian
2) Deceiver
3) Monarch
4) Illusion
5) Antagonist
6) Modesty
7) Dissident
8) Fortune
Lineup:
Joel Ekelöf: vocals
Cody Ford: lead huitar
Lars Enok Åhlund: keyboards & guitar
Oleksii Kobel: bass
Martin Lopez: drums
VOTO: 8,5/10
ANNO: 2021
GENERE: Progressive Metal
ETICHETTA: Silver Lining Music