Intervista a Alberto Moreno tra ‘Zarathustra’, ‘Barbarica’ e prossimi impegni della band!
Raggiungo Alberto Moreno in un afoso pomeriggio materano. La quiete del momento, interrotta unicamente dallo stridio del canto delle cicale, conferiva il giusto stato d’animo per l’ascolto di un rock particolarmente colto. Nel prendere contatti con lui, grazie alla fattiva complicità Athos, non posso esimermi dal notare una sostanziale affinità tra il percorso musicale dei Museo Rosenbach e il destino capitato allo stesso filosofo che ha ispirato il loro capolavoro.E’ possibile, infatti, tracciare un unico filo conduttore che lega le premesse ambiziose, gli equivoci, con la successiva rivalutazione e la meritata ascesa alle glorie.
Di seguito, in esclusiva per Mat2020 e Verorock.it, il resoconto dell’intervista ad Alberto Moreno dei Museo Rosenbach. Buona lettura a tutti. e come sempre PROG ON!
Buon pomeriggio, Alberto. Vorrei, innanzitutto, ringraziarti per l’intervista che mi hai concesso. Mi auguro di essere all’altezza, soprattutto per i contenuti che sono sicuro emergeranno dalle domande che mi accingo a porgerti.
(Alberto Moreno): ciao Marco. Grazie a te, invece. Non tutti sanno che queste manifestazioni di interesse fanno piacere anche alla band. Iniziamo?
Si. Iniziamo. Le domande che ho ideato per questa intervista fanno riferimento sia alla storia musicale del Museo Rosenbach, sia all’atmosfera generale che accompagnava la scena musicale del periodo d’oro del prog rock italiano. Inizierei però…dal futuro! Lupo Galifi (cantante storico dei Museo Rosenbach – n.d.r.), in merito, mi ha anticipato qualcosa. Siete, dunque, all’opera?
(Alberto Moreno): si, ultimamente abbiamo ristrutturato il Museo, per ragioni generazionali. Ora siamo all’opera su vari progetti…
Non chiedo nulla allora. Mi chiedevo: quali gruppi o artisti hanno ispirato il Museo Rosenbach dalle fondamenta?
(Alberto Moreno):Gentle Giant, sicuramente. In una parte musicale de “l’eterno ritorno”, infatti, è presente un chiaro riferimento alle melodie del loro omonimo disco del 1970.Siamo stati profondamente ispirati, inoltre, dai Jethro Tull, dagli Uriah Heep e dai Procol Harum, e ovviamente, dai King Crimson.Dai Genesis, in realtà, in misura minore perché quasi contemporanei a noi. Aggiungerei alla lista i Pink Floyd, ma solo per la struttura “a suite” della canzone (con il disco Atom Heart Mother), già anticipata dai Procol Harum con “In Hell ‘Twas in I”.
Credo che siano stati proprio i Procol Harum i primi a fondere la visione classicheggiante della musica con il rock, ancora prima degli “Emerson, Lake & Palmer”.
(Alberto Moreno): Certamente, Marco. E Prima ancora dei Nice (primo gruppo di Keith Emerson – n.d.r. ). Non ho esitazioni nel definire “manierista” il mio stile compositivo, in quanto appreso dai grandi gruppi di tradizione inglese.
Non usato in maniera dispregiativa, come spesso erroneamente avviene.
(Alberto Moreno): no, assolutamente. E’ un discorso complesso e ambizioso, rivolto alla sperimentazione di nuovi mezzi di comunicazione musicale, partendo da quanto già espresso dai grandi maestri che abbiamo citato poco fa. La rielaborazione avviene in maniera profondamente personale. La differenza proprio è nella consapevolezza di essere stati ispirati. A ben vedere, siamo tutti debitori nei confronti di qualcuno. Il risultato? lo lascio definire agli altri…
Non posso fare a meno di notare, però, una sostanziale differenza tra i testi dei complessi italiani, rispetto alle band inglesi. In Italia il testo è solitamente più ricercato rispetto alla tradizione d’oltremanica. Forse i King Crimson, con P. Sinfield, rappresentano l’unica eccezione. E’ dovuto forse alla storica generazione dei cantautori italiani?
(Alberto Moreno): posso dire che, nel caso nostro, il cantautorato non ha avuto nessuna rilevanza artistica. La nostra attenzione musicale, infatti, è sempre stata rivolta alle band inglesi. Il nostro periodo di composizione, inoltre, era sostanzialmente antecedente rispetto alla grande generazioni dei cantautori italiani. Ricordo ancora con piacere, al Festival di Napoli del 1973, un giovane De Gregori profondamente impaurito dall’esibizione in pubblico. Gli sottolineai, in quell’occasione, che lui aveva la base sulla quale suonare (si trattava di “Alice”), mentre noi dovevamo affrontare il problema di suonare con ben cinque elementi. E in presenza dei dirigenti della Ricordi. In tema di cantautori, a quel festival c’era anche Riccardo Cocciante. Posso aggiungere che non ho mai provato interesse per il taglio “canzonettaro” dei cantautori, anche se apprezzavo, più dei testi, la struttura delle canzoni di Lucio Battisti, che trovavo davvero all’avanguardia per l’epoca!
Quanto possono influire, nel successo di una band, le scelte condivise o proprio imposte dalla propria casa discografica?
(Alberto Moreno): posso dirti, con profondo piacere, che nelle ultime nostre pubblicazioni non c’è stata la minima ingerenza della casa discografica, nella nostra produzione artistica. Nel caso di Zarathustra, Angelo Vaggi della Ricordi si innamorò letteralmente del nostro disco. Ci diede solo qualche leggero consiglio. La vicenda della copertina, invece, è per me ancora un punto dolente.
E’ nota la vicenda della vostra copertina, e dei risvolti che ne seguirono. Parliamo d’altro?
(Alberto Moreno): ne possiamo parlare, invece. Al momento dell’uscita di Zarathustra, nel 1973, fummo ostracizzati e considerati “gruppo fascista” per la copertina nera che riportava un collage di immagini, tra le quali spiccava il busto di Mussolini. Questo evento ci ha condizionato tantissimo. Fu un grande errore. Negli anni, però, dopo la fase dello scandalo pubblico, seguì un fenomeno che possiamo definire di “rivalutazione storica/musicale”. Da qui nasce il nostro successo. La copertina in realtà non fu una scelta nostra. Il nostro errore forse fu tradurre “ubermensch” con “superuomo”, e non con “oltre-uomo”. Ci ispirammo al termine già coniato da D’Annunzio.
Chi poteva immaginare le conseguenze?
(Alberto Moreno): pensa che, per motivi di sicurezza, abbiamo dovuto anche disfarci del nostro furgone nero, con la scritta “Museo Rosenbach”. Gli anni ’70 rappresentano un periodo molto delicato per Italia. La musica giovanile era molto politicizzata. Era molto facile essere fraintesi. Cademmo proprio nell’insidia linguistica di cui ti ho parlato, e scontammo una pena eccessiva. In realtà, con i nostri testi, proponevamo una tematica di denuncia ecologica e incentivavamo l’ascoltatore ad andare proprio al di là delle divergenze ideologiche dell’epoca, ma non fummo compresi.
Il punto di punto di vista dell’ascoltatore, dunque. Mi chiedevo…Ci sono delle differenze tra l’ascoltatore italiano e quello giapponese? Come mai proprio il Giappone è la nuova terra di conquista del prog rock “made in Italy”?
(Alberto Moreno):Zarathustra ha una batteria molto “alta”. Il disco, inoltre, presenta un ritmo molto differente rispetto ai lavori della PFM e del Banco del Mutuo Soccorso. Proprio queste due particolarità hanno colpito profondamente l’attenzione dell’ascoltatore giapponese, oltre alla tradizionale passione nipponica per l’Italia intesa come modello culturale. Giancarlo Golzi (batterista del Museo Rosenbach e dei Matia Bazar scomparso nel 2015 – n.d.r.) mi raccontò di essere stato in tournée in Giappone con i Matia Bazar e di aver notato la copertina di “Zarathustra” appesa negli uffici dell’organizzatore del loro evento. Pensa che esiste anche una rivista giapponese che si chiama “Museo Rosenbach”. In Giappone siamo stati accolti quasi come i Rolling Stones (ride).
In tema di corsi e ricorsi storici e musicali, intesi anche quali nascita e riscoperta del prog: ci sono analogie e differenza tra il “classico” Zarathustra e i più recenti Exit e Barbarica?
(Alberto Moreno): tra le analogie possiamo annoverare gli impianti strutturali e i testi, che in ogni pubblicazione sono opera mia. In Zarathustra, a differenza degli altri dischi, eravamo una band di 21enni con un’empatia unica. Il disco del 1973 nacque da momenti di condivisione artistica e di crescita umana tipici del periodo di giovinezza. Al momento dell’incisione, infatti, fu sufficiente riproporlo per l’ennesima volta, anche in maniera spontanea e senza necessità di un ascolto successivo. Barbarica vuole essere il sequel del nostro primo disco. Con Barbarica, infatti, decidemmo di approfondire la tematica ecologica, più evidente in “Respiro del Pianeta” e forse appena percepibile dai testi di Zarathustra. Pensa che per la canzone “Coda dei Diavolo” l’ispirazione ci venne dalla nota vicenda terroristica del settembre 2001.
Si, l’attualità dei vostri testi sia evidente sin da “Zarathustra” del 1973. In quel disco tu risulti sia bassista che tastierista. La tua preparazione è classica in stile Keith Emerson, Gianni Nocenzi (tastierista de Il Banco del Mutuo Soccorso – n.d.r. ) o sei più autodidatta?
(Alberto Moreno): mi ritengo un pianista adattato. Ti confido di aver studiato pianoforte da piccolo, e di aver imparato a leggere gli spartiti, cosa assolutamente da non sottovalutare per i musicisti dell’epoca che suonavano “a orecchio”. Posso dire che la mia preparazione deriva dal piano classico, suonato malamente. Ritengo però di avere la preparazione sufficiente per creare le strutture armoniche semplici e le linee melodiche da proporre alla band. Superata questa fase, passo al basso, che è il mio strumento principale. Con il basso, mi realizzo pienamente come musicista. Nell’ultima nostra fase artistica sono tornato nuovamente alle tastiere perché nel gruppo abbiamo introdotto un artista bravissimo e giovane (Andy Senis – n.d.r.), che è una macchina da guerra. Non sbaglia un colpo. E’ colpa sua se sono tornato alle tastiere (ride).
Cosa provi ad aver realizzato un’opera che è considerata attualmente un capolavoro del prog, nonostante le vendite non proprio entusiasmanti al momento della pubblicazione?
(Alberto Moreno): provo tuttora enorme stupore nel ricevere note di gradimento e recensioni positive su Zarathustra. Ti confesso però che, al momento della pubblicazione, il nostro vinile fu realizzato con una pasta di scarsa qualità. E mi riferisco proprio alla materia prima utilizzata dalla Ricordi. Non ho ancora avuto modo di comprendere le ragioni della differente qualità utilizzata per il nostro vinile, rispetto ad altri dischi. Cito solo per fare un esempio, l’ottimo Darwin pubblicato uscito poche settimane prima (lp del Banco del Mutuo Soccorso, 1973 – n.d.r.). Questa circostanza, unita alla vicenda della copertina di cui abbiamo parlato, ci portò allo scioglimento immediato. La cosa mi suscita ancora profondo rammarico.
Nel 1981 però ricevetti un assegno sostanzioso, del quale non mi spiegavo la causale. Scoprii, poco dopo, che si trattava dei proventi della pubblicazione del nostro disco in Giappone. Zarathustra, infatti, è stato uno dei primi dischi ad essere pubblicato in Giappone, in formato CD, insieme ai Pink Floyd, ai Queen, e ai Genesis.
Mi sono reso davvero conto di aver realizzato qualcosa di speciale nel momento in cui siamo andati in tournée in Giappone. La particolarità del disco è che, i 41 minuti di ascolto che lo compongono, coinvolgono l’ascoltatore in maniera profonda e avvincente.
Come se si trattasse di un’unica suite…
(Alberto Moreno): si, esattamente. Ti do una notizia che ancora nessuno conosce, a parte il sottoscritto. Un noto rapper di New York, Fabolous, ha campionato alcune note dall’intro di Zarathustra e ha composto “Lituation” nel 2014. Ha anche venduto tantissimo. Ci ha riconosciuto i diritti d’autore. Non è una cosa che capita frequentemente!
Un tuo collega mi ha raccontato una vicenda molto simile. Si trattava di Michele Conta che, con “Vendesi Saggezza” (tratta da dal disco “Forse le lucciole non si amano più” della Locanda delle Fate del 1977 – n.d.r.), ha ispirato il rapper Dr. Dree nella sua “For the Love Of Money” del 2015.
(Alberto Moreno): c’è anche da apprezzare l’onestà di riconoscere i diritti sia economici che artistici all’autore delle musiche. Ti confesso che, se non mi avessero informato della cosa, io stesso non mi sarei mai accorto di aver ispirato il loop di Lituation, sia pure per appena due note della nostra intro.
Credo che l’estrema cura e la profonda ispirazione dell’avanguardia prog italiana possa ispirare, da una singola canzone vostra, addirittura intere discografie di altri artisti. A Bernardo Lanzetti accadde la stessa cosa, credo senza riconoscimento dei diritti d’autore. Mi riferisco a Cosmic Mind Affaire degli Acqua Fragile, campionata da Busta Rhymes con la canzone Genesis.
(Alberto Moreno): il segreto è da ricercare nella profonda empatia nella composizione delle canzoni e nella condivisione delle idee con tutti i membri del gruppo. Le band all’epoca vivevano in perfetta simbiosi, provando per giorni interi. Per noi fu un momento magico ed irripetibile. Abbiamo vissuto momenti storici di massima effervescenza culturale e musicale. Ma il prog italiano, a differenza di quello inglese, è rimasto nella fase artigianale della musica.
E’ proprio la peculiarità che rende innovativo e particolare il genere, secondo me. Ti vorrei chiedere, a questo proposito, come è nata l’idea di dedicare un concept album alla figura storica-filosofica di Zarathustra?
(Alberto Moreno): stai parlando proprio con il principale responsabile (ride) sia della stesura dei testi, sia della composizione delle musiche. In quel periodo studiavo filosofia a Milano e preparavo la tesi sul senso ciclico di Nietzche, già definito “Eterno ritorno” dallo stesso autore. Ricordo che mi documentavo sul testo di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, che furono i primi a proporre le tesi filosofiche di Nietzche senza le infondate e pretestuose strumentalizzazioni create dall’ideologia nazista. L’idea nacque dall’ascolto dei primi due dischi del Banco del Mutuo Soccorso (“Banco del Mutuo Soccorso” e “Darwin”, entrambi del 1972 – n.d.r.) che, insieme all’elaborazione filosofica dei testi, portò alla composizione di Zarathustra. Ecco perché non ho esitazioni nel definire la nostra produzione come “manierista”.
Alcune fonti riportano la collaborazione con Mauro La Luce. E’ un errore?
(Alberto Moreno): no. Mauro La Luce è un mio storico amico di Bordighera, all’epoca paroliere de i Delirium. Attualmente fa il dentista a Genova. Era l’unico, all’epoca, a essere iscritto alla Siae come autore. Sono circa 40 anni che riscuote i diritti d’autore (ride). Ora può far sorridere, ma all’epoca era un’usanza diffusa. Abbiamo parlato di condivisione. Non tutti sanno che la parte finale della canzone “Il Tempio delle Clessidre” fu inizialmente composta da un gruppo che si chiamava “Il Sistema”, nel quale militavano Leonardo Lagorio e Enzo Merogno, successivamente entrati in una delle formazioni del Museo Rosenbach. Ovviamente ogni autore diede il consenso.
Alberto, purtroppo, avrei terminato le domande. Abbiamo trascurato qualcosa?
(Alberto Moreno): no no, anzi, sei stato davvero pertinente e globale. Mi ha fatto molto piacere parlare con te. Avrai notato che la mia tendenza è spesso rivolta a smitizzare le origini del prog rock italiano, sia pure riconoscendo sempre il profondo spessore artistico. Credo sia il punto di partenza imprescindibile per una corretta contestualizzazione e storicizzazione del gener
(foto: A. Moreno, Museo 1973 e 1998 Archivio Museo Rosenbach. Foto Museo 1998 di Rudy Camponovo)