RANICA (Bg), Druso, 10/11/18 – Il Leggendario Glenn Hughes, ritorna a farci visita in Italia, a distanza di soli due anni scarsi dalla sua ultima apparizione, ma stavolta per un’occasione un po’ esclusiva e speciale delle altre, ovvero un tour incentrato interamente ed esclusivamente sui suoi trascorsi Deep Purple, con una scaletta apposita e selezionatissima in cui Glenn ripercorre il meglio di quell’epoca storica e indimenticabile, dove, grazie al suo prezioso contributo, si materializzò la triade magica composta dal trittico ‘Burn’ (1974), ‘Stormbringer’ (1974) e ‘Come Taste The Band’ (1975), la migliore in assoluto della storica hard rock band inglese (a parere di chi scrive).
Classe 1952, The VOICE Of Rock (come lo definiscono i suoi fans sin dagli esordi), e’ stato sempre un personaggio molto seguito e amatissimo in Italia, presentandosi, anche per quest’ultima occasione, in perfetta e smagliante forma fisica e in buonissimo stato vocale, a dispetto dei suoi 66 anni suonati con i quali un qualsiasi cantante “pischello” della new generation of rock attuale farebbe volentieri cambio. A testimonianza delle mie tesi in merito, c’è stata la risposta massiccia del pubblico, lo zoccolo duro dei seguaci di Glenn Hughes, accorsi in massa, che hanno gremito e preso letteralmente d’assalto il Druso di Ranica stasera (a due passi da Bergamo), decretandone di fatto un meritatissimo sold out, lasciando viva la speranza che fortunatamente esiste ancora chi ha buon gusto e buone orecchie per la musica rock con la “R” maiuscola.
A contribuire nel rendere speciale e memorabile infine questa serata, c’e’ stata senza dubbio la perfetta organizzazione dell’evento, sia da un punto di vista logistico che organizzativo, con suoni pressoché perfetti da inizio a fine spettacolo, con tanto di ottima visibilità da ogni angolazione, anche ad una certa distanza, grazie all’altezza del palco di cui dispone il locale. Complimenti davvero sentiti a tutto lo staff del Druso per la macchina organizzativa che sono riusciti a mettere in atto in uno spazio temporale relativamente breve, in pochi anni di attività, crescendo alla distanza in modo esponenziale, con eventi sempre più importanti e di primissima scelta. Ma ora, dopo queste doverose considerazioni e premesse, addentriamoci più in profondità, sul live in questione di Glenn Hughes…
GLENN HUGHES
Un concerto di classe come quello proposto stasera, incentrato esclusivamente sui suoi trascorsi Deep Purple, porta inevitabilmente un pubblico di classe e di cultori come e’ la logica conseguenza. In una sala traboccante di gente e al limite del collasso, già da qualche ora prima dell’inizio dello spettacolo, non è difficile cogliere i volti del pubblico, per lo più composti da cultori e appassionati degli anni ’70 con lineamenti del viso piuttosto datati, rughe e segnali fisici visibili ed inequivocabili, che non lasciano molto spazio all’immaginazione, con tanto di lunghe barbe bianche e capelli stempiati e ingrigiti dei bei tempi che furono, di quell’epoca “Magica” che non ritornerà mai più (purtroppo): in altre parole, il pubblico e la musica migliore di tutti i tempi!
Molto vintage (e non poteva essere altrimenti) anche la preparazione del palco su cui troneggia uno striscione coloratissimo che ritrae un giovanissimo “Figlio Dei Fiori”Hughes in piena Deep Purple era Seventhies: presenti sullo stesso (e in bella mostra) anche un bellissimo hammond d’annata e i mitici ampli retro’ Style Orange, pronti da lì a poco per esplodere la loro potenza! A completare il tutto in modo perfetto, lo stile impeccabile, raffinato e dannatamente a tema con cui alle 22.30 in punto (in perfetto orario), The VOICE of Rock, si presenta sul palco: camicetta bianca sbottonata con motivi floreali e rigorosamente infiancata, gilet, occhialini tondi alla John Lennon, stivaletti con la punta e lunghe chiome ricce, capricciose, selvagge al vento con la classica scriminatura centrale!
Ma il vero viaggio musicale e godimento inizia quando intona “Stormbringer”, con la consueta padronanza vocale e tecnica strumentale che lo contraddistinguono, unica al mondo direi, anche e soprattutto come bassista in cui eccelle e dove viene considerato (a ragione) dagli esperti in materia, uno dei migliori al mondo di tutti i tempi! La voce di Glenn forse non sarà più potente ed esplosiva come quella di trent’anni fa’ ma è rimasta altrettanto affascinante, calda, carica di passione e intatta, superando ampiamente la prova del tempo, che generalmente non perdona nessuno, ma non un fuoriclasse come Hughes, non catalogabile come un “comune mortale”, che sembra esserne immune e completamente estraneo a tutto ciò.
Gli acuti e i cambi di tonalità che ancora riesce a sprigionare e tirar fuori dalla sua ugola sono impressionanti e non si possono spiegare a parole, bisogna solo sentirli e viverli di persona durante un suo live per potere comprenderlo appieno. Dotato di quella sua fantastica tonalità molto rock blues, riesce ad alzare, abbassare, modificare e stravolgere ogni cosa, persino quando si tratta di improvvisare o di cantare cover di altri artisti, trasformando come il “Re Mida” in oro che luccica tutto ciò che tocca (canta in questo caso). “Might Just Take Your Life” (estratto di ‘Burn’) regala altre emozioni forti, sussulti e palpitazioni, risultando complessivamente una delle migliori esecuzioni delle otto complessive in scaletta, dove Glenn davvero supera se’ stesso.
Dopodiché, purtroppo, sono iniziati susseguirsi e prolungarsi lunghi e a tratti noiosi assoli strumentali, in cui per carità, sono spiccate ed emerse le indubbie qualità dei musicisti, ma che hanno avuto, di contro, il demerito di appesantire e spezzettare troppo il concerto. Questo è l’unico appunto che mi sento di smuovere contro Hughes, per questa scelta molto discutibile, che ha fatto storcere il naso a molti e che non ha convinto, togliendo di fatto tempo che avrebbe potuto essere utilizzato in modo migliore sicuramente, aggiungendo almeno due brani in più alla setlist. Ma questa “piccola pecca” non va’ certo a penalizzare minimamente il mio giudizio finale, anzi, solo che sarebbe stato preferibile ascoltare più Deep Purple che mezz’ora abbondante di virtuosismi fine a se’ stessi. “Sail Away”, con il suo groove vagamente funky è sempre un gran bel sentire, così come accattivante e incisiva lo e’stata la successiva superclassica “You Keep On Moving”, dove i vocalizzi di Hughes la fanno da padrone, sottolineando la sua leadership indiscussa anche nelle più impegnative tonalità alte, verso la fine del brano.
Forse, i tanti stacchetti strumentali solisti di stasera sono stati posizionati ad arte e serviti per far rifiatare The VOICE, forse è stata invece una scelta studiata e voluta, sta’ di fatto che non lo sapremmo mai: quello che conta e’ invece la sostanza, e ogni volta che scompariva e magicamente riappariva sul palco Hughes riprendeva a urlare e a macinare riff sempre con maggiore energia ed incisività, dimenandosi, muovendosi e interagendo in modo molto simpatico, ma al tempo stesso composto, con il pubblico che lo acclamava a gran voce, in pieno English man style, posato e sempre raffinato, consono solo alle grandi rockstar consumate. “Mistreated”, altro brano che non ha bisogno certo di presentazioni particolari per chi conosce un minimo la storia dei Deep Purple, viene eseguita in modo sublime, ma tuttavia il punto più alto e l’apice viene raggiunto (a sorpresa), con una cover, “Georgia On My Mind”, dove Glenn nella parte finale del pezzo, carico ora come non mai, ci regala almeno due minuti di vocalizzi da brivido, con la sua sola voce solista e senza il supporto di nessun strumento d’accompagnamento di sottofondo, cambiando almeno tre tonalità con una facilità disarmante, che ci ha lasciato tutti sbalorditi e senza fiato.
Per il gran finale viene eseguita la famosissima “Smoke On The Water”, trascinante e sempre vincente, a cui ogni fan dei Deep Purple che si rispetti è debitore: e’ la song che chiude di fatto parzialmente il sipario, preludio perfetto dell’imminente bis conclusivo che arriverà con l’immortale “Burn”, dove Hughes trova ancora la forza per ruggire, tirando fuori dalla sua ugola gli ultimi e conclusivi acuti, con cui ci congeda e ci manda serenamente a casa, consapevoli di aver assistito a qualcosa di straordinariamente bello! Il suo plettro resterà il mio ricordo personale di questo concerto galattico! The VOICE of Rock Regna ancora incontrastato…Thank You Sir.Glenn…Long Live Rock’n’roll!
GLENN HUGHES setlist:
“Stormbringer”
“Might Just Take Your Life”
“Sail Away”
“You Keep On Moving”
“You Fool No One”
“Mistreated”
“Georgia On My Mind” (Hoagy Carmichael cover)
“Smoke On The Water”
“Burn”
GLENN HUGHES Bands:
Glenn Hughes– Vocals/Bass
Søren Andersen–Guitars
Mike Mangan–Hammond
Ash Sheehan– Drums
Fonte: Report: Alessandro Masetto – Foto: Rita Rose Profeta