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Live Report SOMMARIO

THE CARDS & Paul Quinn, Roma, 12/02/20 – Partita a carte con il Rock!

ROMA, Let It Beer, 12/02/20 – Qualcuno diceva che…è sempre carica la macchina della musica, e allora Vero Rock si mette in scia e la segue! È circa metà Febbraio e il Let It Beer di Roma è sempre sul pezzo per quanto riguarda la musica dal vivo: sempre pezzi da 90 a riprova della qualità offerta. Questa volta il palco viene calpestato dai The Cards & Paul Quinn. Proprio quel mister Quinn che, insieme ad altri ragazzacci inglesi, ha dato vita ad una istituzione della NWOBHM che risponde al nome di Saxon!La serata però prevede un vestito diverso da quello solitamente metallico duro e puro, ma sempre all’insegna di ottime partiture rockeggianti e tonanti al punto giusto. A scaldare l’atmosfera ci penseranno due realtà della capitale che rispondono al nome di NooM e Skull Jack. E allora fuoco alle polveri e che il rock prenda possesso delle nostre orecchie!
Si ringrazia l’amico Stefano Panaro e tutta la redazione di Metalforce per averci concesso questi preziosi e stupendi scatti a corredo del nostro reportage!

NooM
Sono una band giovane e ci guidano attraverso le trame della loro musica, di smaccata impronta progressiva. Malgrado la loro giovane età hanno ben chiare le idee su cui basare la loro personale proposta, in cantiere infatti hanno disco che prende le sembianze del concept, come da classica tradizione prog. Cominciano con “Time Is Over” dove basso, chitarra e tastiera tratteggiano lineamenti rock/prog di buona fattura a sostegno della voce di una timida Lucrezia! Superati i primi momenti di indecisione, i ragazzi vanno avanti con “Amanda” che inizia in maniera morbida tradendo leggerissimi richiami pop, ma la voce si insinua in questa trama, e l’atmosfera si indurisce con note che si sporcano di prog. A metà brano si erge a protagonista Davide con un incisivo giro di basso che fa da apripista al rientro degli altri strumenti, fino ad arrivare ai (pochi) meritati applausi. “Oh My Knight” e “Lord Of The Dust” proseguono il cammino tracciato in precedenza, la parte effettistica è molto curata, la voce sempre al servizio delle canzoni ed un bell’assolo di tastieristico e la band esterna sempre di più le proprie influenze; i controtempi ci sono e sono resi interessanti dalle distorsioni fino poi a tornare a sfiorare quel pop un po’ grigio degli anni 80. “War Of Lost Love” che va a chiudere la performance dei Noom, vede Lucrezia appoggiare la sua voce sul suono di un moog dal vago sapore 70’s, le atmosfere anche quì sono in chiaroscuro ma sempre saldamente ancorate alla migliore influenza progressiva. In conclusione posso dire di aver assistito ad una performance musicale molto valida, con pezzi ben articolati senza mai essere troppo prolissi, arricchiti dalla matrice prog tanto cara a questi ragazzi. Insomma la sostanza c’è e si sente, ora però bisogna continuare, sempre più convinti, nel cammino intrapreso per migliorarsi. I ragazzi però devono anche limare degli spigoli presenti a causa della giovane età mista ad una evidente timidezza, infatti il loro impatto scenico on stage ha lasciato un po’ a desiderare ma nonostante questo voglio allo stesso tempo rassicurarli, poiché se andranno avanti con umiltà e impegno, il tempo che è galantuomo, li ripagherà delle loro fatiche. Forza ragazzi!

NooM lineup:

Lucrezia Cesaroni – Voce
Francesco Ciancio – Chitarra
Davide Gabrielli – Basso e Synth
Diego Carrubba Forte – Batteria
Marcello Tirelli – Tastiere

Noom setlist:

“Time Is Over”“Amanda”
“Oh My Knight”
“Lord Of The Dust”
“War Of Lost Love”

Skull Jack
Si comincia a correre più forte, è il momento degli Skull Jack. Come descrivere questa band se non con parole semplici e dirette come la loro musica, quindi Rock, anzi per dirla come direbbero le loro canzoni “…only rock’n’roll”. Rock grezzo, heavy e punk questi sono gli ingredienti della loro ricetta, immediatamente gradita al pubblico. Si continua nel segno di quella musica che ha avuto tra i tanti paladini mister Lemmy Kilminster e i suoi Motorhead; la velocità non manca e senza battere ciglio ci vengono sparate addosso nell’ordine “No Regrets”, “Scorpion Tail” e “Liar”. Pezzi bollenti, infuocati e ruffiani che vanno a tritare i nostri timpani dando una sferzata metallica alla serata, dal palco vengono catturati gli sguardi e i consensi dei presenti ormai dediti ad incitare la band, muovendo le teste a tempo di musica. Manuela intanto non si fa pregare e macina con la sua chitarra riff su riff e assoli che tengono botta ai tamburi di Matteo. In questo set non esistono pezzi lenti, ma c’è solo sudore condito con tanto heavy rock’n’roll sanguigno, a testimonianza sempre di grande velocità e di una attitudine old school. Infatti come si può udire in “Knucle Feast” e “Shadow Rider” si palesa ancora di più (semmai ce ne fosse stato bisogno) il basso essenziale e martellante di Lorenzo. Si va avanti senza pietà con “Sons Of Liuta” dove la forte presenza heavy thrash fa smuovere le teste anche a chi era rimasto incollato alla propria sedia, ed ora è il momento del brano che porta il nome di questo power trio. “We Are Skull Jack” siamo davanti ad un concentrato di riff taglienti sempre ben suonati dalle sei corde distorte di Manuela, supportati sempre e costantemente dai colpi tambureggianti di Matteo. La corsa ormai sta per finire, infatti quello che ci viene proposto è il loro ultimo pezzo che risponde al nome di “Paint It Black” dove tutti scapocciano. Ed è proprio con la canzone dei rolling stones, proposta nel loro stile personale, e che Lorenzo (secondo me) interpreta veramente benissimo, che si chiude una performance semplice diretta e sporca come solo il rock’n’roll vuole. Di novità non ce ne sono state, ma c’era assolutamente tanto rock in tutta la sua attitudine, risultando così tutto molto essenziale ma dannatamente incisivo. E allora che rock’n’roll sia!
Skull Jack lineup:

Lorenzone – Voce e Basso
Manuela Giannobile – Chitarra e Cori
Matteo Semola – Batteria

Skull Jack setlist:

“Only Rock’n’Roll”
“No regrets”
“Scorpion Tail”
“Liar”
“Knucle Feast”
“Shadow Rider”
“Sons Of Liuta”
“We Are Skull Jack”
“Paint It Black” (Rolling Stones cover)

The Cards & Paul Quinn
Il cambio di palco è stato veramente veloce, nonchè minimale e on stage appaiono i The Cards & Paul Quinn! E si parte senza troppi clamori, che sarebbero degni di una super rock star, invece questi ragazzi dimostrano sin da subito la loro voglia di suonare per noi mista a tanta professionalità. E sarà una bella e consistente set list, dove sono presenti oltre 12 brani prevalentemente estratti dal loro lavoro, omonimo, datato gennaio 2019. La formazione si presenta in un classico power trio dove Harrison Young oltre che alle basse note spremerà la sua ugola nel microfono, insomma un bel muro sonoro nonostante siano soltanto in 3. La bellezza della loro musica è nel proporre un hard heavy blues con una voce bollente che riscalda cuori e timpani. I sorrisi e gli occhi sono tutti per i The Cards e ovviamente per Paul che si diverte e ci diverte con assoli sempre degni di nota e mai banali. Nei pezzi si possono trovare anche sonorità che hanno il sapore di una ballad. Ci sono anche gli anni 80, neanche troppo nascosti, insomma un bella partenza musicale piena e compatta, dove ci siamo potuti gustare “No Soul”, “Bandit On The Run” “Rock & Roll Rocketship”. Il pubblico si è scaldato velocemente e l’arrivo della prima cover della serata lo mantiene ad alte temperature. “Taxman” fa la sua comparsa in maniera heavy rock e poco beatlesiana ma tanto basta a coinvolgere tutti. La seguente “The Process” è a mio avviso un concentrato di blues rock sanguigno con la voce di Harrison molto atmosferica, sostenuta da Koen che rumoreggia con i suoi tamburi, e lì in un angolo c’è lui, Paul, a suonare e divertirsi come un bambino felice. L’incedere del pezzo e spettacolare e fa muovere a tempo le teste di ognuno di noi. Stessa cosa si può affermare per “Pitfall” e “Ride The Freight Train”, rock e blues sono ancora, e sempre di più, protagonisti a corredo di una musicalità veloce e diretta senza troppi fronzoli. E finalmente arriva il momento tanto atteso, e cioè quello di potere ascoltare alcuni riff storici della NWOBHM; i nostri optano per una “Strong Arm The Law” invecchiata per ben 40 anni precisi. Il tempo non ne ha intaccato la bellezza, e anche se stasera è stata suonata con 6 corde in meno e senza mister Byford dietro il microfono, posso affermare che è andata giù come un buon bicchiere di vino d’annata. Dopo aver agitato a dovere le nostre crinite teste, come nella migliore tradizione blues fanno la loro comparsa le armoniche a bocca che con la loro timbrica vanno ad introdurre “Sweet Lowdown Dirty Love” riportandoci di nuovo quel suono acido, grezzo e rock’n’roll che ha caratterizzato sinora la serata. Suono che prosegue anche in “If I Had You” “For You” dove la voce calda di Harrison si erge a protagonista. Ed è di nuovo giunto il momento di sentire delle cover di un certa qualità che non hanno bisogno di presentazioni, ben due per l’esattezza, una è “We Will rock You” arrangiata nel loro stile, e poi c’e posto anche per la splendida “White Room” dove a sorpresa canta anche Paul, da dietro la sua variopinta diavoletto 6 corde. I giri del motore di questa band non accennano a diminuire, e forti del consenso del pubblico vanno a suonare “Long Way To Go” e “Agent Orange” gli ultimi due pezzi estratti dal loro disco, raccogliendo così i meritatissimi applausi per una performance professionale e maiuscola. L’energia che ci hanno trasmesso è rimasta nell’aria e non accenna a dissolversi, quindi c’è voglia di ascoltare un bel bis, e la band non si fa assolutamente pregare. In esso trova spazio un pezzo che va a deflagrare come una bomba e risponde al nome di “Ace of Spades”, anche qui la presentazione del brano è superflua. Con essa il pubblico si è scatenato cantando insieme alla band e tributando con uno scrosciante applauso l’assolo, dietro le pelli, di Koen che ha martellato alla grande i nostri timpani per tutta la durata del set. Ma come ogni percorso anche questo volge al termine con un ultimo brano che prende il nome di “Fire”. Coerenza nella musica presentata che segue un fil rouge lineare e costante, professionalità a livelli altissimi non solo perché ognuno dei 3 musicisti ha un curriculum veramente importante (Saxon, U.D.O., Dew-Scented), ma soprattutto perché hanno proposto uno show veramente degno di nota, ponendo in primissimo piano la loro forte identità, forti anche del bellissimo materiale musicale che hanno scritto e prodotto, senza diventare così una piccola cover band dei Saxon solo perché nelle loro file è presente mister Quinn. Quindi si può dire che ci siamo trovati al cospetto di una grande band, che ha fatto un grande show, con musica di qualità e un atmosfera all’interno del Let It Beer veramente molto bella. Dopo i saluti finali e le foto di rito con tutti, mi sono chiesto cosa potesse mancare. A pensarci bene nulla, solo un po’ di gente in più!

The Cards& Paul Quinn lineup:

Harrison Young – Voce e Basso
Paul Quinn – Chitarra e Cori
Koen Herfst – Batteria

The Cards & Paul Quinn setlist:

“No Soul”
“Bandit On The Run”
“Rock & Roll Rocketship”
“Taxman” ( Beatles cover)
“Pitfalls”
“Ride The Freight Train”
“Strong Arm The Law” (Saxon cover)“Sweet Lowdown Dirty Love”
“If I Had You”
“For You”
“White Room” (Cream cover)
“We Will Rock You” (Queen cover)
“Long Way To Go”
“Agent Orange”

Bis:

“Ace Of Spades” (Motorhead cover)
Drum solo
“Fire”

Fonte: Report: Rocco Faruolo – Foto: Stefano Panaro (Metalforce)

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