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Interviste SOMMARIO

RUBEN MINUTO: l’insostenibile leggerezza del blues!

Nell’ascoltare la musica di Ruben Minuto, se si volesse parafrasare con semplici parole il senso della sua proposta artistica, viene abbastanza naturale riferirsi al celebre best seller di Milan Kundera (L’Insostenibile Legerezza dell’Essere del 1984 – n. d. r.), soprattutto per il senso di “leggerezza” che si respira tra le sue composizioni musicali, non ultime quelle presenti nei recenti lavori in studio, ‘Think Of Paradise’ (2019) ed il nuovo  ‘The Larsen’s Session – Live In Studio’ (2021), pubblicati entrambi in collaborazione con la DELTA Promotion.

Dopo aver felicemente apprezzato entrambi questi gioielli discografici, nei quali è racchiusa tutta l’essenza musicale di Ruben in oltre trent’anni di carriera, era tanta la curiosità che avevo riguardo la sua longeva esperienza artistica, i suoi riferimenti musicali ed in generale rispetto ad aneddoti particolari relativi al processo compositivo sotteso alle sue recenti produzioni.

Difficile e sicuramente riduttivo inquadrare la sua essenza musicale come del semplice e scontato blues di matrice statunitense, poiché la proposta artistica di Ruben è da sempre contraddistinta da una perenne contaminazione con altri generi di frontiera pur sempre ricadenti nella tradizione più vicina e più genuina a quella presente nel Delta del Mississipi. Ancor più se, come lui stesso ci racconterà qui di seguito, tali commistioni sono nate spesso da idee spontanee senza alcunchè di premeditato o deciso a tavolino.

Questo e molto altro ancora costituiscono la genesi del suo processo creativo, a partire dai suoi esordi nella Milano di metà anni Ottanta, fino alle sue collaborazioni con artisti blues e rock internazionali del calibro di Ian Foster, Willie Nile, Jake Walker, Kellie Rucker, Steve Arvey, Ashleigh Flynn e Don DiLego, solo per citarne alcuni. Altrettanto importante per la sua carriera sono state le partecipazioni in terra statunitense ad eventi e kermesse quali l’Owensboro (KY) Bluegrass IBMA Festival nel 2001 e al celebre Festival Blues di Chicago nel 2008, coinciso quest’ultimo con l’importante riconoscimento dell’”Artist Of The Week” decretato dalla stampa di settore del Chicago Blues Magazine. Ma la storia del buon Ruben è contraddistinta, come quella di molti altri artisti, da una lunga gavetta, durante la quale tra le altre cose è stato protagonista della prima incarnazione dei Mr. Saturday Night Special, tra le primissime storiche tribute band dei leggendari Lynyrd Skynyrd, con i quali ha registrato un doppio album dal vivo nel 2006.

La sua “insostenibile leggerezza blues” vive da sempre sospesa tra due vesti musicali, quella acustica e quella elettrica, presenti anch’esse nell’ultima sua fatica discografica, uscita a metà Gennaio scorso, che lo ha visto ancora una volta al fianco del suo fido compare e partner in crime Luca Andrea Crippa (lapsteel/acoustic/electric guitars), sia dal punto di vista compositivo che nelle scelte inerenti gli arrangiamenti e la produzione, ormai un suo riferimento presente da circa un quarto di secolo nella sua vita musicale. Ma un altro protagonista altrettanto importante nella realizzazione degli ultimi due dischi è certamente Larsen Premoli, così come i diversi musicisti coinvolti, ed in particolare Ricky Maccabruni (keyboards, hammond & piano), altro elemento fondamentale negli arrangiamenti e negli assoli durante i bridge dei brani, Alessio Gavioli (batteria) e Paolo Roscio (basso). Non si può non menzionare infine anche il ricco parterre di ospiti presenti in questo ultimo lavoro in studio: a partire dalle tre stupende voci femminili di Jane Jeresa, Sophie Elle e Lucia Lombardo, fino al duo ritmico in versione acustica, composto rispettivamente da Ale Porro (contrabbasso) e Nico Roccamo (drums & percussions). Insomma, tantissimi gli argomenti affrontati con il buon Ruben in questa lunga e piacevolissima chiacchierata, durante la quale il nostro ospite si è raccontato “senza veli”, con una simplicità e genuinità disarmanti, in modo schietto e diretto, con parole mai scontate che ci confermano pienamente la sua profondità artistica.

Si ringrazia per il supporto e la collaborazione Fabio Pedolazzi e tutto lo staff della DELTA Promotion, come sempre efficienti nel coordinamento artistico e gestionale. Buona lettura!

Salve Ruben, grazie innanzitutto per la tua disponibilità e benvenuto nella famiglia di VeroRock.it, è un onore per noi intervistare un artista del tuo calibro! Grazie di cuore, è un piacere ed un onore per me!

Partiamo subito con la prima domanda: lo scorso 15 Gennaio è stato pubblicato ‘The Larsen’s Session – Live in Studio’ per la DELTA Promotion. Qual è stato il responso del pubblico e degli addetti stampa in generale? Incredibile, non mi sarei mai aspettato tanto interesse e tante belle parole. Sono rimasto “piacevolissimevolmente” colpito. Per questo devo sicuramente ringraziare di Cuore DELTA Promotion ed il mio amico Luca Andrea Crippa per l’incredibile lavoro effettuato.

Questo ultimo lavoro esce a circa due anni di distanza dal precedente ‘Think Of Paradise’ (LPB / Reclab Studios). Qual è il filo conduttore che lega entrambi gli album? E quali invece le principali diversità? A dire il vero è passato meno di un anno fra i due lavori anche se , per ovvi motivi, pare passata una vita. ‘The Larsen’s Session – Live in Studio’ è figlio di un’urgenza espressiva compromessa da una contingenza incredibile: Il virus, i lockdowns, la mancanza di rapporti umani…Luca ed io ci siamo attaccati con le unghie e i denti alla vita e per noi la musica è vita! E’ stato un processo naturale ed imprescindibile. Subito dopo l’uscita di ‘Think Of Paradise’, il lavoro precedente uscito nel Febbraio 2019, il mondo si è congelato. Non c’è stata più la possibilità di effettuare quello scambio di energie di cui sopra. Ci siamo trovati quindi con un “surplus energetico” che dovevamo necessariamente convogliare in qualche direzione. Da qui, l’idea.Questo secondo lavoro è sicuramente più introspettivo rispetto al precedente pur mantenendo una linea costante nella scelta delle tematiche trattate.

Sempre riguardo il nuovo disco, rispetto al suo predecessore poc’anzi citato, ho notato una maggior varietà nella reinterpretazione e nell’arrangiamento dei tuoi brani così come per le tre cover rivisitate, probabilmente frutto dell’apporto anche delle tre voci femminili presenti su quest’ultimo lavoro. Com’è nata l’idea di coinvolgere queste tre cantanti dal background e dallo stile differente? Due su tre brani nascono effettivamente come duetti. Quello famosissimo in cui Olivia Newton John e John Travolta cantavano e ballavano insieme e “Who Cares”: quest’ultimo è un mio brano che originariamente cantai insieme ad Ashleigh Flynn nel mio disco ‘This’ (2011). “In The Hands Of Time”, invece, evoca stati d’animo ed atmosfere che Lucia (Lombardo – n. d. a.) riesce a rendere perfettamente con la sua voce ed il suo modo di interpretare.

Sono rimasto veramente colpito dalla reinterpretazione in chiave molto originale delle tre cover presenti. In particolare sull’introduttiva “Molly & Tenbrooks” hai voluto rivisitare un brano storico della tradizione bluegrass statunitense dandogli una veste più malinconica rispetto all’originale, soprattutto in funzione delle tematiche trattate nel testo. Puoi dirci qualcosa di più a riguardo? Ogni volta che parlo di Blue Grass, una delle mie più grandi passioni, amo sottolineare le contrapposizioni emotive che scaturiscono dall’ascolto delle melodie rispetto a quelle scaturite dall’ascolto o dalla lettura dei testi dei brani. Le prime, tendenti all’allegria, alla spensieratezza grazie agli intrecci sonori spesso velocissimi intessuti dai vari banji, mandolini, violini, chitarre o dobri (mi si perdoni l’italianizzazione dei plurali) e costruzioni armoniche per la maggior parte delle volte su tonalità maggiori e molto semplici. Le seconde invece cupe, tristi, disperate a volte ansiogene a causa dei frequenti rimandi a tragedie umane di ogni tipo: perdita di lavoro, mancanza di soldi, tradimenti reiterati, incidenti ferroviari, alcolismo, morte di ogni componente della famiglia senza riguardo nemmeno per l’età del morituro. La cosa mi è sempre “ suonata” strana, fuori posto. A questo punto , per qualche strano meccanismo mio mentale, ho voluto provare a prendere in mano un classico di questo genere musicale e “tirarlo a pari”. Ho quindi scelto “Molly And Tenbrooks”: un brano di cui non possiamo non ricordare versioni imperiture come per esempio quelle degli Stanley Brothers o di Bill Monroe (The father of Blue Grass music) ed ho voluto, coadiuvato dalle idee del mio amico e collaboratore L.A. Creep, cambiarne il mood, nel tentativo di farlo suonare triste almeno quanto intristisce l’ascolto del suo testo. Perchè? Non lo so. Una storia di cavalli, di competizione fra campioni e, naturalmente, di morte. Una storia vera, datata addirittura intorno agli anni settanta del milleottocento. Non so se ve ne fosse effettivamente necessità ma io mi sono divertito molto tanto a riarrangiarla quanto a registrarla in questa nuova , diversa versione.

Ho altresì apprezzato molto anche la seconda cover presente, la celebre hit “You Are The One That I Want” di John Farrar conosciuta per la storica interpretazionenel film ‘Grease’ (1978) con John Travolta e Olivia Newton, qui rivista in chiavesoul/slow rock. Da quale idea sei partito per ripensare questo celebre brano inquesta nuova veste sonora? Sembrerà strano ma non sono stato io a scegliere le covers. Sono state loro a scegliere me. Mi spiego meglio: spesso mi capita di trovarmi, chitarra in mano, immerso nei miei pensieri in una condizione semi onirica. E’ proprio qui che, senza chiedere permesso si fa spazio nei miei sogni ad occhi aperti una melodia che mi sento costretto ad eseguire. Anche ripetutamente. Tante volte mi accorgo solo dopo innumerevoli esecuzioni, di stare suonando a modo mio una melodia esistente. Quando la meraviglia si fonde allo stupore e ad un sentimento divertito, capisco che quella “cover” mi sta chiedendo un nuovo vestito, una nuova chiave di lettura. Ed io cerco di soddisfarla nel migliore dei modi di cui sono capace!

Un’altra tua personale composizione che mi ha particolarmente colpito, sia per i testi che per le melodie, è “This Hour of the Day”. Come nasce e si sviluppa questo brano? “This Hour of the Day”  è stato il primo brano in cui parlo della natura e della bellezza. Neseguiranno poi altri, è molto vecchio, avrei potuto registrarlo addirittura nel mio primoalbum, ‘I Hate To Sing The Blues’ nel 2004 ma non mi sembrava legasse molto congli altri brani sul disco. Attesi quindi l’uscita di ‘This’ nel 2011 per poterlo valorizzare almeglio. “This Hour of the Day” infatti apre il disco e la prima parola del titolo èaddirittura diventata titolo del disco.

Altri brani della tua produzione solista che ho piacevolmente gradito in questa tua ultima uscita discografica sono: “Jimmy Two Steps”, “Along the Way”, “High Heel Shoes”, “Who Cares” e la struggente “In the Hands of Time” . Qual è quella a cui ti senti maggiormente legato e quale invece quella che ha richiesto un lavoro maggiore in fase di riarrangiamento? Come dice il famoso adagio: «ogni scarraffone e’ bello a’ mamma sua», ogni canzone ha una propria motivazione per legare indissolubilmente a se il proprio autore. Questo per dire che faccio davvero fatica a scegliere uno solo fra i dieci brani presenti nelle “sessions”: un giorno potrei sentirmi maggiormente rappresentato da uno ed il giorno dopo da un altro. In tutti i casi , comunque, il lavoro di arrangiamento è venuto quasi spontaneo, figlio dell’ interplay di ormai lunghissima data fra Luca e me.

Come accennato in precedenza, ‘The Larsen’s Session – Live in Studio’ vede la partecipazione di tre stupende voci femminili: nello specifico quelle di Jane Jeresa, Sophie Elle e Lucia Lombardo. Com’è nato questo connubio artistico con ciascuna di queste cantanti e puoi descriverci con un aggettivo ciascuna loro particolarità significativa a livello canoro? Conosco Jane e Sophie da relativamente poco tempo. Jane mi è stata presentata dal mio “fratellone calabrese” Vincenzo Tropepe poco tempo prima del primo lockdown e sono stato subito colpito dalla sua potenza vocale, dalle capacità interpretative e naturalmente dalla sua bravura. Un giorno stavo suonando in un parco dell’interland milanese e alla fine del primo set mi si avvicinò questa ragazzina dagli occhi grandi e profondi che voleva congratularsi con me per il mio set. Mi disse che il suo sogno era quello di poter cantare e se conoscessi qualcuno che potesse aiutarla in qualche modo. Io la ringraziai di cuore e le promisi che avrei provato ad aiutarla. Pochi giorni dopo, la incontrai casualmente proprio nel miostudio mentre registrava un brano penso di sua composizione. Mi fermai ad ascoltarla e fui colpito dal suo particolare timbro vocale ed ancora di più dal suo naturale, bellissimo vibrato. Le insegnai i due brani che avrei voluto sentirle interpretare ed il resto è storia. Con Lucia collaboro ormai da anni invece. Lucia è una bravissima e prolifica cantautrice che cerca di “sporcare” di americana il suono delle sue composizioni ed io cerco di darle una mano. La sua voce mi muove tantissimo ogni volta che la sento. Mi sembrava naturale chiederle un cameo in questo mio ultimo lavoro.

Il nuovo album segna anche una collaborazione con la DELTA Promotion. Com’è nata questa partnership? Il mio compare di lunga data Luca (Crippa – n. d. a.) aveva collaborato anni fa con Fabio di DELTA e lo ha sempre ricordato come una persona seria e gentile. All’uscita di ‘Think Of Paradise’ si sono risentiti per fare quattro chiacchiere e da lì è nata l’idea di poter collaborare. Io ho come sempre ascoltato il consiglio di Luca facendo una scelta azzeccatissima. Mi trovo benissimo con DELTA Promotion e spero soltanto nella loro pazienza nel sopportare un vecchio burbero e lamentoso come me.

Come già avvenuto per le registrazioni, il mixaggio e la produzione del precedente ‘Think Of Paradise’ , anche per il nuovo disco vi siete avvalsi dei RecLab Studios di Buccinasco (MI) di Larsen Premoli. Qual è stato il ruolo di Larsen rispetto al precedente lavoro discografico? L’apporto di Larsen nei miei ultimi lavori è lapalissianamente importante e pregnante. Nel caso delle Larsen’s sessions che, guarda caso porta proprio il suo nome, è stato basilare nella costruzione del suono , nella regia dei video, nella scelta dei macchinari, sempre incredibili da utilizzare e nel consiglio sempre seguito ed apprezzato per ogni più piccolo dettaglio. Larsen non ha avuto fisicamente il tempo di suonare e di partecipare alle registrazioni dei brani in veste di musicista per ovvi motivi di impossibile bilocazione (ma sono sicuro che il buon Premoli ci stia lavorando…). Nonostante questo, sono sempre onorato e felicissimo di poterlo annoverare fra i musicisti ed amici della “band”!

Da cosa è nata la vostra esigenza di girare in presa diretta un videoclip per ciascun brano presente in questa sorta di “best of”? Avete pensato di ripetere questa scelta interessante ed originale anche per i prossimi album? A dire il vero l’idea di partenza era quella di registrare dei videoclip e non un disco. Subito dal primo ascolto però ci siamo convinti che trasformare in un disco dal vivo una sessione di video recording sarebbe stata un’ottima idea, soprattutto considerando la qualità sonora che si riesce sempre ad ottenere negli studi di Larsen, i Reclab Studios, ed abbiamo quindi continuato a registrare, rapiti dalle emozioni e dall’atmosfera che si creava nota dopo nota.

Un ruolo di primo piano nel processo sia compositivo che per quanto concerne gli arrangiamenti eseguiti è stato certamente ricoperto sia da Riccardo Maccabruni (keyboards, hammond & piano) e dal tuo “partner in crime” da circa venticinque anni Luca Andrea Crippa (lapsteel/chitarra solista elettrica e acustica). Puoi raccontarci com’è nato questo connubio artistico, in particolare con Luca? L’apporto dei due amici e musicisti è stato senza dubbio essenziale ed importantissimo, come del resto, quello di tutti i validissimi collaboratori al progetto: Io porto un brano all’attenzione della band che come tale lavora portando pizzichi di personalità nella costruzione del suono. Conosco Luca e Ricky da moltissimo tempo. Abbiamo collaborato per anni nel tributo ai Lynyrd Skynyrd in cui io ricoprivo il ruolo di cantante. Con Luca collaboravo addirittura da prima: avevamo un altro tributo, questa volta agli Allman Brothers in cui ricoprivo il ruolo di cantante e bassista. Abbiamo poi sempre continuato a collaborare all’interno di bands, come ad esempio i No Rolling Back, affiancati da Alex Marcheschi ed Andrea “Briegel” Filipazzi, sezione ritmica dei No Guru e dei Ritmo Tribale, e in duo suonando un impressionante numero di date che ci ha dato modo di affiatarci al massimo.

Rispetto al precedente ‘Think Of Paradise’ , che era più incentrato su brani elettrici, questo nuovo disco è caratterizzato da una maggiore eterogeneità, a cavallo tra la dimensione acustica più introversa e quella southern classica a cui ci hai abituati. Da cosa nasce l’esigenza di ricercare questa doppia veste? Il momento che abbiamo vissuto da un anno e più a questa parte e che aimè continuiamo a vivere richiede, secondo me, una dimensione maggiormente introspettiva che si può raggiungere, a mio avviso, soltanto svuotando. Rivolgere lo “spotlight” sulla costruzione armonica e sul testo di un brano, mi sembrava la via migliore per poter caricare di significato ogni singolo brano. Da qui la scelta di dare vita ad una più intima elaborazione del messaggio.

In riferimento a questo ultimo punto, nel recente ‘The Larsen’s Session – Live in Studio’ compaiono infatti, oltre a Luca Andrea, Riccardo, Alessio e Paolo, anche la combo lineup con Ale Porro (contrabbasso) e Nico Roccamo (batteria e percussioni). Prevedi in futuro una loro alternanza anche durante i live di promozione dell’album tra un brano e l’altro?Certamente. Potendo , Volendo , come si suol dire…che sia per concerti più “importanti“ in cui si possa utilizzare tutta la versatilissima composizione della band, che per motivi di necessità , tutte le formazioni sono intercambiabili ed egualmente efficaci.

Sei ormai un veterano della scena country/blues rock italiana e credo anche europea, avendo iniziato la tua carriera da musicista professionista nel lontano 1985. Quali sono stati i gruppi e gli artisti internazionali a cui ti senti sentimentalmente più legato e con cui sei cresciuto o che hanno costituito un’ispirazione per te? Vari ed eventuali. Spesso rispondendo a questa domanda lascio i miei interlocutori basiti per la varietà e l’omogeneità dei nomi che cito: Lynyrd Skynyrd, Allman Brothers, Seldom Scene, Flatt & Scruggs, Stanley Brothers, Marshall Tucker Band, Frank Sinatra, Alan Parsons Project, Erik Satie, F. Chopin, S. Barber, G. Ligeti, Eagles, James Taylor, e gli indimenticati ed indimenticabili Squallor!

Attualmente quali sono i tuoi ascolti musicali? Ci sono band anche recenti e più giovani che ti hanno in qualche modo interessato come ascoltatore nell’ultimo periodo? Tutti quelli citati sopra e naturalmente, citando nuovi (fra virgolette) artisti debbo necessariamente citare i nomi di Blackberry Smoke, Chris Stapleton, John Moreland, Ryan Adams, Wilco ed infiniti altri che porterebbero questa risposta ad assomigliare ad una lista della spesa.

Negli anni hai avuto la grande opportunità e l’onore di condividere il palco con musicisti del calibro di Ashleigh Flynn, Don DiLego, Ian Foster, Jake Walker, Kellie Rucker e Steve Arvey. A quali di loro sei ti senti particolarmente legato e perché? Ho avuto la fortuna di poter diventare Amico oltre che “collaboratore” con ognuno di loro. Naturalmente con alcuni ho passato moltissimo tempo, con altri molto meno ed è soltanto la durata delle frequentazioni a diminuire il numero di ricordi speciali. Cercherò di dirne uno per ognuno di loro anche se potrei scriverci un libro. Con Ashleigh è indelebile il ricordo di quando mi disse: «Ti sei dimenticato come si sorseggia!» mentre ero intento a sorbire uno dei miei aperitivi preferiti. In inglese la cosa suona molto meglio: «You forgot how to sip!!» mi disse. Io le risposi «That sounds good for a song title!!!» cioè «Sarebbe un bel titolo per una canzone!». Otto anni dopo, pensando a questa cosa ho infatti scritto “I Forgot How To Sip” contenuta nell’album ‘Think Of Paradise’. Con Steve ho un film di ricordi che scorre nella mia mente. Steve è una delle più simpatiche persone che io abbia conosciuto. Ho percorso migliaia e migliaia di chilometri con lui sia in Europa che negli Stati uniti e mai nemmeno cento metri di cotanta strada sono stati scevri da sorrisi e divertimento. Senza contare la saga di Bernard Papawanni che vi consiglio di cercare su youtube. Con Kellie anche tantissimi ricordi ma il più presente è sicuramente quello di quando insieme abbiamo visto gli UFO. Non sto scherzando. Con Don ho il ricordo di un viaggio in Calabria a bordo di una chevy Impala degli anni settanta del mio fraterno amico Vincenzo Tropepe. Ascoltavamo “Almost Cut My Hair” di David Crosby ed esattamente nel momento in cui la canzone recita «Vedo una macchina della polizia nello specchietto retrovisore» fummo fermati dalla polizia. Ian è stato sicuramente il più stimolante dal punto di vista culturale: un vero intellettuale. Con lui ricordo una visita al castello medioevale di Francavilla Bisio. Anche con Jake lunghe chiacchierate ed un concerto in acustico in duo nella bellissima piazza centrale del Piazzo a BIella.

Se potessi scegliere un artista del passato (vivente o deceduto) con cui suonare assieme chi sceglieresti e perché? Uno solo? Forse sceglierei John Starling, la voce dei Seldom Scene, perchè non sono mai riuscito ad incontrarlo e a poter sentire il suo incredibile timbro vocale dal vero: Una delle voci più importanti nell’album delle mie memorie.

Dopo molti anni di gavetta sei riuscito a coronare un gran bel sogno: hai preso parte a due importantissimi eventi statunitensi, quali l’Owensboro (KY) Bluegrass IBMA Festival nel 2001 e al Festival Blues di Chicago nel 2008. Quali i ricordi che hai di quei momenti e degli artisti internazionali che hai conosciuto in quei contesti? Un Tornado emotivo, senza dubbi. Un sogno realizzato quasi senza accorgermene, un cadere nelle braccia calde ed accoglienti di una felicità inaspettata e violentissima. Lo sguardo di un bambino in un negozio di giocattoli tutti a propria disposizione!

Domanda un po scontata, che riguarda invece la tua sfera personale oltre che musicale: come hai passato il periodo del lockdown? Hai per caso pensato di promuovere il nuovo album anche attraverso alcuni eventi in ‘live streaming’? Faticosamente, molto faticosamente. Abbiamo fatto uscire i video delle Larsen’s sessions a cadenza settimanale organizzando “videoparties” su Facebook ma non ho un ricordo troppo piacevole dell’iniziativa.Ho addirittura iniziato ad esibirmi su piattaforme specifiche (tipo sessions – n. d. a.) ma non è proprio il mondo adatto per un cinquantenne abituato ad esibirsi su scala mondiale ma davanti a un pubblico “reale”…

Oltre a variegate e numerose collaborazioni alle quali hai preso parte in tutti questi lunghi anni di carriera, hai all’attivo ben quattro album solisti: ‘I Hate To Sing The Blues’ (2004), ‘This’ (2011), ‘Think Of Paradise’ (2019) e questo ultimo “best of” ‘The Larsen’s Session’ , uscito il 15 Gennaio scorso. Sei già al lavoro per un nuovo album di inediti per caso? Chi può dirlo? Decido sempre cose che poi non mantengo… ‘This’ (2011) avrebbe dovuto essere l’ultimo album della mia carriera e così è stato per otto lunghi anni. Poi, senza accorgermene…Due dischi in due anni…Sono vittima della mia stessa volubilità!

In aggiunta alla promozione, speriamo presto anche in sede live, del nuovo disco, sei occupato anche in altre collaborazioni musicali? E se si quali? Tantissime. bluegrass, blues, country, west coast, soliste, in duo…Tutte in trepidante attesa di poter ricominciare ad esistere. Seguitemi per nuove, interessanti ricette…

Caro Ruben, grazie infinite per la tua pazienza e disponibilità e grazie per questa bella chiacchierata, seppur a distanza. Quale consiglio senti di dare alle nuove giovani leve di musicisti che iniziano a muovere oggi i primi passi nel mondo della musica? Oggi?!?!?!?!? Rimandiamo questo argomento a momenti meno impossibili. Direi solo cose sconvenienti e rischierei di cadere nello scurrile. Scherzo. La passione è alla base della vita e della felicità del creativo. Create. Foss’anche solo per voi stessi, fatelo!

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