MILANO, Circolo Magnolia – Idroscalo, 03/06/2023
Ecco le band che prenderanno parte all’evento divise per palchi:
Second Stage
15:45 Shading
16:45 Slug Gore
17:55 Damned Spring Fragrantia
19:15 Fulci
Main Stage
16.15 Prospective
17.15 Benthos
18.35 Ten56
19.55 Destrage
20.45 Soen
22.00 Meshuggah
Contro ogni pronostico di pioggia dato dal meteo, oggi la giornata è splendida, soleggiata, cielo aperto, poca afa…insomma, condizioni perfette per goderci questo Dissonance festival 2023 nel parco del circolo Magnolia che quest’anno riesce a riunire vari gruppi che propongono generi e sonorità diverse tra loro. Io purtroppo però, a causa di un impegno all’ultimo minuto, mi perdo gli Shading in apertura alle 15:15. Arrivo ormai a circa metà del concerto dei Prospective di cui riesco a godere solo di tre canzoni e mezza, ma pazienza perché sinceramente mi bastano per capire le potenzialità di questo giovane gruppo. Nonostante non ci siano ancora tantissime persone sotto palco, il gruppo è carico e procede spedito e intrattiene bene grazie alla presenza sul palco e alla brillante esecuzione dei brani. Indubbiamente le canzoni proposte hanno un bel tiro e la voce pulita del chitarrista durante le parti melodiche riesce a spezzare quelle più aggressive cantante del secondo (nuovo) cantante. Chiudono il concerto con un inedito in uscita il 16 giugno ed è tempo dei saluti. Un ringraziamento speciale arriva proprio dal nuovo cantante che sul palco sembra davvero essersi sentito a suo agio. Durante il cambio palco mi sposto al palco B, decisamente più piccolo, riempito a dovere dalla band nostrana Slug Gore, nuovo progetto del noto poli strumentista e youtuber Danny Metal dove milita anche il cantante (e streamer/youtuber) Poldo, che freschi del nuovo disco uscito all’inizio del 2023 “Extraterrestrial Gastropod Mollusc” si preparano a farci a pezzi. Qui il pubblico è più compresso, presente e caldo. La batteria veloce e martellante è un continuo trigger per il moshpit, che accompagnata dal growl gutturale e dai riff bassi e taglienti si trasforma in un vero e proprio inno di guerra che accompagna i guerrieri nel pogo. Il concerto, nonostante alle sonorità più dure e aggressive rispetto al gruppo precedente scorre liscio e piacevole e lascia spazio al prossimo gruppo sul palco A, i Benthos, un gruppo progressive metal milanese attivo dal 2018. La band ci propone brani dal loro unico album “II” risalente al 2021 e coglie l’occasione per farci ascoltare canzoni inedite. Quello che propone la band milanese è un metal molto tecnico, ben suonato e dall’esecuzione precisa, con cambi ritmici tipici del progressive. Il cantante ha un’ottima tecnica vocale e risulta molto versatile nel complesso mischiando voce pulita (con un’ottima estensione) e growl, mentre invece la presenza scenica del gruppo non ha carenze e riesce a gestire l’intero palco mantenendo la performance visiva molto dinamica per tutta la durata del concerto. Ed è proprio con la canzone che da il titolo al loro primo album che la band ci lascia per dare spazio ai prossimi Ten56. Durante l’attesa, al palco B sta per suonare un’altra band italiana, I Damned Spring Fragrantia, band proveniente da Modena, stanno commemorando il decimo anniversario dell’uscita del loro album di debutto, “Divergences”, pubblicato per Basick Records, che ha segnato un punto di svolta per il movimento djent italiano.
L’approccio distintivo della band si caratterizza per l’impiego massiccio di elementi progressive metalcore e groove mantenendo però un equilibrio perfetto tra i generi.
È innegabile che i Damned Spring Fragrantia siano in grado di suscitare un’energia travolgente sul palco, trasmettendo al pubblico tutta la loro feroce passione. Questa peculiarità, unita alla loro abilità di fusione di generi musicali, rende la band unica nel suo genere
i prossimi a suonare sul palco A sono i Ten 56. Stasera le band non ci danno tregua, sono come un fiume in piena e appena iniziano a suonare ci catapultano in un reame unico, tessendo un intricato connubio di potenza e virtuosismo. In poco più di trenta minuti, ci fanno attraversare l’intero spettro delle emozioni, dall’euforia all’inquietudine e all’abisso della tristezza più profonda. I loro riff di chitarra, taglienti come lame affilate, si fondono con il fragore delle grancasse, generando un’onda di musica che travolge tutto ciò che incontra. La loro fusione magistrale di generi si arricchisce dell’imponente voce di Aaron, che alterna growl possenti a toni puri, con sfumature di rap molto aggressivo che fendono l’aria come lame. Il batterista, Arnaud Verner, è un’anima in fiamme, vestito della sua salopette, un vero folle che pare in grado di scatenare la tempesta. Ogni tanto si solleva dal suo trono di pelli per impugnare un altro strumento, o danza sul palco come uno fuori di sé. In tutto questo muro di decibel, la band non si è risparmiata dall’istigare il pubblico ai moshpit e ai wall of death, che ormai gasato e pronto ad esplodere non se l’è fatto ripetere due volte. Alla fine del concerto la band ringrazia in maniera calorosa gli astanti, prima di congedarsi e lasciare il palco per la prossima band.
E ora, sul palco B è giunta l’ora dell’ultimo, grande, storico gruppo death metal italiano Fulci.
I Fulci sono un gruppo casertano che vedo per la prima volta oggi e dei quali ho sentito parlare molto bene. Secondo me si esibiscono in un contesto un po’ ristretto e lo si nota anche per la mancanza del classico video proiettore. La band offre uno spettacolo straordinario con l’aiuto della drum machine dal vivo. Nonostante le limitazioni di spazio e tempo, i Fulci sfruttano al massimo le loro capacità, dimostrando di essere all’altezza di band internazionali. La mancanza del telo da proiettore, che avrebbe reso visivamente le scene orrorifiche delle loro canzoni, si fa sentire, ma spero in futuro di poterli vedere in un contesto che permetta di utilizzarlo. La loro performance è genuina, immediata e coinvolgente, con una setlist senza pause e un sound che colpisce nel profondo. I momenti di headbanging, circle pit e pogo si susseguono, e alcuni coraggiosi si lanciano in crowd surfing. I Fulci lasciano il pubblico senza fiato con brani come “Apocalypse Zombie” e “Eye Full Of Maggots”. Nonostante la scaletta condensata, l’esecuzione è impeccabile. La band ringrazia calorosamente il pubblico e l’organizzazione prima di lasciare il palco. I Fulci sono una forza imponente non vedo l’ora di poterli rivedere dal vivo perchè meritano.
Lentamente la luce cala e abbiamo un attimo di respiro prima di entrare negli ultimi tre gironi infernali del Dissonance festival del 2023 che vedono come padroni i Destrage, i Soen e infine i Meshuggah.
Prosegue inesorabile il nostro viaggio mentre il sole lentamente cede il suo regno all’oscurità, i Destrage si preparano a salire sul palco di questo epico festival.
L’Assenza del bassista è palpabile sotto ogni aspetto, visuale, tecnico ed espressivo, come succederebbe a qualsiasi gruppo del resto. Ma, nonostante tutto, questi ragazzi sono veramente capaci e continuano a creare, trasformarsi e sublimarsi senza sosta. Con il loro sesto album in studio, intitolato “SO MUCH. too much”, il sound dei Destrage si conferma sempre intenso, intricato, complesso, melodico, ironico e funky. È un vero e proprio capolavoro che mette in risalto l’incredibile talento e le innumerevoli sfumature dei suoi membri.
Le luci si abbassano, e ora è tempo per i Soen di entrare in scena. C’è da dire che come gruppo escono dai toni più violenti di questa giornata, ma a pare mio questo è un punto a favore dei questa organizzazione e a quanto pare la folla sotto il palcoscenico la pensa come me.
L’entrata in scena è un trionfo epico, accompagnata dalle prime note di “Monarch”. Joel Ekelöf, soggia un look aggressivo con una giacca di pelle e occhiali da sole (nonostante il caldo). Pobabilmente il look è d’accompagnamento ai suonii decisamentee più duri dell’ultimo lavoro discografico: “Imperial”. Il buio arriva iiinesorrabile e lo spettacolo prosegue con i brani più celebri “Savia”, un richiamo ai Tool, riempie l’aria di un’energia travolgente. Purtroppo, il concerto dura poco per via di un ritardo della band al soundcheck che ci lascia con soli sei brani. Il concerto si chiude con “Lotus” e per i saluti la band sfoggia la bandiiera ucraina in segno di solidarietà.
Calano le tenebre e finalmente il momento tanto atteso è arrivato. È in questo contesto che i Meshuggah fanno il loro ingresso cupo nell’oscurita del palco.
Le barbe dei membri della band si intravedono nella luce rossa che illumina le loro sagome, sono imbiancate dal tempo e aggiungono un tocco di saggezza e maestosità ai membri della band. È l’inizio di un’esperienza unica.
Con “Broken Cog” inizia il concerto, e Jens Kidman, con la sua voce potente e carismatica, si rivolge direttamente al pubblico. Ma non è solo la musica a colpire, è l’intero spettacolo che si svolge davanti ai nostri occhi e corredato di efffetti di luce mozzafiato, scenografie maestose e una cura maniacale per ogni dettaglio creando un’esperienza visiva indimenticabile.
Il suono travolgente dei Meshuggah prende vita, implacabile e distruttivo. La batteria scandisce le ritmiche difficili dei loro brani secca e precisa come un metronomo, le chitarre e il basso creano un muro sonoro oscuro e infernale. Ogni brano è una dimostrazione di tecnica e potenza, portando l’ascoltatore in un vortice di esaltazione.
Il concerto si sviluppa attraverso altri otto brani che annientano ogni emozione con le loro atmosfere oscure e complesse. “Rational Gaze” e “Born In Dissonance” ci immergono in un vortice di follia e dissonanza, mentre i capitoli dedicati alla morte, “In Death – Is Life” e “In Death – Is Death”, ci portano verso territori ancora più disturbanti.
Man mano che il concerto si sviluppa, ci troviamo immersi in un’ora di pura magia. La maestria dei Meshuggah si fa sentire in ogni nota, in ogni cambiamento ritmico, in ogni intricato passaggio strumentale. La loro tecnica è sempre stupefacente, e anche se l’ora sembra volare via, è sufficiente per assaporare appieno tutto ciò che questa band ha da offrire.
Il concerto si conclude con “Demiurge” e “Future Breed Machine”, che risuona come un richiamo primordiale e quando le ultime note risuonano nell’aria e le luci si abbassano, siamo lasciati con un senso di soddisfazione misto a dispiacere perché in genere gruppi di questa portata suonano per più tempo. In ogni caso quello che abbiamo vissuto oggi è stato comunque un viaggio straordinario, una dimostrazione di talento e maestria da parte di tutte le band che hanno partecipato a questo festival meraviglioso.