ROMA, Parco della Musica, Sala Sinopoli, 03/05/22 – Spesso, quando assisto ad un concerto che mi coinvolge, sento l’impulso immediato di raccontarlo attraverso un report per condividere le emozioni vissute. Ma ci sono dei concerti che hanno bisogno di tempo per essere descritti, il tempo per assimilare delle emozioni troppo intense che arrivano come un lampo accecante. È questo è il caso del live dei Van Der Graaf Generator, tenutosi il 3 Maggio a Roma dopo circa due anni di rimandi.
Per me un concerto particolarmente atteso, poiché stiamo parlando di una delle mie band amate da sempre e mai vista dal vivo se non nelle esibizioni del solo Peter Hammill, voce e compositore principale della formazione. I Van Der Graaf mancavano dal nostro paese dal 2013, ma si sono fatti perdonare l’attesa con ben sei date distribuite per lo stivale, registrando il sold out ovunque, segno di un rapporto molto vivo con quell’Italia che li ha amati fin dal 1971, quando in cima alle nostre classifiche di vendita c’era l’album “Pawn Hearts”, al primo posto per settimane, mentre era quasi del tutto sconosciuto in patria. Da qualche anno la band è ridotta ad un trio, dopo l’abbandono del sassofonista David Jackson. I tre musicisti superstiti: Hugh Banton alle tastiere, Guy Evans alla batteria ed il già citato Peter Hammill alla voce, chitarra e piano, erano presenti già dall’album di esordio: “The Aerosol Grey Machine” del 1969.
Nella sala gremita, il trio si presenta sul palco in orario quasi perfetto, Hammill vestito di bianco in tutta la sua magrezza, Evans al centro della scena con la sua batteria e Banton sulla destra con il suo organo e le sue tastiere. In apertura un brano dall’esecuzione quasi impossibile: “Interference Patterns” con incastri ritmici fra batteria e tastiere. Tratto da “Trisectror” del 2008 anche la mini suite “Over The Hill”, fra le cose più interessanti del repertorio recente del generatore. La sensazione è che i VDGG non siano solo una band per nostalgici del progressive, ma che abbiano ancora un energia ed un furore quasi punk, una voglia di sperimentare anche al di sopra delle proprie possibilità. Evans è una macchina da guerra dietro i tamburi e Banton, sempre compassato, tesse trame incredibili con le tastiere ed il basso suonato con la pedaliera. La stessa voce di Hammill non sembra risentire il peso dell’età ed è a proprio agio nell’interpretare brani scritti circa cinquant’anni prima. La scelta del repertoria è sicuramente sorprendente, si mescolano brani vecchi e nuovi, anche dall’ultimo album in studio “Do Not Disturb” che sembrava voler sancire la parola fine all’esperienza Van Der Graaf, cosa che per fortuna non è avvenuta. Ricordi del loro primo tour in Italia nel brano “Alfa Berlina” ed ancora su e giù nella loro discografia con “La Rossa” tratta dallo stupefacente “Still Life” del 1976 e “The Sleepwalkers” dallo scurissimo “Godbluff” del 1975. Ma la vera perla della serata è un brano tratto dal repertorio solista di Hammill “A Louse Is Not a Home” da “The Silent Corner and The Empty Stage” del 1974. Quasi un quarto d’ora di musica visionaria in un alternarsi di momenti di pace e crescendo drammatici, con picchi di vocalità spesso ai limiti del delirio. Parole e poesia in musica di alta intensità che tutto il pubblico ha recepito in assoluto e sacrale silenzio.
In chiusura Man- Erg, brano meraviglioso tratto dal citato “Pawn Herts”, in tutta la sua potenza lirica ed immaginativa. Le luci si riaccendono, ma il pubblico non ancora sazio chiede un bis che viene concesso in una maniera insperata: “Refugees”, dedicata a tutti i profughi di ieri e di oggi, forse la canzone prog più bella di tutti i tempi che stringe i cuori dei presenti nel suo crescendo classicheggiante. Inutile nascondere l’emozione e forse fra gli applausi scroscianti anche qualche lacrima. Lasciamo che la magia ci abiti ancora mentre lasciamo la sala. A cosa abbiamo assistito? Ad un concerto o ad un rito? Nonostante la mancanza del sax di Jackson il generatore ci sembra ancora in grado di essere molto coinvolgente in sede live, ed i brani, anche se diventati più essenziali dal punto di vista strumentale, hanno conservato quel tocco che li ha resi unici nel panorama musicale mondiale. Non ci resta che augurarci di rivedere presto Hammill & soci nel nostro paese, magari con un album nuovo che non ci “disturberà” affatto.
Setlist:
Interference Patterns
Over The Hill
A Louse Is Not A Home
All That Before
Alfa Berlina
Go
La Rossa
Sleepwalkers
Room 1210
Man-Erg
Refugees (encore)