Intervista a Mr. Voice Impossibile: dagli Acqua Fragile, alla PFM, fino alla “nuova” Acqua Fragile
Dialogare con un artista come Bernardo Lanzetti equivale a sfogliare contestualmente un libro di storia del rock e un elenco di progetti futuri, cogliendo -a ogni lettura- sempre nuove riflessioni e ambizioni.
E’ ancora vivo in me il ricordo del concerto tenuto da Bernardo Lanzetti al Teatro Kennedy durante la rassegna del Fasano Jazz 2016.
Bernardo Lanzetti, in quell’occasione, tributò la propria interpretazione di brani prog (dai Genesis, ai Procol Harum, passando per i King Crimson, Baricentro, Le Orme e la “sua” Acqua Fragile), accompagnato dall’orchestra Icom di Monopoli, diretta da maestro Palmitessa.
Il piacere di parlargli, di chiedergli se il glovox poteva essere usato nonostante i numerosi strumenti già presenti sul palco, di immortalare la serata con una foto, e di farmi rilasciare una dedica sul cd rappresenta il prezioso ricordo del memorabile evento musicale.
Nella selezione delle domande da rivolgere a Lanzetti, in esclusiva per Vero Rock Italia, ho cercato di abbracciare ogni fase dell’eclettica carriera di Bernardo, cercando -inoltre- spunti critici sullo stato della musica in Italia, sul compito dell’artista, sulla sperimentazione vocale. L’intenzione, inoltre, era quella di approfondire sia i “nuovi” lavori degli Acqua Fragile, che le opere degli anni del periodo PFM, ben consapevole del risultato profondo che ne sarebbe emerso, proprio per la spontaneità che da sempre caratterizza Bernardo Lanzetti.
Personalmente, è stato un momento di profondo apprendimento, reso dai profondi stimoli, dalle sue riflessioni sulla musica e sull’arte e dai suoi ricordi in 40 anni di carriera.Lascio al lettore ogni ulteriore valutazione, riservandomi di custodire gelosamente il resto delle emozioni vissute con Bernardo Lanzetti, senza prestare attenzione alla “gente nervosa”…
Grazie infinite per l’occasione che mi stai concedendo, Bernardo, mi auguro di essere all’altezza!(Bernardo): grazie a te, partiamo subito.
‘A New Chant’, degli Acqua Fragile. A parere del sottoscritto, un disco oltremodo attuale, non un’operazione remake dei dischi primi anni ’70, ma un’opera rinnovata e calata nella realtà attuale. Come è stato tornare in sala incisione con la band originaria degli Acqua Fragile? E con Pete Sinfield? Ti piacerebbe raccontarmi come è nato questo ambizioso progetto?
(Bernardo): l’idea è nata durante la celebrazione dei miei 40 anni di carriera con i Tango Spleen, e con la riproposizione di brani degli Acqua Fragile. Anche se non è propriamente corretto parlare di “sala d’incisione”, perché abbiamo sfruttato varie possibilità che lo stato attuale della tecnologia ci consente di utilizzare.
Per quanto riguarda Pete Sinfield, ti dico che sono riuscito a fargli firmare il bollettino Siae solo grazie alla figlia di David Jackson (sassofonista dei Van Der Graaf Generator – n. d. r.), valente cantante. Dopo un evento musicale con David Jackson, ho scoperto che la figlia frequenta la casa di Pete.
Egli, al momento, non vive un momento sereno della sua vita, si isola quasi da tutti. Lei ha scaricato la traccia audio della mia canzone, l’ha masterizzata su un cd, e gliel’ha fatta ascoltare. A Pete è piaciuta molto, e così mi ha firmato il bollettino di deposito Siae.
Eh, Bernardo, che fortuna però…
(Bernardo): immagina l’emozione di poter musicare il suo poema. Mi ritengo fortunato, si… ma anche bravo perché credo di aver fatto un lavoro di alto livello, insieme ai Tango Spleen che hanno fatto un’ottima esecuzione.
Per piacere a P. Sinfield, direi di si…
(Bernardo): pensa, poi, che molte cose le ho fatte anche in casa, da solo. Ho usato, ad esempio, un sintetizzatore per Ipad, suonando in casa, e inviando i file ai compagni.
Abbiamo fatto le cose sia in maniera tradizionale (riunendoci tutti in sala di registrazione), sia utilizzando i mezzi che la tecnologia e l’informatica ci hanno consentito. E’ stato un lavoro molto articolato.
I dischi degli Acqua Fragile sembrano arricchire, con originalità, il solco della tradizione dei gruppi prog inglesi (primi fra tutti, i Genesis). A chi si è ispirato il cantante e frontman B. Lanzetti? C’è qualcuno anche tra gli artisti italiani?
(Bernardo): all’inizio mi piaceva molto il cantante di un gruppo che si chiama The Zombies ovvero Colin Blunstone che non conosce quasi nessuno pur avendo cantato anche per Alan Parson. Studiavo il canto dai dischi di Ray Charles, Roger Chapman, Steve Winwood e Peter Gabriel … li cito in ordine di età. Nei primi complessi, tipo i Beatles, il ruolo del cantante era condiviso tra più componenti del gruppo. L’idea che mi piaceva sin dagli esordi era quella della voce al servizio del gruppo.
Sono stato sempre accusato di ispirarmi eccessivamente a Peter Gabriel. Ma se si approfondiscono le mie interpretazioni delle canzoni dei Genesis, anche disponibili su Youtube, si capisce che la mia voce non è uguale a Peter Gabriel. Credo di avere doppia potenza e meno carisma rispetto a Gabriel. Sono più italiano nell’emissione della voce e meno britannico in tutto ciò che è all’interno della voce. Basta fare un confronto tra i live di Peter Gabriel e i miei (“Dancing with the Moonlit Knight” o “The Return Of The Giant Hogweed” con Steve Hackett a Cortona, per esempio) per capire che le due voci non hanno quasi nulla in comune. E’ innegabile però che noi Acqua Fragile, ci siamo ispirati molto al mondo dei Genesis, dei Gentle Giant, degli Yes.
Tutti i gruppi italiani si sono ispirati ai grandi gruppi prog inglesi, e pensavano che, tramite i testi in italiano, avessero sdoganato la cosa. Noi, invece, cantando in inglese, avevamo una matrice ancora più riconoscibile.
Sai, Bernardo, la prima volta che ho ascoltato una tua interpretazione di “Dancing with The Moonlit Knight” è stata su una trasmissione locale romagnola, che si chiamava “Boulevard Nostalgia”, credo sia stato nel 2008… Già allora ti ho inviato, tramite sms, una domanda, alla quale tu mi hai risposto durante la trasmissione. Ti ringrazio, ora, per avermi risposto già in quell’occasione…Mi chiedo: quale è il ruolo dell’artista, nel mondo della musica?
(Bernardo): L’artista, secondo me, è sempre avanti. E’ raro che il disco di un artista abbia successo immediato, a meno che non abbia il deserto intorno, come è accaduto per i Beatles, per esempio. In generale, un’opera d’arte è avanti rispetto al momento in cui viene concepita. L’artista, quindi, si deve rassegnare all’idea di essere capito anni dopo, o di essere copiato, con il successo degli altri, in tempi più favorevoli. Mi viene in mente la vicenda di Jeff Buckley. Lui ha influenzato quasi tutti i cantanti uomini degli ultimi 20 anni. Eppure, il grande pubblico neppure lo conosce, e lui è morto in condizioni infelici anche sotto il punto di vista economico. Buckley ha inventato un modo di cantare che è stato ripreso da quasi tutti i cantanti attuali. Eppure posso dire di non aver mai sentito alcuno ammettere di essere stato influenzato da Jeff Buckley.
Il parere di Lanzetti sull’importanza dell’ambiente underground tipico dei complessi anni ’70. Le costellazioni di gruppi prog del panorama musicale italiano possono rappresentare un’avanguardia artistica?
(Bernardo): Si. E’ possibile parlare di avanguardia artistica. Negli anni 70 c’è stata una rivoluzione musicale profonda, anche sotto il punto di vista del business della musica. Quasi nessuno sa che le case discografiche, per la prima volta, hanno concesso ai gruppi di scrivere le proprie canzoni e la propria musica, in assoluta libertà. La gente non sa che i gruppi negli anni ’60, come i Dik Dik, Equipe ’84, i Camaleonti, non suonavano le proprie canzoni, che non erano altro che delle cover, composte da altri, di famose canzoni inglesi o americane, con testi in italiano. La maggior parte delle musiche di allora erano suonate da I Quelli, la prima versione della PFM. Le Orme è stato il primo gruppo che ha riscosso la fiducia della propria casa discografica, che ha permesso loro di incidere e suonare liberamente la propria musica. Poi è arrivata la PFM, il Banco e tutti gli altri. Le case discografiche, all’epoca, modificarono radicalmente il proprio parco artisti, per adeguandosi al nuovo contesto musicale. I gruppi degli anni ’70 sono la prova che, storicamente, in Italia qualcosa è cambiato. Successivamente le case discografiche hanno puntato maggiormente sui cantautori, più agevoli nella gestione anche economica rispetto alle band. Ne è seguita maggiore libertà concessa ai cantautori, che magari non tutti meritavano.
Secondo te cosa ha scatenato il nuovo approccio musicale dell’epoca?
(Bernardo): il disco “In The Court Of The Crimson King” (1969) dei King Crimson ha creato una rivoluzione nell’approccio alla musica. I musicisti, da una visione semplicistica, hanno compreso che potevano osare. Gli artisti hanno compreso che i brani non dovevano durare necessariamente tre minuti e mezzo, che potevano anche comporre delle suite, e che le copertine non dovevano necessariamente riportare il nome della band o del disco. E’ stato un mondo incredibile, precorso dai Procol Harum, da Hendrix, dal ‘Sgt. Pepper’s’ dei The Beatles, e reso immortale dai King Crimson.
Qualche appassionato del genere prova un certo senso di diffidenza verso la musica elettronica. Quale è il tuo parere a riguardo?
(Bernardo): chi critica l’elettronica evidentemente non conosce come nasce una registrazione. Tutta la musica in circolazione è musica registrata, o qualcuno può dire di aver sentito suonare Mozart dal vivo? La musica è ascoltata tramite registrazioni, avvenute da apparecchiature digitali, in passato, elettromagnetiche. Chi critica ciò, a rigore di logica, non dovrebbe avere neanche un cd in casa. Non è un caso che i più bravi nelle registrazioni siano proprio gli inglesi, ricordando dove è nata la rivoluzione industriale. Forse i critici pensano che il lavoro di incisione sia sminuito dall’uso del sintetizzatore e dal computer. C’è un artista, Maurizio Pisani, che ha fatto un esperimento interessante. Lui ha scritto una musica con pennino, inchiostro e calamaio, su un foglio molto ruvido, e ha proiettato il video di questa operazione a un’orchestra divisa in due gruppi. Un primo gruppo ha eseguito la musica scritta mentre l’altro invece improvvisava sul suono del pennino sulla carta. E’ un metodo di composizione anche questo. E lo trovo molto originale. Questo esempio te l’ho fatto per dire che non si può bocciare, a priori, la musica elettronica. Sarebbe un discorso troppo superficiale, perché la questione va affrontato in maniera più approfondita e complessa.
Quanto ha influito la tradizione del cantautorato italiano nei testi ricercati tipici del prog italiano?
(Bernardo): credo che l’inizio sia stato molto promettente, ma poi la direzione si è persa. Nel mio piccolo, lavorando con Pete Sinfield (con “Rain Drops”) e Nick Clabburn (con la canzone “The Drowning”) ho cercato di continuare su questa direzione. L’idea alla base era quella di far coesistere, in una stessa canzone, due mondi diversi di intendere la musica e il testo. In Italia non c’è stato altro, rispetto a Mogol e PFM. “Impressioni di Settembre” rappresenta un capolavoro nel suo genere. Non esistono altri brani con un ritornello musicale, pure di difficile esecuzione, ma accattivante allo stesso tempo. In quel brano c’è una musica validissima, interessante, virtuosismi musicali e un testo composto da un maestro della parola come Mogol, per un risultato eccellente. Credo che questa strada non sia stata più percorsa immagino per divergenze caratteriali, gelosie o altro tra gli artisti. I cantautori sono popolari per i testi che compongono ma non hanno mai una musica così particolare da interpretare, secondo uno strumentista.
L’esperienza di Bernardo Lanzetti nella sperimentazione vocale, fino alla sublimazione della voce. Dal “Maestro della Voce” D. Stratos a “Mr. Voice Impossible” B. Lanzetti.
(Bernardo): D. Stratos ha portato agli estremi la sperimentazione vocale. Io ho curato il giardino che ho trovato in casa. Credo di essermi soffermato, a livello sociale e culturale o storico, sulle modalità con le quali la voce poteva essere sviluppata. Non è un discorso facile da spiegare perché la musica va suonata e vissuta, non discussa. La mia sperimentazione è stata rivolta alla sovrapposizione dei cori nella voce, o sulla ricerca linguistica dei testi, oppure sulla supervisione della voce rispetto agli altri strumenti, come ho fatto con il glovox. Al momento, a riguardo, credo di essere ancora sperimentatore in solitario.
In un certo senso, la voce intesa quale strumento musicale. Anche elettronico, vista l’invenzione del glovox. Come è nata l’idea?
(Bernardo): il microfono, apparecchiatura principale per cantare, ha il grave difetto che dal vivo, oltre alla voce, capta anche i suoni circostanti al cantante, come il batterista che picchia sui piatti. Per cercare di isolare la voce ho pensato di andare a prenderla direttamente da dove nasce. Non potendo andare in gola a inserire i microfoni, ovviamente, ho pensato di applicarli sul collo, esternamente. Negli anni ’80 ho approfondito degli aspetti tecnici con Arnaldo De Felice, oboista classico di mentalità estremamente aperta, che si dilettava con me a sperimentare i sensori posti su un oboe. Ho provato a applicare questi strumenti alla voce, tramite un guanto, con un interruttore. A questo punto ho riscontrato che i suoni captati sono unicamente quelli provenienti dalle vibrazioni della mia gola, che tramite dispositivi “pitch to midi”, venivano trasformati in suono elettrico/elettronico. Ecco come è nato il Glovox.
Il pensiero di Lanzetti sul linguaggio universale della musica tra tradizione italiana e “quasi english”
(Bernardo): è ormai comprovato che la musica sia un linguaggio che giunge al cervello degli esseri umani senza alcun filtro. La lingua non è di ostacolo alla ricezione del messaggio musicale. Anche gli animali ricevono il messaggio, e si abbandonano alle vibrazioni, pur non avendo gli strumenti cognitivi per comprendere il messaggio perché privi di cultura. L’essere umano, invece, può comprendere i messaggi, percependone la differenza. La musica è un messaggio universale. L’industria, purtroppo, ha monopolizzato la cosa, per cui un brano, oggi, non può essere diffuso o diventare popolare se la casa discografica non ne decide il possibile successo commerciale. Questa cosa è molto triste. Pensa che la prima volta che ascoltai un pezzo dei Pink Floyd, si chiamava “See Emily Plays” e c’era ancora Syd Barrett, lo portai a casa da Londra e non lo conosceva nessuno. E non era assolutamente un brano o un complesso appetibile dal punto di vista commerciale, anche se successivamente i Pink Floyd hanno venduto tantissimo. La cosa triste è che, attualmente, gli operatori del mercato musicale puntano solo su soggetti elementari e manipolabili, che frequentano più il video che i negozi di strumenti musicali, e in aggiunta sono anche estremamente carenti dal punto di vista della innovazione musicale, oltre che profondamente impreparati.
Il parere di Bernardo Lanzetti sul ruolo della cover e dei concerti antologici tributati a altri artisti
(Bernardo): la musica che ascoltiamo ci influenza profondamente. I grandi della musica, come i Beatles e i Rolling Stones hanno fatto cover. Bruce Sprigsteen ha suonato, nei suoi bootleg, circa 120 cover, eppure è un artista molto prolifico. Bob Dylan ha composto circa mille brani, numerose cover e ultimamente ha fatto anche cover di canzoni di natale. Chi non fa cover risulta arrogante, perché vuol esprimere il messaggio che fa musica senza essere stato ispirato da qualcuno. In realtà si fa musica solo grazie a qualcuno che ci ha influenzato. La cover ci pone nel giusto riferimento nel grande fiume della musica. Chi non sa fare cover, non sa fare musica. E’ meraviglioso, invece, alla fine di un concerto, tributare alcune canzoni ai grandi maestri che ci hanno influenzato in gioventù. Ora, alcuni artisti, vanno sul palco e cantano pensando di fare chissà cosa di speciale o originale, ignorando il lavoro dei grandi artisti del passato, che magari nemmeno conoscono. La musica non è per tutti, è per gente che ha sensibilità e deve essere studiata. Ho un ricordo meraviglioso del periodo in cui acquistavo dischi per ascoltarli e studiarli. I dischi più importanti, al primo ascolto, possono anche non piacere, ma -se di spessore artistico- devono essere studiati e approfonditi. Successivamente, piacciono.
L’importanza del cantante di una certo spessore artistico e vocale per un complesso prog. Quanto è significativa, l’identità vocale, in un gruppo musicale? La PFM, in realtà, sembra non aver mai dato particolare importanza alla vocalità…
(Bernardo): vero, la PFM non ha mai dato importanza alla vocalità, anche se avevano un sound unico e originale. Si può dire, però, che il loro approccio non è mai stato rivolto alla vocalità. Io ne sono testimone perchè quando ho iniziato a fare parte della PFM, ho trovato la canzoni scritte per la voce di Ivan Graziani, che è un contralto. All’inizio, infatti, non arrivavo alle sue note, mi mancava un Si (nota). Ma questa cosa al resto del gruppo non interessava. Fossi stato in loro, io avrei cambiato alcune tonalità. Poi, esercitandomi, con la voce ci sono arrivato. La PFM ha sempre rivolto maggiore importanza alla parte strumentale. Dal vivo, infatti, improvvisava tantissimo. E’ più simile a gruppi tipo i Dream Theater.
I gruppi prog, al 90%, hanno un cantante importante e funzionale al sound della band, che deve anche essere molto dotato perché le parti strumentali, nel prog, abbracciano un ampio spettro sonoro. I cantanti prog, infatti, sono tutti dotati.
Vorrei chiedere a Bernardo Lanzetti, in quanto membro sia degli Acqua Fragile che della PFM, come è possibile che -tra vari gruppi prog italiani di rilievo (Banco del Mutuo Soccorso, Locanda delle Fate, Nuova Idea, Museo Rosenbach e tanti altri…)- solo la PFM abbia avuto un notevole successo internazionale?
(Bernardo): La ragione reale credo sia conosciuta solo da poche persone. La PFM è stato il primo e, credo, unico gruppo italiano a avere l’organizzazione complessa appresa dai grandi gruppi inglesi. Possiamo dire che la PFM, infatti, non si è ispirata ai grandi gruppi inglesi solo per le composizioni musicali. Il loro manager (F. Mamone) ha avuto modo di apprendere l’organizzazione dei gruppi inglesi, che erano strutturati come una società, all’interno delle quali i membri erano stipendiati, e i ricavi erano messi a disposizione per gli investimenti futuri. Il manager faceva parte della band, alla stregua di un musicista, e provvedeva ad amministrare il finanziamenti del gruppo. Il minimoog, all’epoca, costava 2.500.000 lire, e lo stipendio medio era di lire 350.000 al mese. Il manager, in caso di guadagni della band recuperava l’investimento per gli strumenti. La PFM, inoltre, ha compreso che, quando firmava un contratto con una casa discografica italiana, doveva lasciare aperta la possibilità di concludere contratti, all’estero, per la propria musica. Così, quando Greg Lake li ha notati e ha proposto loro di scritturarli con la Manticore, i membri della PFM hanno potuto beneficare di tutto l’apparato organizzativo strutturato per i grandi gruppi prog inglesi. Ho ancora a casa la locandina di quando la PFM nel 1975 (con il sottoscritto alla voce) era con l’Elektra Asylum insieme agli Eagles, ai Queen e a Joni Mitchell. Gli altri gruppi prog italiani, invece, non avevano la possibilità di sottoscrivere contratti con case discografiche estere perché erano tutti già vincolati in esclusiva con produzioni italiane.
Domanda scomoda… fammi un cenno e passiamo alla successiva: per quale ragione è poi terminata la tua collaborazione con la PFM?
(Bernardo): ti rispondo, invece … dopo ‘Jet Lag’ (1977) il gruppo ha subito un contraccolpo a causa delle vendite non proprio entusiasmanti. Primo in classifica, all’epoca, c’era Branduardi con “Alla Fiera dell’Est”, e noi facevamo musica Jazz / Rock in stile Frank Zappa. Il gruppo iniziò a tirare i remi in barca e io fui un po’ emarginato, per dirla con un eufemismo. Già con ‘Passpartù’ (1978) c’erano poche parti da cantare e davvero poco nelle mie corde. Inoltre, non mi fu consentito lavorare ai testi. Quando decisero di riorganizzarsi in maniera diversa dal punto di vista economico, per me fu naturale abbandonare la PFM.
Nell’arco della tua ultraquarantennale carriera hai raccolto attestazioni di stima da molti artisti di rilievo (Ian Anderson, G. Lake solo per citarne alcuni), composto dischi memorabili, portato la tua voce/ strumento a sperimentazione estrema, reso un enorme lavoro alla Musica. Quali altre ambizioni ha, nel 2018, B. Lanzetti?
(Bernardo): mi rendo conto che sia per il grosso pubblico, ma anche per gli addetti ai lavori, non sono riconosciuto pienamente come autore. Ciò è dovuto anche dal fatto che, con gli Acqua Fragile, non ho firmato io le musiche. All’epoca, purtroppo, occorreva iscriversi alla Siae, andando a Roma a sostenere l’esame. In realtà sono l’autore di circa l’80 % delle musiche degli Acqua Fragile. Anche per quanto riguarda il periodo con la PFM ho impiegato circa 20 anni per vedermi riconosciuti i diritti per “Out Of Roundabout”. La gente sembra preferire il personaggio che magari non suona e non canta, ma fa solo finta. Sono ben lieto di non saper fare il personaggio, e di lasciare agli altri questo compito. Ti confido che sto preparando un nuovo disco, e credo, dopo l’uscita, che mi verrà riconosciuta una certa originalità nelle cose che faccio. Ti anticipo che ci saranno collaborazioni con artisti di spessore e sono contento che abbiano accettato di collaborare con me, senza indugio. L’uscita è prevista per il 2019.