Ci sono eventi di cui si è da sempre sentito solamente parlare, tramite il racconto di amici e protagonisti, come fossero quasi delle visioni metafisiche o immaginifiche, quasi paradisiache, sospesi tra “sogno e realtà” tanto per citare Sigmund Freud: dopo anni e anni ti attesa, per un motivo o per un altro, finalmente posso dire di aver vissuto anche io in prima persona questa fantastica quanto attesa sesta edizione di uno dei label festival più importanti a livello europeo e mondiale! Il nuovo Frontiers Rock Festival, svoltosi come di consueto nella stupenda e accogliente location del Live Music Club di Trezzo Sull’Adda (MI) nel weekend di Sabato 27 e Domenica 28 Aprile 2019, ha visto come sempre un’ampia quanto variegata partecipazione di appassionati e fan del melodic rock/AOR e dintorni: divenuto oramai appuntamento fisso per tutti gli afficionados e i nuovi seguaci, come il sottoscritto, provenienti soprattutto da altri paesi europei, la nuova kermesse ha visto anche questa volta la presenza di nomi di spicco del panorama rock mondiale, così come quella di giovani band emergenti che hanno onorato degnamente questa manifestazione, divenuta oramai la Mecca del melodic rock mainstream internazionale! Anticipata da un esclusivo VIP-acoustic party, svoltosi Venerdì 26 Aprile (che ha visto la partecipazione tra gli altri di musicisti del calibro di Inglorious, Ted Poley, Mark Spiro, Tommy DeCarlo dei Boston, Dee Castronovo, Alessandro Del Vecchio e Aldo Lonobile tra gli altri – n. d. r.), questo nuovo evento targato Frontiers si è rivelato ancora una volta un vero e proprio successo per tutti i partecipanti e gli addetti ai lavori, con una partecipazione sempre numerosa anche se, come più volte ricordato in passato, ci si aspetta sempre di più visti soprattutto i nomi importanti presenti anche in questa occasione: fa riflettere infatti come un evento di tale portata attiri maggiormente fruitori e appassionati fuori dai confini nazionali e non spettatori anche geograficamente più vicini. Dal canto mio posso semplicemente confermare come una manifestazione di questo genere sia stata gestita in modo eccelso sotto tutti i punti di vista: dalla backline, al sound e all’acustica, dal servizio di ristorazione a tutti gli aspetti logistici e quanto altro! E’ stato inoltre per me un enorme piacere aver finalmente avuto l’opportunità di conoscere e incontrare di persona i tanti amici con cui da anni condivido questa sana e inarrestabile passione: ma adesso bando alle ciance ed eccoci pronti a raccontarvi questa attesissima avventura nel nome del rock melodico, augurandovi come sempre una buona lettura!
Creye
Per motivi logistici purtroppo non mi è stato possibile assistere alle prime due esibizioni della giornata, causa anche la non breve distanza dal centro di Milano con i mezzi, ma per fortuna ho potuto quantomeno recuperare attraverso i racconti di amici e colleghi quali Andrea Lami (Metalhammer.it) e Giovanni Loria (Classix Metal & Classix! Magazine): nonostante un pubblico iniziale ancora poco nutrito, vista l’ora pomeridiana, i giovani ragazzi di Malmö, attivi solo da pochi anni e con alle spalle un EP (‘Straight To the Top, 2017 – n. d. r.) e un album omonimo uscito lo scorso anno per la Frontiers Music srl, hanno saputo comunque allietare i furenti animi dei primi avventori sopraggiunti: con una lineup che vede August Rauer (voce) prendere il posto del dimissionario Robin Jidhed (voce, presente invece sul debutto – n. d. r.), i nostri partono con una “Nothing to Lose” seguita dalla melodica e travolgente “Christina”, in pieno stile swedish AOR, seguite da “Miracle” e “Straight to the Top”, eseguite sempre con passione ed energia, nonostante i suoni iniziali non del tutto ottimali, ma è comprensibile e risaputo soprattutto quando si tratta di aprire ad eventi di questa portata. La creatura di Andreas Gullstrand (chitarra solista), il vero mastermind dietro il moniker Creye, si dimostra una frizzante ed effervescente sorpresa, che ha comunque stupito e colpito diversi tra i presenti, grazie ai refrain mainstream di brani come “Never Too Late” o “Different State of Mind”, conditi dai tappeti sonori di Joel Selsfors (tastiere) e dai riff di Fredrik Joakimsson (chitarra ritmica), mentre Gustaf Orsta (basso) e Arvid Filipsson (batteria) si rivelano alquanto affidabili nel loro apporto ritmico. Salutano i primi spettatori con la bella e ottantiana “Holding On”, ricevendo il giusto tributo al termine della loro esecuzione: giovani promesse ancora un po acerbi o band rivelazione? Snobbati da alcuni tradizionalisti per il loro look molto contemporaneo e per un sound forse troppo plastico, i giovani svedesi hanno saputo comunque reggere bene il palco in questo breve set iniziale: ai posteri l’ardua sentenza, sperando di vederli finalmente di persona alla prossima occasione!
Creye setlist:
“Nothing to Lose”
“Christina”
“Miracle”
“Straight to the Top”
“Never Too Late”
“Different State of Mind”
“Holding On”
Airrace
Anche la performance del quintetto britannico, per i motivi logistici sopracitati, non ho avuto modo di ammirare ma per fortuna, grazie come sempre alle argute osservazioni dei diversi amici presenti, possiamo comunque esprimere un nostro parere a riguardo: tornati sulle scene con l’eccellente ‘Untold Stories’ (2018, Frontiers Music srl – n. d. r.), dopo il loro comeback discografico ‘Back To The Start’ (2011, sempre per la Frontiers Music srl – n. d. r.), la nuova lineup, guidata dallo storico membro Laurie Mansworth (chitarra), ha saputo allietare sagacemente i rockers più incalliti accorsi alla spicciolata in questo primo scorcio di giornata. Partenza affidata alla storica “I Don’t Care”, dal loro debutto ‘Shaft of Light’ (1984), ed è subito un giubilo per le orecchie dei presenti, mentre con la rocciosa “Eyes Like Ice” e “New Skin”, ci viene mostrata per l’appunto la “nuova pelle” del combo inglese; Rocky Newton (basso, già con Lionheart, MSG, House of X, ecc.) è un musicista che non ha certo bisogno di alcuna presentazione, una garanzia così come Dhani Mansworth (batteria, figlio di Laurie), che costituiscono un duo davvero eccellente alla sezione ritmica! Con “Not Really Me” e “First One Over the Line” facciamo un nuovo tutto nel passato per poi tornare ai giorni nostri con l’accoppiata “Summer Rain” e la stupenda “Running Out of Time”, arrangiate egregiamente da tutti e cinque i componenti, soprattutto dalla bionda Linda Kelsey Foster (tastiere) e dall’ugola cristallina di Adam Payne (voce), bravo non soltanto su disco ma anche in sede live, capaci entrambi di portare nuova linfa a questo marchio storico. Applausi anche per loro meritati, prima degli ultimi due brani previsti, “Different but the Same” e la perla “Brief Encounter”, che chiudono un’esibizione certamente gradevole e apprezzata all’unanimità: come già espresso per i Creye, spero prossimamente di poterli vedere di persona on stage!
Airrace setlist:
“I Don’t Care”
“Eyes Like Ice”
“New Skin”
“Not Really Me”
“First One Over the Line”
“Summer Rain”
“Running Out of Time”
“Different but the Same”
“Brief Encounter”
Jeff Scott Soto
Arrivato appena in tempo finalmente per assistere agli ultimi brani degli Arriace, posso finalmente godermi l’esibizione di uno dei nomi più amati da tutti gli appassionati presenti: Mr. Jeff Scott Soto, nome storico di tutto l’hard’n’heavy mondiale, torna nuovamente a farci visita anche in questa edizione del FRF, questa volta sia in chiave solista (quest’oggi), sia con i suoi W.E.T. (nella seconda giornata conclusiva). Sono da poco passate le 16 ed ecco il riccioluto frontman salutarci con le opener “Drowning” e “21st Century”, salutate da un’ovazione generale di un pubblico sempre più nutrito col passare delle ore: accompagnato dal suo storico collaboratore brasiliano Leo Mancini (chitarra), il nostro amato Jeff ci ringrazia per il suo costante supporto, omaggiando la Frontiers per ben diciotto anni di sodalizio, con “Believe in Me” (brano tratto dal suo EP del 2006 e scritto assieme ad un certo Neal Schon – n. d. r.). BJ Behjae (basso) è un altro volto già al fianco del vocalist americano da diverso tempo, capace di eseguire encomiabilmente brani come “Look Inside Your Heart” o “Eyes of Love”, così come Edu Cominato (batteria); “Soul Divine” e “Our Song” continuano la carrellata lungo la variegata carriera di Soto, mentre “Holding On” ci introduce all’ultimo scampolo di set, costellato da una sempre piacevole riproposizione di “I’ll Be Waiting” dei Talisman, con Jeff che si alterna anche alle tastiere, prolungata di molto anche con il coinvolgimento del pubblico nei cori per risolvere alcuni piccoli inconvenienti tecnici accorsi al chitarrista. Ma il finale è pronto a riservarci una gradita quanto inattesa sorpresa con la presenza sul palco del giovane croato Dino Jelusic (voce) degli Animal Drive, in un duetto da capogiro con il lungocrinito Jeff per una versione memorabile di “Stand Up and Shout” (dalla colonna sonora del celebre film ‘Rockstar’ del 2001 – n. d. r.): il pubblico adesso è assai partecipe e intona il ritornello assieme ai due singer, salutati assieme a tutta la band da una standing ovation collettiva al termine del set. Una prova forse non proprio eccelsa di un nome storico per il nostro genere, che ha saputo però come sempre sopperire anche ad alcune carenze con il suo innato carisma e coinvolgimento complessivo: sempre un piacere rivederlo on stage!
Jeff Scott Soto setlist:
“Drowning”
“21st Century”
“Believe in Me”
“Look Inside Your Heart”
“Eyes of Love”
“Soul Divine”
“Our Song”
“Holding On”
“I’ll Be Waiting” (Talisman song)
“Stand Up” (Steel Dragon song) (feat. Dino Jelusić)
Ten
Il tempo per rifiatare e farsi una birra in compagnia di qualche amico storico, ed eccoci pronti ad accogliere un altro nome tanto atteso di questa sesta edizione del FRF: la creatura albionica di Gray Hughes (voce), vanta da sempre un accanitissimo fan club italiano presente anche in questa occasione tra le prime file con tanto di bandiera tricolore! Il loro set spazia tra brani storici ed altri dal loro ultimo lavoro in studio (l’ottimo ‘Illuminati’ del 2018 – n. d. r.), sempre all’insegna dell’epicità che li contraddistingue sin dagli esordi: una grintos versione di “The Robe” fa da apripista in questo viaggio nel tempo con brani più recenti come “Sheild Wall” che non sfigurano assolutamente di fianco ad altri più datati come “Spellbound” o “Gunrunning”. La performance di Gary e dei suoi sei discepoli è semplicemente strepitosa, anche se forse l’elevato numero di musicisti e di chitarre (ben tre) presenti sul palco non hanno pienamente giovato alla resa complessiva del sound, a volte troppo denso e sinfonico: la mia è semplicemente una semplice constatazione e non vuole assolutamente essere una critica alla band che anzi, grazie al contributo dei “tre moschettieri” Dann Rosingana (chitarra solista), Steve Grocott (chitarra solista) e John Halliwell (chitarra ritmica), ha saputo comunque dare nuova linfa ad un sound che non ha per niente risentito lo scorrere del tempo dai loro esordi datati a metà anni ’90! Dal canto suo anche il lavoro di Darrel Treece-Birch (tastiere) è risultato efficace ed indispensabile per le sonorità del gruppo, dedito ad un hard rock sinfonico e a tratti progressivo, come su “Ten Fathoms Deep” o la stupenda e sempreverde “After the Love Has Gone”. Dal loro ultimo sigillo viene pescata “Jekyll & Hyde”, bella e godibile anche in sede live soprattutto per la prova di Steve McKenna (basso) e di Max Yates (batteria), mentre la datata “Red” ci conduce direttamente alla conclusiva “The Name of the Rose”, il brano che li portò alla ribalta più di vent’anni fa, cantato all’unisono da tutti gli spattatori e condito dal lancio di bandiera tricolore nelle mani di Gary che felicemente espone il vessillo ad un’audience letteralmente in estasi! Un’esibizione tanto bramata dicevamo e che ha saputo ripagare la lunga attesa dei tanti sostenitori della band inglese, con un colonnello Hughes capace di mettere in piedi una vera e propria macchina da guerra sonora, con musicisti eccezionali sotto ogni punto di vista: unico neo dicevamo forse la troppa presenza di musicisti sullo stesso proscenio, ma ovviamente è solo una simpatica constatazione che nulla toglie ad una performance da applausi!
Ten setlist:
“The Robe”
“Sheild Wall”
“Spellbound”
“Gunrunning”
“Ten Fathoms Deep”
“After the Love Has Gone”
“Jekyll & Hyde”
“Red”
“The Name of the Rose”
Hardline
Altra breve pausa ricreativa con consueti abbracci e saluti ad amici di vecchia data, e siamo pronti ad assistere ad un’altra esibizione molto attesa di una band ormai di casa qui al FRF: sotto la fervida guida del frontman Johnny Gioeli (voce), il combo a stelle e strisce che però oggi veste maggiormente tricolore (essendo attualmente composto da musicisti nostrani per i 4/5 della formazione – n. d. r.), è pronto ancora una volta a coinvolgere un pubblico alquanto numeroso adesso, con diversi brani tratti dallo storico debutto ‘Double Eclipse’ (1992) e altri pezzi più recenti nonché alcuni dall’ultimo disco di imminente pubblicazione ‘Life’, uscito in concomitanza con la loro esibizione a questo FRF! Un vero e proprio ‘release party’ possiamo dire, aperto proprio dalla nuova “Place to Call Home”, brano che ci mostra il volto attuale della band, seguita senza sosta dalle storiche “Takin’ Me Down” e dalla cantabile “Dr. Love”, brani che a distanza di quasi trent’anni riescono ad emozionare chiunque. I due nuovi arrivati Mario Percudiani (chitarra, già con gli italianissimi Hungryheart – n. d. r.) e il detonante Marco Di Salvia (batteria) danno prova della loro eccezionale bravura non solo tecnico-esecutiva ma anche a livello di feeling sprigionato con il pubblico e con i loro compagni di scuderia: le recenti “Take a Chance” e la successiva “Where Will We Go From Here” (quest’ultima dal penultimo full lenght ‘Human Nature’ del 2016 – n. d. r.) riescono a fare breccia anche tra i fan della prima ora, sempre un po critici e scettici riguardo i recenti mutamenti di pelle del combo, così come sulla fresca “Page of Your Life”. Anna Portalupi (basso) è oramai in totale sinergia con Gioeli & co., mentre su “Life’s a Bitch” e “In the Hands of Time” viene chiamato in cattedra addirittura Deen Castronovo (batteria, ex Journey, Revolution Saints, attualmente nei The Dead Daisies e protagonista dell’ottimo debutto Gioeli/Castronovo assieme a John – n. d. r.): il pubblico è al settimo cielo ed è una festa collettiva, così come ci avevano preannunciato i nostri beniamini, grazie anche alla rinomata e loquace presenza di “Giovanni” Gioeli che ci ringrazia ricordando le sue origini italiche di cui va orgogliosamente fiero! Momento più raccolto del loro set, la toccante “Take You Home”, eseguita magistralmente dal nostro Alessandro Del Vecchio (tastiere e cori), vero e proprio artefice della rinascita sonora della band, sia con il sublime tappeto pianistico e sia in un duetto canoro assieme al suo amico John: solo pianoforte e voce, semplicemente da brividi, con le luci soffuse e accendini in sala. Si volta pagina con una grintosa versione di “Everything”, sorretta da applausi ritmati mentre Johnny fa una fugace comparsa nel pit fotografi per stringere le mani dei suoi amati fan! “Hot Cherie”, loro personale rilettura del classico di Danny Spanos, cantata a squarciagola da tutta l’audience è un cavallo di battaglia immancabile, mentre con “Fever Dreams” e una fiammante versione di “Rhythm from a Red Car”( sulla quale Marco sprigiona un eccellente drum solo sull’intro di “Painkiller” – n. d. r.) i nostri ci salutano, ringraziandoci per il caloroso affetto profuso durante il loro lungo ed avvincente show: a parere di chi vi scrive, tra i protagonisti assoluti dell’intera sesta edizione del FRF, per energia e passione espressa oltre ad un coinvolgimento totale. Hardline: una garanzia assoluta di successo!
Hardline setlist:
“Place to Call Home”
“Takin’ Me Down”
“Dr. Love”
“Take a Chance”
“Where Will We Go From Here”
“Page of Your Life”
“Life’s a Bitch” (feat. Deen Castronovo)
“In the Hands of Time” (feat. Deen Castronovo)
“Take You Home”
“Everything”
“Hot Cherie” (Danny Spanos cover)
“Fever Dreams”
“Rhythm from a Red Car”
The Defiants
Siamo giunti così nella parte alta del cartellone di questa prima e avvincente giornata del FRF VI, pronti nuovamente a cantare e ballare in compagnia di un’altra delle band migliori di tutta questa kermesse, assieme ai loro compagni di scuderia Hardline: Paul Laine (voce e chitarra) e compagni, dopo la folgorante esibizione del FRF III, tornano nuovamente al Live Club di Trezzo per un’altra esibizione che lascerà tutti i presenti estasiati e ammaliati dalla goliardia e dalla verve sprigionata da questi ragazzacci cinquantenni! Una scaletta, come c’era da immaginarsi, che spazia tra brani del loro omonimo esordio discografico del 2015 ed altri tratti dal repertorio Danger Danger, band di provenienza di tutti i componenti presenti sul palco. L’apertura è affidata a “Love and Bullets”, seguita senza batter ciglio dalla cantabile “Waiting on a Heartbreak” e da “Still Kickin’”, con un Bruno Ravel (basso) sempre simpatico e giocherellone con spettatori e soprattutto spettatrici, non da meno del suo collega Rob Marcello (chitarra): se c’è una caratteristica che da sempre contraddistingue il quartetto americano, è sicuramente il genuino affiatamento che intercorre tra i musicisti, visibilmente ancora vogliosi di suonare per il piacere e non soltanto per la fama acquisita come tanti loro colleghi coetanei. “Dead Drunk & Wasted”, primo estratto del repertorio DD, mette subito in chiaro quelli che saranno i presupposti felicemente confermati dalle successive sorprese che la band ha in serbo per noi: “You Crossed My Heart” e la rilettura acustica della ballad “Dorianna” di Laine, fanno da apripista a quella che sarà la rivelazione della serata! Voci di corridoio volevano presente in veste di ospite proprio il ridente Ted Poley, ed eccolo manifestarsi tra il pubblico durante la commovente “I Still Think About You”, accolto da abbracci e pacche di tutti i fan presenti: salito anche lui sul palco, ci riserva un mini-set di marchio Danger Danger con l’esecuzione a due voci di “Goin’ Goin’ Gone” e della sempre ballabile “Don’t Blame It on Love”, facendo venire giù tutto il locale, compresi i più pigri o più attempati tra i presenti! Applausi meritatissimi per Ted e i suoi compagni di merende, adesso tornati nuovamente in quattro per la volata finale del loro set: dopo un breve accenno di “God Of Thunder” dei Kiss da parte di un sempre giocoso Ravel, “Runaway” e “Take Me Back” ci riportano al loro primo lavoro in studio (in attesa del sequel, la cui pubblicazione come ci ricorda la band è attesa per il Giugno prossimo sempre sotto la Frontiers Music srl – n. d. r.), con uno Steve West (batteria) sempre sugli scudi! Veniamo salutati con la fantastica “Beat the Bullet”, sempre dei Danger Danger, che chiude una performance partita un po tiepida ma che ha saputo riservare un crescendo degno del nome dei musicisti presenti, grazie alle inattese sorprese e colpi di scena: altra carta vincente che ha saputo degnamente ripagare tutte le aspettative!
The Defiants setlist:
“Love and Bullets”
“Waiting on a Heartbreak”
“Still Kickin’”
“Dead Drunk & Wasted” (Danger Danger cover)
“You Crossed My Heart”
“Dorianna” (Paul Laine song)
“Don’t Break My Heart Again” (Danger Danger cover)
“I Still Think About You” (Danger Danger cover) (feat. Ted Poley)
“Goin’ Goin’ Gone” (Danger Danger cover) (feat. Ted Poley)
“Don’t Blame It on Love” (Danger Danger cover) (feat. Ted Poley)
“Runaway”
“Take Me Back”
“Beat the Bullet” (Danger Danger cover)
Alan Parsons
Senza nemmeno accorgersene, ridendo e cantando, si è arrivati in un batter d’occhio all’ultimo altisonante nome della giornata: Alan Parsons (chitarra ritmica, voce, tastiere), un nome che solo a pronunciarlo mette timore reverenziale, vista la quasi cinquantennale carriera, sia in veste solista sia con i suoi Project nonché in veste di collaboratore e produttore di autentiche leggende come i Pink Floyd solo per citarne alcuni! Un headliner di caratura internazionale, su cui si sono alternati giudizi e attese a volte contrastanti, tra chi vedeva la sua proposta musicale poco attinente con le sonorità da sempre in voga al FRF e chi invece era ansioso di poter assistere ad uno show che, nel bene o nel male, rimarrà indelebile nella storia del festival e non solo: un concerto dunque all’insegna del classic pop rock con virate west coast/AOR, che ha saputo sapientemente pescare dalla lunga ed eterogenea discografia dell’artista di origini britanniche. Accompagnato in questo suo tour da ben sette elementi, il Maestro ci ha riservato un lungo ed esaustivo set condito anche di alcuni estratti dal nuovo ‘The Secret’ che ha sancito la sua recente entrata nel roster Frontiers. Dall’alto del suo podio, quasi come una divinità in visita tra i comuni mortali, Alan orchestra sapientemente il suo ensemble multiforme, sin dalla nuova “One Note Symphony”, ottima composizione, mentre “Damned If I Do” e “Don’t Answer Me” iniziano questo lungo e suggestivo viaggio nel tempo, ripercorrendo tutte le fasi principali della sua carriera, in particolar modo dei suoi storici The Alan Parsons Project. Come si può rimanere indifferenti alla grazia e alla maestria profuse da tutti i musicisti su pezzi senza tempo come “Time”, “Breakdown” o “The Raven”? Impossibile non rimanere ammaliati, soprattutto dalle performance di alto profilo da parte di Paul Josef Olsson (voce), dalla timbrica ottantiana, di Todd Cooper (sax e voce), dal timbro più vicino a Dennis DeYoung degli Styx, o dai tappeti sonori di Tom Brooks (tastiete)! Il classico “I Wouldn’t Want to Be Like You” introduce il suo nuovo singolo “Miracle”, interpretato con la consueta magniloquenza da parte di Alan e dei suoi discepoli, così come “Don’t Let It Show” e “Limelight”, merito di musicisti dal background assai variegato, come ad esempio l’estrosità di Danny Thompson (batteria) o di Dan Tracey (chitarre). “As Lights Fall”, altro brano dal nuovo album, è una pop song cantata da Parsons, semplice, dolce ma non per questo banale e scontata; siamo nel pieno di questa performance catartica, con “Standing on Higher Ground” e “I Can’t Get There From Here” capaci di lasciarci letteralmente esterrefatti, complice anche la rockeggiante presenza di un altro navigato musicista come Jeff Kollman (chitarra solista), mentre “Prime Time” è il degno preludio al momento clou della serata, con le superhits “Sirius” e “Eye in the Sky”, introdotte dalle mani divine di Alan, con i suoi effetti e arrangiamenti che sfociano quasi nell’elettronica pura: un’estasi sonora per molti e forse, purtroppo, per alcuni palati poco fini una sofferenza, ma d’altronde il bello della musica è anche questo, a ciascuno il suo! Sembra di essere ormai giunti all’epilogo di questo show sonoro e visivo di quasi un’ora e mezza, quando ecco rientrare sul palco Alan e i suoi fratelli, richiamati a gran voce dalla platea letteralmente rapita: l’eterogenea “(The System of) Dr. Tarr and Professor Fether” e “Games People Play” sono altre due perle del suo repertorio storico, eseguite in modo monumentale da tutti e sette i componenti, in particolare da Guy Erez (basso), capaci di sprigionare l’apoteosi più totale in un’audience festante e certamente soddisfatta da questa performance indimenticabile! Saluti e inchini di rito da parte di tutta l’orchestra di Alan e dello stesso artista che, sceso dal suo trono, ci ringrazia sentitamente per l’accoglienza ricevuta: un evento che si è rivelato quasi come un incontro tra divinità del Pantheon e i terrestri, rapiti da una classe innata e immortale quale quella di Parsons & Friends!
Alan Parsons setlist:
“One Note Symphony”
“Damned If I Do”
“Don’t Answer Me”
“Time”
“Breakdown”
“The Raven”
“I Wouldn’t Want to Be Like You”
“Miracle”
“Don’t Let It Show”
“Limelight”
“As Lights Fall”
“Standing on Higher Ground”
“I Can’t Get There From Here”
“Prime Time”
“Sirius”
“Eye in the Sky”
“(The System of) Dr. Tarr and Professor Fether”
“Games People Play”
Stanchi ma felici dopo questa prima giornata di FRF VI che ci ha saputo allietare e coinvolgere a dovere, complice soprattutto le performance di Ten, Hardline, The Defiants e del leggendario Alan Parsons, un’autentica istituzione divina della musica, e soprattutto di un’organizzazione ineccepibile sotto tutti i punti di vista, logistico e acustico. Non ci resta dunque che addormentarci tranquilli e ricaricare le forze per una seconda giornata carica di adrenalina e sorprese, sempre targata FRF!
Fonte: Raffaele Pontrandolfi