Il senso di vuoto che tutti noi amanti della musica abbiamo avvertito appena appresa la notizia della scomparsa di Franco Battiato, ci ha spinti ad una ricerca febbrile di tutti quei momenti e di quelle emozioni che il maestro catanese ci ha fatto vivere nei circa cinquant’anni di attività, se si vuol far partire la datazione da quel seminale primo album del 1972 : “Fetus”. Voler tentare di tracciare in questo nostro spazio una biografia dell’artista è un operazione quanto mai ardua ed anche un po’ superflua, vista la quantità d’inchiostro e di parole giustamente impiegate per omaggiare questo colosso della cultura italiana e non solo. L’unica strada che mi sento di percorrere per descrivere l’artista catanese è quella che la vede incrociare la mia, un percorso forse un po’ autoreferenziale, ma sincero fino all’osso. Ma comunque … ci proviamo.
Chi è quello strano personaggio che è apparso in televisione con il capo coperto da un colbacco accompagnato da un violinista dal severo aspetto accademico? Questa la domanda che mi ponevo nel lontano 1979 allorché Franco Battiato apparve in una trasmissione televisiva per presentare il brano “L’era del cinghiale bianco”. Nell’immediatezza pensai ad una forma di esibizionismo, un voler “essere strano” a tutti i costi per portare l’attenzione su di sé . Ma la musica fece subito breccia dentro di me ed anche l’enigmatico testo che profumava di Oriente. Poco dopo quello strano personaggio ebbe una crescita esponenziale di popolarità, con la pubblicazione dell’album “Patriots” e relativa titletrack, una sorta di inno contro la decadenza dei tempi moderni e soprattutto con l’album “La voce del padrone”, i cui brani divennero dei veri e propri tormentoni in quel 1981 già ricco di buona musica. Ma molti ignoravano i trascorsi musicali del musicista catanese, autore di una serie di album sperimentali, alcuni diventati punti di riferimento della musica progressive ed elettronica italiana: “Pollution”, “Sulle Corde di Aries” e “Clic” sono fra i titoli indispensabili per chi vuole approfondire il Battiato delle origini. Una poliedricità ed un talento anticipatore che lo metteva a confronto con altre realtà, come la musica elettronica dei “Corrieri Cosmici” tedeschi e la musica concreta di Karlheinz Stockhausen di cui divenne amico. I suoi testi risvegliarono l’interesse di giornalisti e studiosi e diedero origine a dibattiti : fino a che punto tali testi erano solo giochi di parole? È qual era il confine fra nonsense e messaggio colto? Da lì a poco avrei scoperto molte cose del mondo che si celava dietro. Il primo ponte fra me ed il pensiero di Battiato nacque in realtà grazie ad un altro musicista: Robert Fripp . Appresi dal libro “Robert Fripp & King Crimson” di Alessandro Staiti, che il musicista inglese seguiva una particolare disciplina insegnata in una scuola diretta da John Bennett a sua volta allievo di un tale Gurdjieff, nome noto soprattutto a studiosi di esoterismo.
Fui subito affascinato da quell’ aspetto della ricerca interiore di cui si parlava e cominciai ad interessarmi a quella filosofia che era alla base del lavoro di numerosi musicisti che poi hanno lasciato un impronta nella storia della musica. Qualche anno dopo mi ritrovo Franco Battiato editore di una collana di libri, l’Ottava Edizioni, dove gl’interessi filosofici del cantautore siciliano si palesavano in tutta la loro ricchezza e complessità. Proprio grazie a quei libri mi fu facile capire che anche l’artista catanese fosse un seguace della scuola di Gurdjieff : “ il centro di gravità permanente “ ed “ i pensieri associativi” non erano semplici invenzioni linguistiche ma precisi riferimenti a quella disciplina filosofica.
Alla fine degli anni 80 ero studente universitario a Bologna, e l’incontro con Kassim Bayatly, sufi iracheno ed uomo di teatro che aveva collaborato alla prima opera lirica di Battiato: “Genesi”, fu fondamentale. Mi disse che Franco (chiamiamolo semplicemente così) aveva un interesse non solo teorico riguardo gl’insegnamenti diffusi dalla sua collana di libri. E fu così che finii per incontrarlo, periodicamente, a Milano, insieme ad un gruppo di persone con le quali condividevo lo stesso desiderio di ricerca . L’appartamento di Franco era in Via Lusardi, zona centrale di Milano, che era poi la sede delle edizioni “L’Ottava”. Era più alto di quanto immaginassi ed il primo incontro non fu proprio dei più facili. Aveva un’attitudine abbastanza severa, cosa che non ho più riscontrato negli incontri seguenti, ed i suoi pensieri ed i suoi suggerimenti avevano comunque una forte presa su noi che eravamo andati ad ascoltarlo. Scompariva del tutto “il personaggio” e la star della musica italiana, restava solo il suo pensiero che prendeva spunto da tanti insegnamenti fusi in un unica “via”. Negl’incontri spesso trovavo musicisti legati artisticamente a Franco che seguivano le sue idee, mi permetto di ricordare qualcuno che non c’è più, come il maestro Giusto Pio, la cantante Giuni Russo e Milva, nella cui casa ci riunimmo quando ormai la casa in via Lusardi non era più disponibile.
Nel frattempo la scena musicale in Italia stava cambiando. Seguendo gli umori internazionali, scompariva la tipica new wave degli anni ‘80 e si entrava verso nuove sonorità. Anche la forma canzone per non appiattirsi e perdere di profondità aveva bisogno di nuove prospettive. La scelta di Battiato all’inizio fu nella direzione della classica. “Come un cammello in una grondaia” mescolava canzoni dal respiro sinfonico a rivisitazioni di “lieder” classici. La guerra del golfo fu spunto di riflessione e condanna della guerra, che arrivò al suo culmine nel famoso concerto di Bagdad del 1992. Proprio in quegli anni rivedo Franco partecipando ad un seminario sull’isola Bisentina, sul lago di Bolsena. L’incontro era basato sui “percorsi interni della voce”. In quell’occasione ascoltai l’anteprima de “La messa arcaica”, che ebbi modo di apprezzare per intero tempo dopo nella basilica di Santo Eustorgio a Milano, nel 1993. Franco si era trasferito già da un po’ nella sua Sicilia, per la precisione a Milo, sulle pendici dell’Etna, dove ritrovava il contatto con le sue radici ed approfondiva l’arte della pittura. Nel 1994 ho avuto l’occasione di conoscere la sua abitazione essendo stato invitato a passare la Pasqua a casa sua, insieme a quel ristretto numero di persone che aveva partecipato agli altri incontri. Ho un bellissimo ricordo di “Villa Grazia” ed anche della mamma di Franco con la quale ebbi modo di chiacchierare. Per un paio di giorni fu una vera full immersion nel suo mondo, con i suoi libri, la musica ed anche una gita sull’Etna con i suoi paesaggi lunari. Credo che “Villa Grazia” debba essere preservata da modifiche di ogni genere, perché in quel luogo si conserva proprio l’essenza di Franco Battiato. L’incontro con il filosofo Manlio Sgalambro e la decisione di affidare ad esso i testi delle sue canzoni , o parti di essi, porterà una ventata di freschezza. “L’ombrello e la macchina da cucire” è il primo album del sodalizio Battiato-Sgalambro, Già dalla citazione di Lautréamont contenuta nel titolo si avverte questo bisogno di mescolare le carte, di cercare nuove vie non ancora battute. Nel successivo “l’imboscata” tale sodalizio arriva alla sua maturazione: “Strani Giorni” suona già di un rock obliquo e sintetico e “La cura” è diventato forse il brano più amato di Battiato dagli anni Novanta in poi. Da quel momento ho smesso di incontrare personalmente Franco. La mia impressione fu quella di avere già assimilato tantissimo, ma lo tenevo d’occhio a distanza, mentre la mia e la sua vita seguivano i loro percorsi naturali.
La sperimentazione nei suoi album non ha mai cessato la sua corsa, toccando le vie del rock e di altre contaminazioni in album interessanti come “Gommalacca”, “I 10 stratagemmi” e “Ferro Battuto”, dove artisti nazionali ed internazionali davano il loro contributo. Per gli amanti del rock citerei Morgan dei Bluvertigo, Cristina Scabbia dei Lacuna Coil, ed ancora i Krisma ed i membri dei CSI, per non parlare della batteria di Gavin Harrison, musicista che diventerà popolare in ambito progressive con I Porcupine Tree ed I King Crimson. Il mio ultimo incontro con lui fu un fugace saluto ed una stretta di mano sotto il palco alla fine di un concerto a Napoli del tour “Apriti Sesamo”, che resta il suo ultimo, vero e proprio, album ufficiale, in cui si raccoglie davvero tutto il pensiero dell’artista, in qualche modo il suo “testamento”, come recita il testo dell’omonima canzone. Franco aveva tanti interessi culturali e filosofici e sarebbe riduttivo collegare la sua vita ad un unica forma di pensiero, piuttosto era in possesso di un sapere fluido che passava attraverso l’arte, la musica, il cinema, il vegetarianismo, il buddismo, il sufismo e la cristianità. Una curiosità ed una fame di sapere irrefrenabile, contagiosa, dalla quale ho avuto il privilegio di essere contaminato.
Negli ultimi anni, prima che si ritirasse dalle scene per motivi di salute, mi ero ripromesso di provare a ricontattarlo, ma non sapevo che il tempo per i nostri incontri era scaduto. Mi resta un patrimonio di ricordi, emozioni e saperi che custodisco gelosamente. Posso solo dire buon viaggio caro Franco … buon viaggio caro Maestro. E grazie.