TREZZO SULL’ADDA (MI), Live Music Club, 17-18/09/22 – E’ finalmente tornato il festival di Metalitalia, organizzato insieme a Cerberus Booking e Vertigo, con 2 giorni completamente a tema, il primo Thrash Metal ed il secondo Black Metal.
Normalmente sono abituata a partecipare a festival con line-up inclusiva di diversi stili, quindi è stato sicuramente qualcosa di nuovo e particolare.
Mi preme innanzitutto lasciare gli opportuni ringraziamenti per tutta l’organizzazione, per mettere in piedi un festival così ci vuole sicuramente tanto impegno e coordinazione, più una struttura adatta a supportare il tutto e direi che il Live Club è il posto giusto. Questo poi è uno di quei festival in cui si va senza troppi appuntamenti precisi, il bello è rincontrare amici da tutta Italia con effetto sorpresa, cosa che apprezzo molto, specialmente dopo i 2 anni di Covid che hanno influenzato così tanto le nostre vite in negativo.
Sabato 17 Settembre – Giorno I
La prima giornata prevede una maggioranza di band nostrane e quindi vediamo i National Suicide scelti per l’apertura, che per fortuna si sono ritrovati già un discreto pubblico, arrivato anche molto presto per i meet and greet con i gruppi.
Non hanno avuto molto tempo, ma sono stati in grado di dare ufficialmente il via al fest in modo energico e coinvolgente e di questo non ne dubitavo, perché nel corso della loro carriera hanno aperto alle migliori band Trash Metal.
A seguire gli Hyades, gruppo in attività dal 1996 che però negli ultimi anni si è visto poco in giro, soprattutto in Italia, i quali ci propongono un Trash dalle venature Speed. Il pogo parte subito, il ritmo è già acceso e questa band, anche se sta suonando relativamente presto, può vedere l’audience già raddoppiata rispetto a prima. Devo dire uno show adrenalinico con una formazione a 5 elementi che genera un sound degno rappresentante del genere, ma che rimane anche molto più scarno rispetto a chi nel corso del tempo ha spostato lo stesso verso ritmiche più corpose. Concludono con la cover di “You Gotta Fight For Your Right To Party”, in allegria e ci prepariamo per il prossimo gruppo.
Unico neo da menzionare, la presenza on stage; fattore imprescindibile se vuoi distaccarti dalla massa. Stasera l’ho vista solo da parte del cantante, mentre gli altri si sono dimostrati un po’ troppo statici.
E’ arrivato il turno degli In. Si. Dia, band che ha già la sua fama e che quasi da sempre ha orientato la propria proposta in lingua italiana. La scelta può piacere o meno, io personalmente preferisco in inglese, il linguaggio ha una forza di penetrazione maggiore tra qualsiasi pubblico.
In ogni caso giudicando tutto il resto, il quartetto bresciano è attivo dal lontano 1987 e dopo tutto questo tempo la grinta non si è affievolita, perché ci regalano un’esibizione degna di nota che in parte contiene pezzi storici, mentre per il resto si spazia un po’ anche presentando dal vivo alcuni inediti facenti parte dell’album “Di Luce e d’Aria” in uscita a fine settembre.
Il momento è quello giusto per presentare i nuovi pezzi, che evidentemente vengono già apprezzati e ce ne accorgiamo guardando al pogo continuo dentro al circle. Show di grand’effetto con Paolo che pesta alla batteria che si accompagna a riff di chitarra persistenti.
Extrema a seguire, padroni di casa poiché formatisi proprio qui a Trezzo sull’Adda verso la fine degli anni ’80, sono una band italiana dalle diverse sfaccettature, con basi thrash che col tempo hanno però strizzato l’occhio al core con qualche ritmica rappata.
La loro storia è qualcosa di sorprendente, per quello che sono riusciti ad ottenere grazie al grande impegno, ma soprattutto grazie alla spinta che la loro musica dà, con un ritmo capace di accendere il pubblico in pochi secondi
La band è abbastanza attiva a livello live, ma è molto tempo che non vedo news notevoli.Periodo di stallo? Speriamo di avere presto qualcosa di interessante. Ma torniamo a noi, la band si destreggia molto bene sul palco e poi ha una fetta di fan sotto palco facilmente riconoscibili. È bello vedere questa passione. Il tempo scorre veloce, con brani che il quartetto di Trezzo presenta abilmente l’uno dopo l’altro, col suo stile graffiante, non artificioso ma dritto al punto. Passiamo da brani come “This Toy” a “Fear”, ben conosciuti e dove la linea ritmica segue un filo molto coerente per tutto lo show.
Arrivano gli Onslaught.
Band storica, che però ha visto più volte la propria line-up cambiare, così come è mutato lo stile, gli Onslaught rimangono in ogni caso un pilastro nell’ambito Thrash Metal. Prima band straniera della serata, i 4 arrivano dalla Gran Bretagna e per l’Italia è la prima volta con Dave Garnett alla voce (giunto nel 2020), sempre grazie al periodo di stop che il Covid ci ha “regalato”.
Scena simpatica: vedere che mentre quelli del gruppo terminavano il soundcheck, le persone del pubblico stavano in tranquilla attesa per poi urlare all’unisono quando sono riusciti e rientrati dopo 2 minuti, stavolta per iniziare lo show.
La scaletta prevede una “passata” su tutti i brani che hanno segnato le tappe della band e se dovessi dare un voto al “nuovo” cantante, direi che è stata trovata la persona giusta e che con la sua voce, graffiante e potente allo stesso tempo, li può portare ancora lontano. Potrebbe forse esserci un po’ più di dialogo tra band e pubblico, specialmente perché gli italiani fanno parte di un’audience conosciuta per essere calorosa e comunicativa.
In pista il pogo è sempre presente, con un pubblico variegato e molto energico… Sono infatti presenti rappresentanti di tutte le fasce d’età, una cosa stupenda secondo me essere così riuniti dalla musica.
Ritmiche travolgenti che “mescolano” la gente del pubblico, da “The Sound of Violence” a “Destroyer of Worlds” e “Thermonuclear Devastation” che tra gli altri pezzi in scaletta sono quelli che ci scuotono meglio.
Anche questo show si chiude con grande impatto ed arriva il cambio palco, mentre l’attesa sale sempre di più personalmente per i Sodom, che non vedo l’ora di (ri)vedere.
I Bulldozer ci riportano in Italia e per chi non li conoscesse bene, sono una band che ha avuto i suoi primi anni travagliati, anche se per diverse vicissitudini non sempre dipendenti da loro.
Nonostante ciò, rimangono tra i pionieri italiani del Thrash Metal, con influenze Speed, il che li porta ad essere un gruppo cult sempre amato e gradito nei festival ed ormai in pista da ben 40 anni!
Il concerto inizia con la scena sul palco di un sacerdote che mostra il crocifisso forse ad un’anima infedele, in ogni caso un tizio sul palco che sembrava divertito più che timoroso.
Si inizia a suonare, ma il microfono di AC Wild inizialmente sembra non avere un buon volume, cosa che viene corretta dopo 2 brani; inutile dire che quindi la prestazione cambia dal giorno alla notte e finalmente possiamo assistere ad uno show rappresentante di questi due elementi proprio come dicevo all’inizio, una fusione speciale di Speed e di Thrash, che fa muovere tutto il pubblico del Live Club. La setlist è conosciuta dalle prime file e personalmente ho trovato molto ben eseguita “Welcome Death” ed ho notato una linea di energia sempre costante a livello esecutivo, di intrattenimento ed anche vocale.
Come ultimo pezzo, la band ha deciso di puntare su una cover, scegliendo i Motorhead con “Iron Fist” per via della grande influenza subita dagli stessi.
E’ il momento dei Coroner, band Svizzera con la particolarità di non produrre più nulla da circa 15 anni che continua ad essere molto amata nonostante tutto e stasera qui al Metalitalia fest erano molto attesi da tutti. I 4 ci propongono un metal molto tecnico, più tendente ad un Progressive tetro che ad un Thrash puro. In effetti batteria e basso tengono sullo sfondo ritmiche vicine allo stesso, ma gli assoli sfociano troppo nel virtuosismo.
La seconda parte del set sembra invece tornare ad uno stile più scarno e sul Thrash, seppur più lento; si sveglia la seconda anima dei Coroner. Riconosco la loro bravura e la fidelizzazione di pubblico che hanno saputo creare, però personalmente, posso dire che a me questa band proprio non riesce ad emozionarmi?
Il sorriso mi torna con i Sodom, che bello rivederli!
Se vi chiedessero di descriverli con 3 parole, quali usereste? Io forse potenti, insolenti e sfacciati (ovviamente con valenza positiva)!
Il pubblico sembra più vivo ora che a inizio serata e la scaletta viene definita dai più molto “classica”, ma un classico che spacca (anche se non mi hanno fatto “In War and Pieces”). I pezzi li conosciamo bene tutti, posso citare “Agent Orange”, “Caligula”, “Remember the Fallen”, ma non sono qui per una telecronaca degli stessi, bensì per confermare a voi che non c’eravate, che vi siete persi un grande show.
Tom Angelripper ad un certo punto ha esclamato di aver quasi raggiunto i 60 anni di età e non avendo ben capito con quale spirito lo avesse fatto, avrei tanto voluto fargli un “pat-pat” sulla spalla, a voler dire: “Sì, ma guarda cos’hai creato. Dalle miniere al giro dei palchi nel mondo!”.
Finisce il primo giorno di un grande festival e tutti tornano a casa molto soddisfatti… molte persone saranno qui anche domani!
Domenica 18 Settembre – Giorno II
Cambia lo stile, cambiano le t-shirt indossate dai metalhead. Vediamo oggi Deicide, Watain, Dimmu Borgir & Co.
Il secondo giorno inizia con un trittico niente male con Blasphemer, Bolzer e Necrophobic. Stesso range di stile, ma sfumature differenti per i primi, band nostrana, che integrano con atmosfere più Brutal/Death, per Bolzer invece torniamo un po’ “nei ranghi” per un genere Black/Death ispirato da concept molto vari ma guidati da una voglia (come detto più volte dalla band svizzera) di far bene e non essere scontati. Infine, dalla Svezia, i Necrophobic, che propongono un genere che sfocia molto di più sul melodico. I 3 gruppi per logica di cose hanno scalette più brevi, ma non per questo meno efficaci; la sala è già piena per 2/3 e quindi anche questa giornata si preannuncia di successo. Ecco che arriva un nuovo cambio palco ed i Tribulation si apprestano ad iniziare; non conoscendo molto bene la band svedese, posso notare un mélange di sonorità molto varie dal Death al Black con elementi Progressive e voce rigorosamente Black.
Attivi dal 2001, quindi proprio gli ultimi arrivati, si sono formati quando il Death Metal svedese ha dato il suo più grande impatto.
Un inizio più sprint per poi passare a ritmiche più lente e persistenti, che in alcuni momenti ricordano i vecchi Opeth. Non male direi, ensemble molto tecnico che punta su ritmiche in crescendo su pezzi che come potrete immaginare hanno un minutaggio importante, creando quasi una “storia ritmica” dai capitoli che variano considerevolmente mentre ci si trova comunque dentro lo stesso brano.
Durante il cambio palco vediamo montare tantissime parti di scenografia: stiamo per assistere al concerto-show dei Batushka di Krysiuk.
La premessa molto importante da fare qui è che preferisco non schierarmi dalla parte dell’uno o dell’altro (mi riferisco ovviamente al creatore della band e del cantante), perché sinceramente è un vero peccato vedere delle dispute a soli 3 anni dalla nascita con successo quasi immediato di questa bellissima band. In ogni caso, lo show inizia con la consueta solennità che è sempre stata l’anima della band ed i 7 componenti sul palco sono tutti abbigliati a dovere, con il viso nascosto da velo nero e cappuccio.
Al centro del palco, una bara, vessilli, candele e quant’altro, mentre alle spalle del batterista uno sfondo notturno di un cimitero in un boschetto. Il Black Metal non delude mai in quanto a scenografie ed abbigliamento ricercato, perché è uno stile che mira a costruire una realtà parallela differente e grazie alla musica a farci entrare nel vivo della stessa, ricreando atmosfere e luoghi in grado di farci viaggiare lontano. È per questo che lo ritengo un genere con parecchie band pure novelle che hanno ancora qualcosa da dire.
Tornando a noi, peccato che al contrario di altre performance, su questo palco le candele siano tutte spente, così come le “fumate” che di solito completano tutti quello che la scenografia ha iniziato. Il concerto scorre nonostante la loro proposta non sia così “dinamica”, i suoni sono caratterizzati da un tappeto ricco di batteria, riff e cori che hanno il compito di esaltare la voce che ci entra in un contrasto che tiene lo spettatore con gli occhi incollati al palco. Vi deve piacere il genere, altrimenti meglio fare pausa birra.
Asphyx
Qui abbiamo un front-man molto comunicativo che interagisce col pubblico durante ogni intervallo tra una canzone e l’altra e che evidentemente va un po’ contro gli stereotipi del classico tipo dar
Ultimo album, Necroceros, pure abbastanza recente (2021) ed immagino non ancora promosso a dovere; in più chi conosce bene la band sa già che la loro storia è stata piena di interruzioni, ma che comunque sono stati sempre molto amati, per via della fusione molto ben amalgamata tra Doom e Death Metal (e direi anche con un pizzico di Black). L’ultima reunion risale comunque al 2007 e da lì sono ancora attivi, anche a livello produttivo.
Ed è proprio questa fusion che stasera portano sul palco in maniera energica e senza troppi fronzoli, col pubblico che ha ripreso solo con loro a fire crowd-surfing.
Necroceros sarà sembrato pure un album senza troppa fantasia, ma ha sempre un buon livello e stasera lo possiamo ascoltare.
Ed ora ecco a voi un personaggio iconico del Black Metal, Abbath, che dà nome alla sua stessa band, dopo un passato come leader degli Immortal.
Sappiamo già che Mia Wallace (anche bassista nelle Nervosa) non suona stasera, gran peccato.
Fin da quando questo personaggio ha messo piede sul palco, il pubblico è letteralmente esploso e subito è stato catapultato in atmosfere da Black tipico norvegese, veloce e graffiante, con una batteria che incalza alla grande.
Il sound appare pieno, nonostante siano solo in 4 ed Abbath stasera sembra essere molto in forma, si muove in continuazione sul palco, fomenta il pubblico, mise completamente in pelle e spuntoni da una tipicità tutta sua, come per dire a tutti gli altri: “non importa la band nella quale mi trovo, voi ricorderete me!”
Questo lo si evince anche dalle dimensioni del logo, che prenderà circa 5 metri, ma lui può permetterselo. Che dire della scaletta, è stata sapientemente scelta per spaccare ed ha incluso ben 3 cover dagli Immortal.
Dulcis in fundo della serata, gli svedesi Watain. Band che in passato ha generato diverse controversie, presunte accuse e tanti altri episodi, incuriosisce molto dal vivo. Partiamo dalla coreografia: sul palco vengono montati pannelli legati tra di loro con file di catene e davanti alle casse, proprio di fronte al pubblico, strutture in ferro con il loro logo alato.
Immancabili le croci capovolte. A parte il grande clamore che la band ha generato negli anni, la situazione adesso sembra davvero cambiata e l’esibizione è basata su pura professionalità ed un ottimo dialogo col pubblico, che osserva ammaliato. Le loro sonorità sono tipiche del Black scandinavo, con tutti gli elementi tipici che lo contraddistinguono: atmosfere oscure, batteria dalle ritmiche ostinate e cicliche, molto speed, così come i riff di chitarra e di tanto in tanto assoli che vanno ad accentuare il tutto, andando a tessere una potenza che ha i suoi picchi.
Notevole la performance Erik Danielsson, per la grinta che dimostra, unita da una voce molto potente per cantare e caricare questo tipo di Metal. Pezzi come “Devil’s Blood” ed “Angel Rape” in particolare, hanno infuocato l’intera audience.
Degna conclusione della 2 giorni sapientemente organizzata da tutto il team di Metalitalia e le agenzie partner, che vedevo sempre in giro, dinamici come formiche, per garantire il perfetto svolgimento di tutto ciò che era stato organizzato senza intoppi; non è stato semplice, ma da quello che si è visto da fuori direi promossi a pieni voti!