Il 22 febbraio 2020 ho intervistato, per conto di VeroRock.it, il gruppo The Aristocrats, giunti quasi al termine della lunga tournée europea – iniziata nel novembre 2019 e terminata nel febbraio 2020 – per promuovere il loro ultimo lavoro in studio ‘You know what…?’ (uscito a Giugno 2019 per l’etichetta Boing – n. d. r.). L’intervista si è svolta prima della tappa romana al CrossRoads Live Club.
Ciao ragazzi e benvenuti a Roma! Innanzitutto, vorrei ringraziarvi per aver accettato di essere intervistati da me per conto di VeroRock.it, la webzine italiana online dal 2005. Iniziamo subito!
Quali circostanze hanno portato alla nascita del gruppo? (Bryan): beh, Marco ed io avevamo partecipato insieme a diversi progetti, il più recente dei quali, prima della nascita del gruppo, era un concerto in Russia in trio con Greg Howe. Io fui poi invitato a suonare al NAMM (nel 2011 al Los Angeles Winter show, n.d.r.) e pensai che questo trio fosse pronto a decollare ma poi Greg all’ultimo cancellò la sua partecipazione. A quel punto, Marco ed io avevamo sentito parlare di Guthrie ma non lo conoscevamo personalmente e pensammo bene di scrivergli una mail chiedendogli se volesse unirsi a noi. Lui accettò! È bastata una sola sessione di prove e un solo concerto insieme per capire, dalla reazione del pubblico e dalle nostre sensazioni, che stava accadendo qualcosa di speciale. Decidemmo di scrivere un album e formare una band per vedere che cosa sarebbe successo. E nove anni dopo, eccoci qui! (NAMM è l’acronimo di National Association of Music Merchants, una fiera dedicata ai prodotti musicali, ai sistemi audio professionali e all’industria della tecnologia, che si svolge annualmente ad Anaheim in California – n. d. r.).
Di chi è stata l’idea di chiamarvi “The Aristocrats”? (Guthrie): è stata colpa mia! (risata generale). Probabilmente i lettori che ci seguono avranno già sentito parlare della barzelletta omonima (“The Aristocrats” è una nota barzelletta dal contenuto osceno che sfida ogni genere di tabù – n. d. r.). Quando ci stavamo scambiando alcuni demo e idee di brani per il primo album, i titoli di alcune canzoni suonavano alquanto provocatori: ciò ha suscitato il mio interesse in maniera scherzosa e così ho scritto ai miei compagni chiedendo loro: “che ne dite se ci chiamassimo così?”.
E loro hanno accettato. (Guthrie): non avevamo altra scelta!
Qual’è stato il vostro primo strumento e a che età avete iniziato a suonarlo? (Marco): bella! Quando avevo all’incirca cinque anni ho iniziato a suonare per lo più un organo a pedaliera, quello è stato il mio primo strumento.
(Bryan): pianoforte classico all’età di otto anni. Dopodiché, sono passato al basso acustico a dieci anni e al basso elettrico a tredici anni. Ho cominciato davvero tardi!
(Guthrie): non ricordo… mi dicono che avevo tre anni quando ho iniziato a suonare la chitarra. Tanto tempo fa!
Che cosa vi ha spinto a diventare musicisti professionisti? Da quale artista o gruppo avete tratto ispirazione? (Marco): i Queen! Quando avevo sei anni e i miei genitori ascoltavano i loro dischi, canzoni quali “We will rock you” e “We are the champions” mi hanno letteralmente trascinato nell’universo musicale facendomi affermare: “Voglio diventare un musicista come loro!”
(Bryan): Led Zeppelin, Yes, Pink Floyd, Metallica e per me, sai,…
(Marco): Metallica! (Bryan ride – n. d. r.)
(Bryan): … Jaco Pastorius e Frank Zappa hanno rappresentato una sorta di porta di accesso a qualsiasi cosa assomigliasse al genere fusion. E anche Chick Corea!
(Guthrie): sono cresciuto ascoltando i dischi di rock’n’roll degli anni cinquanta che collezionavano i miei genitori ma anche con gruppi quali Cream, Beatles, Jimi Hendrix, quella roba là. Tuttavia, non penso sia per questo che ho finito per fare musica per guadagnarmi da vivere, non credo per un gruppo in particolare ma semplicemente perché arrivi a un punto in cui ti rendi conto di non avere altra scelta e che questo è ciò che devi fare!
E lo stai facendo abbastanza bene! (risata generale – n. d. r.).
A quali progetti avete preso parte e/o con quale artista avete collaborato prima di formare “The Aristocrats”? (Marco): Steven Wilson, Necrophagist, Kreator, Nina Hagen, Gianna Nannini, Freaky Fuckin’ Weirdoz, H-Blockx, Udo Lindenberg. Chi altro? È stato fantastico suonare con The Buddy Rich Big Band e con un altro chitarrista che è Paul Gilbert. Questo è tutto quello che mi viene in mente in questo momento, probabilmente ce ne sono altri ma è facilmente verificabile facendo una ricerca su Google!
(Bryan): Steve Vai, Mike Keneally, Wayne Kramer degli MC5, James LaBrie e i Dethklock. Anche Joe Satriani, ma ciò è avvenuto contestualmente ai The Aristocrats.
Gli Asia per Guthrie! Silent Nation, un album fantastico! (Guthrie): l’hai detto tu e perciò mi ha risparmiato dal farlo! Ho anche suonato con un rapper molto rinomato in Inghilterra di nome Dizzee Rascal, con un gruppo techno chiamato The Young Punx e ho fatto dell’altro ma non penso ti possa interessare tanto quanto gli Asia!
Tra le vostre tante collaborazioni passate o presenti quale considerate la più emozionante (professionalmente e personalmente) e perchè? (Bryan): questa rischia di diventare una risposta molto lunga, perciò cercherò di farla breve. La mia esperienza più divertente è stata in un gruppo chiamato Dethklok, in quanto io amo il metal e dovevo per forza suonare in un gruppo metal! Inoltre, negli ultimi venticinque anni ho suonato a fasi alterne con Mike Keneally: è un artista molto interessante ed eclettico con il quale ho avuto modo di esplorare differenti stili (il nuovo doppio concept album progressive di Bryan dal titolo “Scenes From The Flood” è stato appena pubblicato e vede la partecipazione, tra gli altri, proprio di Mike Keneally e di Gene Hoglan dei Dethklok – n. d. r.).
(Marco): direi che in questo periodo sto scrivendo un album insieme a un chitarrista di nome Randy McStine, che sarà pubblicato nei prossimi mesi (le prevendite del progetto chiamato “McStine and Minneman” inizieranno il primo maggio – n. d. r.). È stata la collaborazione più emozionante degli ultimi tempi! Inoltre, ho realizzato un album molto bello con … ho dimenticato il suo nome! L’album si intitola “Mahandi” e vede Mohini Dey al basso, Jordan Rudess alle tastiere, Jimi Haslip ne ha fatto parte in qualità di co-produttore e John Frusciante dei Red Hot Chilli Peppers.
(Guthrie): il suo nome è Dewa Budjana!
(Marco): grazie! Dewa Budjana! L’album è veramente bello e siamo rimasti molto soddisfatti dal risultato finale. Queste sono le collaborazioni più recenti che mi vengono in mente in questo momento.
(Guthrie): Hans Zimmer. Mi sono divertito davvero! (Guthrie è il chitarrista principale dell’Hans Zimmer Live ensemble con cui è in tournée mondiale dal 2016 – n. d. r.)
Come descrivereste la vostra musica e il sound al pubblico che si avvicina per la prima volta alle vostre canzoni? (Guthrie): Asia! (risata generale – n. d. r.).
(Bryan): la definizione che rende bene l’idea è “rock fusion”. Infatti, suoniamo musica strumentale sulla quale innestiamo l’elemento “improvvisazione”. Non siamo una formazione che fa jazz o swing.
Assistendo alle vostre esibizioni dal vivo si percepisce una forte coesione tra di voi e, al tempo stesso, una libertà nell’esprimervi tecnicamente. In che misura siete d’accordo con questa affermazione? (Bryan): sono completamente in disaccordo! (risata generale). Stavo scherzando!
(Guthrie): direi che non spetta a noi decidere. Noi facciamo il nostro lavoro e lasciamo questa percezione al pubblico che ci ascolta o che ci viene a vedere.
Come è stato accolto dal pubblico e dalla critica il vostro ultimo album “You know what…?” A chi si deve il divertente disegno di copertina? (Marco): la grafica di copertina la si deve a una persona piacevole e talentuosa di nome Hajo Müller, che ho conosciuto grazie a Steven Wilson. Lui ha già lavorato su alcuni miei progetti e su un mio album solista e ho pensato che l’idea di una caricatura di noi stessi, disegnata alla sua maniera, abbinata a un pollo e a un maialino fosse una cosa simpatica. L’album ha avuto un buon riscontro di pubblico, lo si capisce quando suoniamo i nuovi brani dal vivo. Sai, normalmente i fans rispondono positivamente nei confronti del materiale già collaudato e attendono con ansia di riascoltarlo dal vivo. Ma è altrettanto bello vedere che le nuove canzoni vengono accolte allo stesso modo di quelle vecchie e che i fans, a quanto pare, apprezzano il nuovo album e vengono già preparati in quanto non vedono l’ora di ascoltare dal vivo i nuovi pezzi!
In quanto tempo è stato scritto e registrato l’album e come è cambiato il suono rispetto ai precedenti lavori? (Marco): per la scrittura del nuovo materiale utilizziamo da anni la stessa ricetta. Ciascuno di noi porta brani completi, che vengono imparati, provati e successivamente registrati in studio. Il sound dell’album ci è piaciuto molto in quanto l’acustica degli ambienti di cui è dotato lo studio di registrazione (gli Brotheryn Studios di Ojai, in California – n. d. r.) è, da subito, risultata ottima, adattandosi molto bene alla nostra musica senza costringerci ad un eccessivo ricorso a lavoro aggiuntivo. La registrazione è risultata agevole in quanto il posto è molto tranquillo. Fondamentalmente, siamo stati messi nelle condizioni di realizzare esattamente l’album che avevamo in mente.
La maggior parte dei brani reca firme individuali. In che misura i vostri brani sono il frutto di uno sforzo individuale o collettivo? Qual’è l’effettivo coinvolgimento di ciascuno di voi nei brani scritti da un altro membro del gruppo? (Bryan): prima di ritrovarci in studio, ciascuno di noi scrive e registra demo di brani a casa propria. Vivendo geograficamente molto lontani l’uno dall’altro, non è possibile incontrarci per effettuare delle sessioni di prove. Tuttavia, fin dal primo album abbiamo sperimentato la seguente formula: ciascuno contribuisce con una demo completa di tre brani. Il tutto viene poi registrato in studio dove ciascuno di noi aggiunge il proprio ingrediente che fa diventare la composizione un brano degli Aristocrats, in special modo quando è suonato dal vivo un centinaio di volte. Detto ciò, un ascoltatore attento sarebbe in grado di stabilire la fonte compositiva di un brano… anche se devo aggiungere che, ogniqualvolta è uscito un nuovo album, abbiamo scherzato con i nostri fan chiedendo loro: “provate a indovinare chi ha scritto questa canzone?”. È stranamente piacevole constatare come la maggior parte di loro non abbia azzeccato!
Si può affermare che il vostro marchio di fabbrica sia l’equilibrio tra tecnica e inventiva compositiva? (Guthrie): non ci siamo mai sforzati, in tal senso, di definire realmente ciò che facciamo e sarebbe addirittura controproducente approfondire il tema della creatività… Probabilmente, la cosa che più si avvicina al nostro marchio di fabbrica sono le brevi apparizioni del “maialino e del pollo” durante le nostre esibizioni dal vivo! Il “livello tecnico” non è certamente qualcosa di cui facciamo sfoggio in maniera consapevole, tranne il fatto che ci può essere qualcosa di liberatorio e divertente nel riuscire a suonare abilmente uno strumento. Per quanto concerne la scrittura dei brani… penso che la principale forza trainante del trio sia semplicemente la fiducia che la “chimica” che si crea tra di noi quando suoniamo possa trasparire all’esterno, indipendentemente dalla sperimentazione di qualsivoglia divertente giustapposizione di generi musicali in una determinata canzone. Con il trascorrere degli anni, questa consapevolezza ci ha probabilmente reso più audaci e avventurosi nella scrittura ma l’evoluzione del suono della band è sempre avvenuta in modo organico. L’unico input consapevole di questo processo è il desiderio di privilegiare le canzoni rispetto all’esibizione gratuita di abilità tecniche e di trasformare il divertimento nel suonare insieme in qualcosa che il pubblico può apprezzare e gustare (si spera).
“The Aristocrats” sta diventando un marchio famigliare nel panorama musicale. Quali sono di questi tempi gli ingredienti del successo? (Bryan): se nel mondo della musica esistesse una ricetta garantita per il successo e noi la conoscessimo, la produrremmo vendendola a vagonate! Sfortunatamente non è così e, personalmente, non penso nessuno la conosca, nemmeno coloro che affermano il contrario. In fin dei conti, la cosa più importante, a mio parere, è esser fedeli a sé stessi creando qualcosa in cui si crede fortemente. In primis, è basilare l’integrità della produzione artistica. Poi, una volta individuato il messaggio, è importante trasmetterlo nel modo più efficace possibile. Infine, se si è abbastanza fortunati da avere un pubblico disposto ad acquistare il tuo prodotto, occorre fare in modo che le uscite non eccedano le entrate. Può sembrare banale, ma alla fine si riduce tutto a questo concetto.
Com’è la vita di un artista in viaggio per il mondo? (Guthrie): dipende soprattutto dal viaggio! Avendo tutti e tre sperimentato l’intero spettro della vita itinerante, sappiamo che cosa significhi viaggiare seduti nei primi posti di un aereo oppure nel retro di un furgone… Ogni singola attività ha le proprie comodità e i propri disagi: posso testimoniare che partecipare a un festival estivo con artisti pop da classifica non è come provare a lanciare un nuovo progetto fusion strumentale! Ma penso ci sia un fattore costante: a qualsiasi livello, sei costretto a dover restare lontano da casa per lunghi periodi di tempo. Se non sei in grado di adattare efficacemente – interiorizzandolo – il concetto di “casa”, probabilmente la vita itinerante non fa per te. Dopo un pò, impari a capire ciò di cui hai realmente bisogno quotidianamente per mantenere il tuo benessere fisico e spirituale… e devi fare del tuo meglio per adattare la tua routine quotidiana in modo che rifletta e soddisfi tali necessità, qualsiasi esse siano (i dettagli, ovviamente, variano a seconda dell’ambiente o dell’individuo…). Personalmente, trovo sia utile ricordare a me stesso che girare il mondo sperimentando una differente cultura/clima/cucina, ecc… è più una benedizione che una maledizione, specialmente quando tutte le sere si ha l’opportunità di intrattenere il pubblico semplicemente divertendosi a fare musica!
Le crociere tematiche vanno molto di moda di questi tempi. Vi piacerebbe prendere parte a una come gruppo e quante possibilità vi sono di vedervi a bordo di una delle tante crociere programmate ogni anno (quali: Cruise To The Edge, On The Blue Cruise, Monsters Of Rock Cruise, Blue Note At Sea)? (Marco ha già preso parte all’ultima CTTE in veste di batterista, tra gli altri, della Steve Hackett band – n. d. r.) (Marco): in realtà, nel 2019 ho già partecipato, con tre gruppi, a due crociere consecutive, Cruise To The Edge e On The Blue Cruise. Sulla prima ho suonato con “In Continuum”, “The Sea Within” e Steve Hackett; sulla seconda, unicamente con Steve Hackett (non essendo presenti gli altri due gruppi – n. d. r.). Personalmente, entrambe le esperienze sono state divertenti e non esiterei a partecipare nuovamente, in qualsiasi momento a un’avventura del genere, anche con “The Aristocrats.
Quale artista o gruppo è per voi il più emozionante da ascoltare? (Bryan): io eviterei di dire “più emozionante” ma posso dire che ultimamente ho ascoltato con piacere l’album omonimo di St. Vincent (pseudonimo di Anne Erin “Annie” Clark, cantautrice e compositrice americana – n. d. r.) cosi come “High Visceral, Pt. 1” dei Psychedelic Porn Crumpets, “…but for the sun” dei Big Wreck nonché i nuovi volumi delle serie “Ghosts” (V e VI) dei Nine Inch Nails.
(Marco): essendo un grande fan dei Queen, probabilmente non mi stancherò mai di ascoltare tutta la loro discografia da “Queen II” fino a “The Game”.
(Guthrie): non saprei come rispondere a questa domanda in quanto, al momento, non sento alcun bisogno particolare di “emozioni” nella mia dieta musicale: sto attraversando una fase in cui ascolto musica prevalentemente per le sue qualità rilassanti/meditative.
Con quale artista o gruppo ritenete sia più impegnativo suonare o collaborare? (Bryan): penso sarebbe alquanto impegnativo suonare con Lil Uzi Vert. Ok, lo ammetto, ho pescato a caso dall’attuale Top 100 della classifica Billboard!
(Marco): domanda interessante. Hmm… la tournée cui presi parte con i Necrophagist fu molto divertente ma, al tempo stesso, intensa in quanto il loro materiale è molto denso e con molte variazioni e ciò richiede molta energia fisica.
(Guthrie): per quanto mi riguarda, i contesti musicali più impegnativi sono stati, in generale, quelli in cui ho sentito il bisogno di sviluppare il mio senso di “appartenenza” alla musica e di integrarmi in essa. Qualsiasi pezzo musicale tecnicamente complesso diventa prima o poi suonabile se si è disposti a lavorarci su per un tempo sufficiente ma… quando ho iniziato a suonare con Dizzee Rascal o con Hans Zimmer, parte della mia missione era trovare un modo per integrare la chitarra in un repertorio musicale che originariamente non prevedeva affatto la presenza di tale strumento (del quale, chiaramente, non necessitava dato che la musica aveva già raggiunto un livello di successo e di popolarità senza che vi fosse alcuna presenza di chitarra!) Agli inizi della collaborazione con tali musicisti, mi ricordo di aver trascorso momenti piuttosto “bui”, in cui mi chiedevo se la mia missione fosse ancora raggiungibile essendo preoccupato dal fatto che un qualsiasi mio contributo potesse peggiorare la qualità della musica… per cui la sfida più ambiziosa in quelle circostanze fu mantenere la mia fiducia e alla fine “trovare la strada”.
Avete in programma di arricchire il suono con l’aggiunta di tastiere o di una sezione fiati? (Bryan): a chi non piace il suono di un oboe? Forse dovremmo aggiungerne uno!
(Marco): beh, facciamo già uso di parti di tastiere, piano e altri strumenti in alcune nostre registrazioni. È, comunque, improbabile l’aggiunta di musicisti nel gruppo, dato che l’idea del trio funziona alquanto bene, direi.
(Guthrie): beh, grazie di non aver chiesto quando aggiungeremo un cantante! In tutta serietà, però, direi che il formato trio di base ha due punti di forza che verrebbero compromessi con l’aggiunta di altri musicisti. In primo luogo, c’è l’aspetto logistico: nei numerosi locali in cui siamo stati, sarebbe risultato tutt’altro che pratico suonare con una formazione più ampia. In secondo luogo -quest’aspetto è probabilmente ancor più importante – penso che ci sia più spazio per l’interazione spontanea quando in un gruppo ci sono pochi musicisti. Quando suono con Bryan e Marco sento che, in ogni momento, ciascuno di noi ha piena consapevolezza degli altri due, il che ci consente di rischiare di più musicalmente incorporando nelle nostre performance più “sorprese” spontanee. Più personalità sono presenti in un gruppo, più è difficile preservare una certa libertà di improvvisazione.
Un’ultima domanda: quali sono i vostri principali hobby o interessi non legati alla musica? (Bryan): mi appassiona fare passeggiate e trascorrere il tempo in zone di montagna remote.
(Marco): mi piace molto giocare a ping pong e, recentemente, mi sono molto appassionato alla cucina. Queste sono le attività che io e la mia ragazza privilegiamo nel tempo libero, nella speranza che questa pandemia passi presto.
(Guthrie): in questo caso, meriterebbe di essere citata la birra!
Grazie ancora ragazzi per aver condiviso le vostre idee e le vostre divertenti storie con VeroRock.it. Alla prossima, nella speranza che a questo tour faccia seguito un live album!