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Album 2020 Recensioni

MALIGNANCE – Dreamquest: The Awakening

Nel 2020 si può ancora parlare di Black Metal?

Ma certo che si può, anzi se ne deve parlare anche e soprattutto perchè il nero vessillo metallico si tinge di tricolore.

Proprio così, nelle prossime righe infatti  proverò a farmi portavoce di questo nero e metallico disco che ha deliziato violentemente i miei timpani.

Loro sono i MALIGNANCE, band che vede la luce nel 2000 con all’attivo già diverse pubblicazioni a cui si aggiunge il terzo full – length della loro carriera ‘Dreamquest: The Awakening’che vede la luce, per la Black Tears, il 20 novembre 2020. Ad oggi sono cambiate tante cose e si sono succeduti vari componenti all’interno della line-up originaria, fino a che Arioch fondatore di questo progetto non decide di proseguire come unico mastermind trasformando definitivamente i MALIGNANCE in una “one man band”. È giunta l’ora di fugare la mia (e spero anche la Vostra) curiosità andando ad ascoltare e parlare di questa nera gemma metallica.

Si parte con “He, the Crawling Chaos” ed è subito black metal diretto in faccia senza particolari giri di note, furioso quanto basta e la testa fa headbanging da sola, freddo quanto basta, suonato ottimamente, le parti vocali e di batteria si mettono subito in evidenza, a cui si accosta un suono di chitarra tagliente e feroce il tutto sparato alla massima velocità. Niente male come inizio. Con la seconda traccia, “God of War”, siamo al cospetto di una entità divina che parlerà di battaglie, e che attraverso Arioch farà sentire la sua voce; dal minuto 2:49 le urla di disperazione lasciano spazio ad una parte strumentale che schiaccia tutto con la veemenza di un esercito sul piede di guerra, e va ad abbandonarsi in un finale sempre più belligerante e oscuro. Una intro epica e oscura, molto old school richiama le mie orecchie al passato, un passato Dimmu Borgir style (For All Tid nello specifico – n.d.r.), “Dreamquest” title track del disco, si presenta in questo modo, per poi sfociare in una colata lavica fatta di potenza sonora che avvolge brutalmente i nostri padiglioni auricolari. La musica non lascia un attimo di respiro e nel brano si alternano momenti in cui la velocità si riduce sensibilmente a momenti in cui esplode con tutta la sua forza e vitalità maligna che mi fa ricordare un altra band come i Keep of Kalessin.

Il continuum è nelle mani di “Chaac” (pezzo molto molto fico) che ha dei connotati metallici ben evidenti, ma in battito di ciglia si passa subito ad un blast beat feroce e veloce per poi tornare su un mood metallico e leggermente più rallentato. Insomma una alternanza ritmica che spappola di gioia i padiglioni di chi scrive, e anche qui ci sta bene tanto ma tanto headbanging. E quì posso affermare che è il mio pezzo preferito. Perfetto in tutto, una botta totale. Si resta senza respiro e si corre sempre di più e forte, e si avanza nell’ascolto di questa violenza sonora che non lascia nemici sul campo, i giri vanno a mille e forse più, l’oscurità si fà sempre più fitta e la malignità serpeggia nell’aria come un tiepido vento ristoratore e si palesa a noi “The Crossbowman” un pezzo che ti colpisce e ti prende semplicemente alla gola. Mano a mano che si ascolta questo platter, si può notare come suoi solchi siano uniti fra loro, infatti “Fathomless I Am” è la degna continuazione del pezzo precedente, coerenza vocale e blast beat non accennano a diminuire e le atmosfere maligne e cattive fanno da tappeto rosso ad un intermezzo strumentale, presente dal minuto 2:18, veramente degno di nota e molto bello che mi ricorda ancora i suddetti e citati Keep Of Kalessin. Siamo alla fine di questa oscura strada e ci attendono gli utlimi due pezzi; il primo risponde al nome di “A Ritual”, dove sulfuree atmosfere cadenzate e massicce vanno ad evidenziare la solennità del momento ma poi verso metà brano parte il blast beat fino ad arrivare ad un punto di calma tale da rendere il brano freddo e cattivo.

La fine è affidata a “Sekhet Aaru” che esplode marziale, forte, violento e veloce insomma una colata lavica che delizia i nostril timpani già sanguinanti, i suoni di chitarra sono un intreccio di furia e macchie melodiche ma un plauso importante nel nero di questa musica, secondo chi scrive, va alla la voce di Arioch che si erge a granitico baluardo che và a difendere la nera roccaforte dal metallico vessillo oscuro di cui i Malignance sono fieri rappresentanti. E siamo arrivati al momento delle conclusioni, ma anche in questo caso posso dire di essere fortunato e facilitato nel compito poichè mi trovo al cospetto di un disco ben fatto, non troppo lungo, dove i pezzi sono racchiusi in un margine temporale che non annoia l’ascoltatore, le parti strumentali sono veloci e ben distinguibili il tutto perfettamente amalgamato, tutto super godibile. È un gran bel disco nero che sta bene nel mio stereo color grigio, dove premo play e vado dritto filato fino alla fine, il tutto grazie alle atmosfere maligne e nere, che un musicista/artista come Arioch veramente molto in gamba, è riuscito tirare fuori dal cilindro. Nel 2020 si può affermare (per chi storce il naso) che non c’è nulla di nuovo all’ombra della luna (il sole non si addice al black metal), ma è un platter fatto bene e registrato in maniera ottima, anche se diversa da ciò che la storia ci aveva abituato ad ascoltare in passato. Per chi è cultore del genere è un disco da ascoltare e perchè no, anche da annoverare nella propria collezione.

…A glimpse in the night

A ritual of fire

Thy wings of raven, blackened death

Grande Arioch, evviva il metal tricolore!

Rock on!!

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