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BANCO DEL MUTUO SOCCORSO – Io Sono Nato Libero

Perchè si parla poco di “Io sono nato libero”. L’importanza dell’eredità artistica, a fine 2020, del Banco del Mutuo Soccorso.

25.12.2020. Una data da sempre indicata sul calendario con il colore rosso, nel 2020 si tinge di una tonalità vermiglia più spiccata e profonda. I nastrini natalizi, così patinati e apparentemente innocenti, inizialmente ci avvolgono in maniera impercettibile. In un secondo momento iniziano a stringere, finchè non giungono a impedirci ogni movimento.

Colto da un fremito di ispirazione, mi accingo a scrivere qualcosa su uno dei pochi dischi che ha recentemente scosso la mia coscienza di “semplice estimatore e ricercatore di musica di qualità”. Nell’anno che sta (finalmente) per giungere alla fine, tra un provvedimento restrittivo e un effimero calo della curva dei contagi, il genere umano può cogliere l’occasione di riflettere su dinamiche che sembra aver dato eccessivamente per scontato nell’ultimo periodo.

L’ascolto di “Io sono nato libero” del 1973, nella prospettiva appena descritta, si pone in maniera prepotentemente attuale. Non è facile comprendere le ragioni secondo le quali si parla poco dell’importanza di “Io sono nato libero”. E’ sovente, infatti, riscontrare il “salvadanaio” o “Darwin” nelle classifiche dei dischi più importanti del prog rock italiano, tra le composizioni del Banco del Mutuo Soccorso.

“Io sono nato libero”, secondo chi scrive, rappresenta il punto più interessante ed ambizioso della produzione artistica del BMS e dell’avanguardia artistica rock progressiva italiana del 1970. Impossibile non apprezzare, già dal primo ascolto, la profonda ricercatezza delle liriche di Di Giacomo, lo spessore delle musiche composte da Vittorio Nocenzi, e la piena libertà artistica musicale espressa dalla totalità della band.

Il messaggio profondo che racchiude l’LP, inoltre, lascia un solco indelebile nella coscienza musicale dell’ascoltatore, inducendone attimi di profonda riflessione. La copertina del disco, nella sua pubblicazione originale, ritraeva la sagoma di un enorme portone a chiusura del dettaglio degli occhi di Francesco Di Giacomo. Il varco in questione è tratto da un’abitazione milanese, situata nei pressi del vicolo della Lavandaia.

Ogni traccia del disco approfondisce la tematica della libertà in ogni sua sfaccettatura, dalla dolente tensione causata a seguito di un sopruso politico, all’idea pura e immateriale della libertà intesa come espressione dell’indipendenza dell’artista. Ogni aspetto descritto rende il disco in questione uno dei migliori concept album mai concepiti in Italia.

Tracce

L’incipit del disco è affidata alla suite “Canto Nomade Per Un Prigioniero Politico”, titolo dal chiaro riferimento alla tradizione dei canti leopardiani. La prima traccia è già manifesto del pianoforte nocenziano e della profonda espressività della voce del maestro Di Giacomo. Il testo è una chiara espressione, in toni poetici, del dolore e del dissidio interiore vissuto da un prigioniero recluso per motivi politico:

“Cosa dire, soffocare, chiuso qui… perché?

Prigioniero per l’idea, la mia idea… perché?

Lontano è la strada che ho scelto per me

dove tutto è degno di attenzione perché vive, perché è vero, vive il vero…”

La canzone trae ispirazione dalle vicende storiche legate al colpo di Stato di Allende avvenuto nel 1973 in Cile, e si pone come dichiarazione di resistenza a ogni sopruso e, allo stesso tempo, manifesto del diritto di libertà nell’espressione politica. La suite si conclude con aspra invettiva a ogni forma di discriminazione:

“Voi condannate per comodità,

ma la mia idea già vi assalta.

Voi martoriate le mie sole carni,

ma il mio cervello vive ancora ancora… ancora”

Le musiche esprimono pienamente il senso di inquietudine dell’esiliato che, nonostante l’afflizione, rinnega ogni forma di superficiale pietismo retorico:

“E voi donne dallo sguardo altero, bocche come melograno,

non piangete perché io sono nato,

nato libero, libero,

non sprecate per me una messa da requiem,

io sono nato libero”

“Non mi rompete” è una ballata dal testo lineare e poetico di probabile ispirazione ariostesca. Costituisce una rievocazione della libertà intesa in senso ingenuo e sincero, fino a raggiungere la candida dimensione onirica. Si tratta di un invito a godere e apprezzare di ogni occasione fugace, finchè la libertà riesce ancora a offrirla…

“Perché volete disturbarmi

se io forse sto sognando un viaggio alato

sopra un carro senza ruote

trascinato dai cavalli del maestrale,

nel maestrale… in volo”.

“La Città Sottile” ha arpeggi misti tra jazz e psichedelia in un percorso che conduce l’ascolto a un lirismo di inaudito spessore. E’ facile notare delle affinità con la celebre “Giardino del mago” (contenuta nel primo disco del BMS, il cd. “Salvadanaio”). Le tastiere dei fratelli Nocenzi si fondono in intrecci di sperimentazione prog e classicismo. La voce di Di Giacomo si esprime in senso maniera profondamente suggestiva e dolente. Le liriche trattano dell’alienazione da metropoli, vissuta dal punto di vista del cittadino. Il testo risulta attuale anche per l’ascoltatore del 2021:

“Tu chi sei, città non città

Che vivi appesa in giù alle tue corde d’aria ferma.

Travi, tubi senza dimensioni,

Freddi quarzi invecchiati.

I tuoi mille ascensori di carta velina

Che vanno su e giù senza posa,

Nessuno che scende, nessuno mai sale”

In “Dopo Niente E’ Più Lo Stesso” l’espressività della voce di Francesco Di Giacomo ci racconta della profonda delusione di un soldato russo che, a guerra finita, si accorge dei profondi e forse irreversibili cambiamenti che la sua anima ha subito:

“Canti e balli nella strada volti di ragazze come girasoli

Cose che non riconosco più.

Per troppo tempo ho avuto gli occhi nudi e il cuore in gola.

Eppure non era poca cosa la mia vita.

Cosa ho vinto, dov’è che ho vinto quando io

Ora so che sono morto dentro

Tra le mie rovine.

Perdio! ma che m’avete fatto a Stalingrado!?!”

E’ facile notare, infatti, dopo l’inizio scanzonato sulla rassicurante fine della guerra, il dolente senso di inquietudine del militare. Segue una violenta filippica contro la guerra e i giochi di potere degli eletti, a danno del popolo:

“Difensori della patria, baluardi di libertà!

Lingue gonfie, pance piene, non parlatemi di libertà

voi chiamate giusta guerra ciò che io stramaledico!

Dio ha chiamato a sè gli eroi, in paradiso vicino a Lui.

Ma l’odore dell’incenso non si sente nella trincea.

Il mio vero eroismo qui comincia, da questo fango.

T’ho amata donna, e parleranno ancora i nostri ventri.

Ma come è debole l’abbraccio in questo incontro.

Cosa ho vinto, dov’è che ho vinto quando io,

vedo che, vedo che niente è più lo stesso, ora è tutto diverso

Perdio! ma che cos’è successo di così devastante a Stalingrado !?!”

L’attualità della canzone in questione è rappresentata anche dal testo recitato da Alessandro Haber nella versione contenuta nel disco del Banco “Un’idea Che Non Puoi Fermare” del 2014.

Chiude l’Lp “Traccia II”, un pezzo strumentale sinfonico in chiave progressive. L’ulteriore espressione della genialità della band è rappresentata dalla conclusione del disco, estremamente impegnato e profondo, con un inno alla spensieratezza, in toni sfumati e onirici. Lo spessore dei Banco del Mutuo Soccorso, a seguito della pubblicazione di “Io sono nato libero”, non sfuggì all’attenzione di Greg Lake che, nel 1975, decise di includere la prog band romana nel celebre catalogo della casa discografica “Manticore”. L’uscita successiva è “Banco”, con elisione del nome della band per il mercato internazionale e testi tradotti in inglese.

“Io sono nato Libero” è un capolavoro di profondo spessore, dal messaggio ancora attuale, come per ogni opera senza tempo. L’ascolto rappresenta un’esperienza di inimitabile emozione. La stessa sensazione potremo provare nel momento in cui riconquisteremo del tutto, e in maniera finalmente tangibile e duratura, la nostra libertà.

Che sia di auspicio per tutti noi…

Tracklist

Testi di Francesco Di Giacomo e Vittorio Nocenzi, musiche di Vittorio Nocenzi, eccetto dove indicato

Lato A

1. Canto nomade per un prigioniero politico – 15:43

2. Non mi rompete – 5:03

Durata totale: 20:46

Lato B

1. La città sottile – 7:10 (Gianni Nocenzi)

2. Dopo…niente è più lo stesso – 9:54

3. Traccia II – 2:39 – Brano strumentale

Durata totale: 19:43

Lineup

Gruppo

Francesco Di Giacomo: voce

Vittorio Nocenzi: organo Hammond, sintetizzatore, spinetta

Gianni Nocenzi: pianoforte

Marcello Todaro: chitarra elettrica, chitarra acustica

Renato D’Angelo: basso, chitarra acustica

Pierluigi Calderoni: batteria, percussioni

Altri musicisti

Rodolfo Maltese: chitarra acustica, chitarra elettrica

Silvana Aliotta: percussioni

Bruno Perosa: percussioni

Gaetano Ria: fonico

Gaetano Ria e Alessandro Colombini: mix[2]

ARTISTA: Banco del Mutuo Soccorso

TIPO ALBUM: Studio

ANNO: dicembre 1973

DURATA: 40:29

DISCHI: 1

TRACCE: 5

GENERE: Rock progressivo

ETICHETTA: Dischi Ricordi (SMRL 6123)

VOTO: s.v.

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