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Live Report

MAIDEN UNITED + Ann My Guard, Roma, 11/05/19 – Il volto acustico della Vergine di Ferro!

La musica non conosce pause, è come un fiume che scorre costantemente, il cui nutrimento è dato dai suoi affluenti. Questa volta si tratta di un affluente diverso dal solito; si perché il Whishlist Club sarà certamente pervaso di note, ma senza particolari effetti pirotecnici, ne zanzarose distorsioni. Le assi del palco, in questa serata sosterranno ben due set acustici, le band in questione sono gli Ann My Guard provenienti dall’Ungheria, e a seguire ci saranno i Maiden United che grazie ad arrangiamenti nuovi, e soprattutto molto diversi (dagli orginali), dei brani che andranno a presentare, renderanno a loro modo tributo agli Iron Maiden, considerati tra i paladini della NWOBHM!

Ann My Guard

Un flauto traverso apre le prime danze acustiche. La voce di Ann, descrive l’iniziale “Breathe the Sun” in una maniera che sembra riportare alla mente sonorità in stile Nightwish. E nonostante la esigua presenza di pubblico, la band riesce nell’intento di catturare l’orecchio di chi era lì ad ascoltare. Breve pausa, tanto da consentire ad Ann di cambiare strumento, si perché dopo il flauto traverso e la costante presenza vocale dietro il microfono, imbraccia un basso che la accompagnerà per tutto il percorso. “Dark Sea Blue” è un bel brano pervaso da una bella venatura folkeggiante, dove le due chitarre di Krisztián Varga e Benjamin Bárkányi, si intrecciano acusticamente a dovere. La cosa bella e sorprendente, sia per chi scrive, ma anche per chi era lì (e ne ho avuto conferma), consiste nel fatto che la band grazie alla sua musica ha un po’ cambiato le carte in tavola, ricordando infatti molto i Cranberries. Detto questo si prosegue con “Echo”, una bellissima ballata folk, intrisa di ritmi e melodie dell’Est Europa, ritmi e melodie sostenuti sempre ottimamente dai due chitarristi. Norbert Tobola dietro le pelli si fa sentire in maniera esemplare e precisa, e con il giusto equilibrio si integra con Ann che è l’altra metà della sezione ritmica, e qui fa vedere la sua bravura e il suo equilibrio nel dividersi fra le note basse e il cantato della bella “Hekate”. Mano a mano che si va avanti la band è sempre più a proprio agio, la voce emerge bene, e con grande maestrìa disegnano un piccolo chiaroscuro di luce e musica, con una parte centrale ruffiana quanto basta a rapire le nostre orecchie. Con “Callisto” siamo tornati, anche se solo per questo brano, in territori Nightwish oriented. Ora gli Ann My Guard ci propongono il pezzo più lungo di tutta la serata, “The Day I Die” è una bella litania. Si snoda (come ripeto) su un tempo più esteso, ma la semplicità e il cuore di cui è pervasa questa canzone la rendono una piccola chicca da godersi in silenzio. Siamo al rettilineo finale, ma prima dell’arrivo ci sono “Obsidian Tears” e “Preparation”. Le atmosfere, anche qui, giocano in contrasto con luce e oscurità, e il combo ungherese arriva sempre più forte nelle nostre orecchie con voce e basso sempre in primo piano, i giri del motore sono completati dalle chitarre graffianti e melodiche di Benjamin e Krisztiàn, e dal drumming equilibrato e pulsante di Norbert. Insomma un finale di performance super grintoso e compatto in ogni nota.Ahimè però alcune piccole pecche ci sono state: Ann in paio di momenti ha avuto degli appannamenti vocali, secondo me causati perchè aveva alle spalle una discreta manciata di altre date live, ma nonostante ciò si è ripresa alla grande; anche il settaggio dei volumi delle chitarre ha visto momenti migliori, in alcuni punti infatti risultavano impastate e sovrapposte. Tutto ciò però non ha fermato questi ragazzi che hanno tenuto botta senza alcun problema, mi auguro di rivederli presto on stage, magari con volumi migliori e soprattutto con un pubblico che sappia tributare a dovere il loro giusto merito.

Lineup:
Eszter Anna Baumann: Voce, Basso, Flauto traverso
Krisztián Varga: Chitarra Acustica
Benjamin Bárkányi: Chitarra Acustica
Norbert Tobola: Batteria

Ann My Guard Setlist:

“Breathe The Sun”
“Dark Sea Blue”
“Echo”
“Hekate”
“Callisto”
“The Day I Die”
“Obsidian Tears”
“Preparation”

Maiden United

Sono gli Iron Maiden ma la tempo stesso non sono gli Iron Maiden. Ovviamente non si parla dei componenti della band britannica, ma semplicemente del vestito indossato dalle canzoni, che tutti noi (o almeno la maggior parte) conosciamo. Sì perché i ragazzi che compongo questa super band sono riusciti, attraverso un grandissimo lavoro di taglio e cucito, a mettere giacca e cravatta o un vestito da sera a brani solitamente casual e scapigliati. Una intro fa da presentazione ai musicisti, molte note sono comunque (manco a dirlo) sempre maideniane al 100%, infatti si sente una eco lontana di “Empire Of The Couds”, eco che diventa realtà. Nella massima eleganza acustica ci viene proposta la prima parte del brano più lungo (20 minuti) presente nella carriera degli Iron Maiden; il tutto viene eseguito in maniera molto intima ed emozionale come a raccontare un sogno (che purtroppo ha avuto un triste epilogo). Frank sale sul palco e si posiziona dietro il microfono. Si parte con “Aces High”. Dell’originale resta un po’ il taglio rock, ma i nuovi arrangiamenti hanno nascosto l’havy metal nelle corde acustiche di Daan Janzing. Giusta prosecuzione di scaletta con “Strange World” (nonché mia preferita). Dico giusta perché l’originale (da Iron Maiden del 1980 – n. d. r.) non è molto distante da quella proposta questa sera, una heavy metal ballad resa ancora più emozionante da una tastiera mai fuori posto e dall’assenza di effetti e distorsioni. Frank Beck chiama e Roma (quel poco che era lì) risponde, e lui con la sua voce regala brividi con “Empire OF The Clouds pt.2”!
Adesso è il turno di Lee Morris, si perché grazie al suo martellamento costante delle pelli, si prende un po’ la scena alzando leggermente i rintocchi della sua batteria. “Charlotte The Harlot” è più aggressiva (anche se di poco) ma con classe. Alla mezzanotte manca ancora un po’ ma è tempo che “2 Minutes To Midnight” si palesi alla nostra attenzione, sembra una ballad ani 80, con un ritornello che graffia con artigli da gatto ma che poi ci regala un gran bel solo acustico di Daan, ricco di tante belle note. Per non essere da meno, Joey Bruers ci introduce “Children Of The Damned”, tirando fuori dal suo bellissimo basso acustico, una intro piena di groove, degnamente sostenuto, dal diciannovenne, Polle van Genechten (tastiere) così da indicare la strada a Frank e alla sua voce. Il risultato finale ci lascia un brano dove tutti i musicisti hanno creato un suono unico.
Tributare La Vergine di Ferro, secondo me vuol dire anche ricordare chi degnamente ne ha fatto parte, quindi anche un brano della “Blaze – era” doveva essere (ed è) presente in questo set. “Futureal” si spoglia anch’essa della metallica armatura, lasciando spazio a fraseggi acustici più soft ma che non ne hanno cambiato radicalmente la reale natura. Un bellissimo omaggio al grande Blaze ricordato dalla band e dalle parole introduttive al brano, spese in suo favore da Frank.
Ancora “Empire Of The Clouds”. Siamo giunti alla parte numero 3 di questo brano lunghissimo, si parte come una stilettata, in maniera veloce e diretta; anche quì il basso si rende protagonista di note e groove con cui aiuta la narrazione di questa piccola grande storia. Intanto si crea un piccolo siparietto, infatti tra il pubblico è presente una coppia inglese o irlandese, che alla vista di un venditore di rose entrato nel locale, ne compra alcune per regalale alla band creando un momento un po’ più ironico e distaccato dal tono intimista della serata.
Si prosegue con la scaletta, dove l’immancabile “The Trooper” prende possesso deli strumenti, cosa particolare, anche dovuta ad arrangiamenti totalmente distanti dagli originali, non è stata riconosciuta immediatamente. Ma tanto non fa niente perché il pubblico ha gradito lo stesso. Introdotta da sonorità tipo film horror, ma che poi nel prosieguo della sua esecuzione graffia con classe, riccamente adornata con una tastiera sempre funzionale e un assolo chitarristico molto cristallino.
Torniamo in atmosfere 80’s, poichè “The Evil That Man Do” è riproposta come una ballad di quel periodo. Lenta, ballabile ma che poi cambia, e alla fine ci troviamo di fronte ad un bel crescendo strumentale ed emozionale. Altra canzone, altro vestito. Un vestito sempre rock, sempre maiden, “22 Acacia Avenue” si contraddistingue con sonorità “acusticamente elettriche”, che riprendono in parte quelli che sono gli arrangiamenti originali e questo allieta non poco le nostre orecchie. L’ottovolante dei Maiden United non si ferma, emozioni sempre forti poichè arriva la parte 4 di “Empire Of The Clouds”. I ragazzi del combo lo avevano detto all’inizio, ed hanno mantenuto la promessa, riproponendo (seppur in 4 parti distinte e separate) tutto il brano (scritto da Bruce Dickinson, e risalente al 2014 – n. d. r.), che ad oggi è il più lungo nella carriera della band britannica. Le tastiere, sapientemente suonate da Polle van Genechten, e la voce di Frank, abbracciano tutti, facendo uscire fuori le emozioni un po’ più nascoste…” The empire of the clouds/May rest in peace/
And in a country churchyard/Laid head to the mast/Eight and forty souls/Who came to die in France…”

La set list è arrivata alla fine, e con l’ultimo brano mi hanno veramente sorpreso. Infatti questa volta il vestito da sera, lo ha indossato una canzone che non mi sembra di sentire molto spesso live. Direttamente da “Piece Of Mind” la freccia che vanno a scoccare è “DieWith Your Boots On”. Una versione dai mille volti, raffinata, eccentrica ma al tempo stesso discreta, insomma mai abbattersi di fronte al futuro (tipica espressione inglese), perchè …se morirai, morirai/se morirai, muori con gli stivali addosso.
Ma le sorprese non sono finite. I pochi, ma buoni, presenti chiamano la band fuori sperando in un bis. Il combo dopo qualche minuto è di nuovo sul palco, e tra mille ringraziamenti si lascia andare ad una “Wasted Years” che acusticamente, a mio parere, è la canzone di tutta la set list che meglio rispecchia gli arrangiamenti canonici. Gioia e tripudio vengono riversati sulla band, visibilmente contenta e soddisfatta della risposta che Roma gli ha tributato.


Lineup:

Frank Beck: Voce (Gamma Ray)
Daan Janzing: Chitarra (My Favorite Scar),
Joey Bruers: Basso (Up The Irons),
Polle van Genechten: Tastiere (The Overslept)
Lee Morris: Batteria (Magnum/Paradise Lost)

Maiden United Setlist:
“Intro”
“Empire Of The Clouds (parte 1)”
“Aces High”
“Strange World”
“Empire Of The Clouds (parte 2)”
“Charlotte The Harlot”
“2 Minutes To Midnight”
“Children Of The Damned”
“Futureal”
“Empire Of The Clouds (parte 3)”
“The Trooper”
“The Evil That Man Do”
“22 Acacia Avenue”
“Empire Of The Clouds (parte 4)”
“Die Whith Your Boots On”

Encore:

“Wasted Years”

In conclusione possiamo dire che: gli Iron Maiden sono e rimarranno una della band fondamentali nel panorama della nostra musica preferita, e con la loro passione, che dura ormai da tanti anni, hanno scritto pagine musicali storiche di grandissima importanza. Quindi confrontarsi con tali realtà è sempre molto difficile e impervio. Questa sera, in uno spettacolo (non per tutti a mio parere) va riconosciuto ai Maiden United, il coraggio estremo di metterci la faccia, il cuore e tanto, anzi tantissimo lavoro per arrivare a creare uno show di questo livello sia qualitativo che emozionale, da portare in giro in tour sui palchi di mezzo mondo. Bravi e coraggiosi!

Fonte: Rocco Faruolo

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