Proseguono le interviste estive e stavolta vi propongo una chiacchierata (molto) approfondita con il grande Alessandro Del Vecchio, produttore, musicista e cantante che vediamo parte integrante di diversi progetti musicali, italiani ed esteri. L’intervista è stata lunga perché le tematiche ispirano davvero tanti sotto-argomenti e spero che i lettori di Verorock abbiano piacere nel leggerla tutta!
Ciao Alessandro, come stai? Che cosa combini in questi giorni? (Alessandro): Sto bene e sono sempre attivo, ma pronto per le vacanze onestamente. A parte ciò, è appena uscito il nuovo singolo degli Edge of Forever, “Ritual I” e quindi siamo stati impegnati nella sua promozione con tutte le nostre energie, visto che io e gli altri ragazzi della band lo riteniamo il nostro miglior disco da sempre e quello che vogliamo è che diventi un progetto prioritario.
Domanda challenge: hai 60 secondi per elencare tutte insieme le band delle quali fai parte senza riprendere fiato! (Alessandro): Allora, Hardline, Jorn, Edge Of Forever. Le band vere e proprie sono queste, ma poi ci sono tutti i progetti quali Sunstorm, The Big Deal, Revolution Saints,… mi sto perdendo eh, sono troppi! Io nomino sempre le band perché poi i progetti sono entità diverse; ad esempio i Revolution sono parte di progetti che per me hanno significato tanto, sia per la mia esposizione come musicista che come produttore, con risultati discografici comunque importanti e dunque un lavoro che è parte del cuore.
La curiosità più grande è: non fai confusione a volte con i testi delle canzoni o con i riff? Haha! (Alessandro): La verità è che ho veramente tantissimi repertori che devono essere quasi sempre pronti, quindi capita magari che tra giugno, luglio ed agosto ho suonato con Big Deal, Angel Forever, Hardline e Jorn e sembra sempre che si debba ricominciare; ogni volta che sono su aerei o tourbus mi ritrovo ad ascoltare i brani ed a ripassare tutto in modo che la mia memoria funzioni. C’è stata una volta con gli Hardline in cui ho avuto proprio un blackout l’anno scorso: stavo suonando un brano che ho scritto io, quindi come potevo dimenticarlo (ride)… siamo partiti e ad un tratto al secondo accordo ho avuto un brain freeze! Ho pensato: “Ah mi lancio, mi lancio, è questo!” Per fortuna era il giusto accordo, ma subito dopo mi è ricapitato e stavolta ho sbagliato… l’abbiamo presa sul ridere!
Potrei dirti quindi che non capita di confondersi tra i brani, ma è sicuramente difficile mantenere tutti quanti i repertori; se potessimo salire sul palco con lo spartito sarebbe facilissimo. Dunque si studia, si ripassa e ci si affida un pochettino a quel senso di emergenza che arriva nel momento in cui devi fare le cose per il rotto della cuffia e quindi ci si ingegna. Il tuo talento migliora, perché sottoposto “allo stress d’emergenza” ed ho imparato ad affidarmi a ciò, oltre che ad un costante studio. Comunque ripasso sempre, conservo repertori video quali quelli con gli Hardline, dove la scaletta di ogni tour è sempre la stessa. Con Jorn abbiamo un repertorio che penso superi le quattro ore e mezza di canzoni e non si sa mai che canzoni voglia fare, quindi ogni che volta manda la scaletta per il concerto io sono lì che prego, sperando sia simile all’ultima, ma non capita mai! Parto sempre con una tastierina da viaggio che mi serve per ripassare i brani e quando mi si vede viaggiare per lavoro, sono sempre in “modalità musica”.
Come riesci a conciliare tutte le tue attività? (Alessandro): Le mie sono necessità che mi portano a lavorare su tanti fronti, perché ho un’esigenza vitale nel fare musica. Dico sempre che la musica è come la mia seconda pelle, la mia seconda natura, la parte del mio essere Alessandro Del Vecchio, fin da quando mi sveglio al mattino. E’ anche una questione lavorativa; ci sono tante occasioni e io sono una persona che non riesce a dire di no… magari imparerò, ma a 44 anni mi sono quasi rassegnato. Auguro sempre a tutti di trovarsi nella mia situazione ed il consiglio che do è quello di imparare a creare dei cassetti. Io ho il cassetto della mia vita privata e quello del lavoro; quest’ultimo ha dei limiti orari e di stress che non voglio vengano valicati; toglierei tempo vitale alla mia famiglia che è una parte fondamentale del mio essere vivente e perciò mi sono dato delle regole. Anche essere mio amico significa accettare che magari in sei mesi non ci vediamo, però nel momento in cui ci si vede, ci sono al 100%.
Come ben sai, la sottoscritta è super fan di Jorn. Com’è suonare/lavorare con lui? Come sei entrato a far parte della band? (Alessandro): Allora Jorn stava cercando un produttore per quello che poi sarebbe diventato “Life on Death Road” e Serafino Perugino di Frontiers gli ha detto: “Jorn, secondo me dovresti provare a lavorare con Alessandro, perché sono sicuro che vi trovereste bene. Secondo noi può dare stabilità alla tua figura professionale”. Non c’è da nascondere che Serafino nel creare connessioni è il migliore e che ci ha visto lungo: sono dieci anni che lavoriamo insieme! Il primo lavoro che abbiamo fatto è stato Heavy Rock 1 e poi abbiamo scritto assieme Life on Death Road, che è stata proprio una bella esperienza, perché Jorn non vive la musica distaccato dalla band: lui in studio ci vuole sempre essere, volendo vivere le persone con cui suona. Durante un concerto degli Avantasia a Milano ha detto: “Io ormai sono un cittadino onorario di Somma Lombardo!” perché letteralmente ogni mese era qui e la mia situazione è partita dall’essere fan di Jorn amandolo per anni, per poi ritrovarmi letteralmente suo amico. Lavorare con lui è veramente speciale (senza sminuire gli altri); prima di tutto come artista siamo a livelli inenarrabili, perché come cantante e come autore vengono i brividi solo a sentirlo: è proprio un fare musica con una profondità unica, è veramente innamorato della musica!
Dunque se ti devo dire com’è suonare con Jorn: è una delle più belle esperienze della vita; siamo anche finiti a suonare io e lui per la famiglia reale in Norvegia! Insomma abbiamo fatto veramente un sacco di cose e passato così tanto tempo assieme che siamo diventati amici, tant’è che quando viene qua in studio aggiungiamo sempre dei giorni dedicati allo stare insieme; la prossima volta andremo alle isole Borromee sul Lago Maggiore.
Beh meglio che non ti dica che mia madre ha fatto la matta al suo concerto! (Alessandro): Voglio sapere tutto adesso!
Quando abbiamo organizzato una data di Jorn a Roma, coinvolgendo pure il fan club, mia madre è arrivata vestita da rockettara, completa di giacchetto in pelle, sotto palco, iniziando ad urlare: “Jooorn, sono sua madre, yeahh!” e lui diceva: “Ah sì sì”, poi il batterista ha lanciato le bacchette e lei per prenderle si è gettata su due quattordicenni penso uccidendoli! (Alessandro): Anche mia madre è rock! Ti racconto una roba divertentissima: nel 2003 vengo invitato con Andre Matos a Rock TV, dove si poteva chiamare in diretta e parlare con gli artisti. Ad un certo punto sento una chiamata di una persona (riconoscendo mia madre) che piange e che dice “Oddio, oddio, Alessandro sei più bello in televisione, sembri altissimo!”. Sono diventato di tutti i colori e mi pare ci fosse Mario Riso a condurre: bella cosa in ogni caso, perché mia madre ha dimostrato tutto il suo amore per il figlio musicista, diventando l’idolo di tutti in quel momento!
Ho visto pochi giorni fa la premiere degli Edge Of Forever – “Ritual Pt. I” e quindi volevo complimentarmi perché oltre ad essere un rinomato produttore ed un polistrumentista, hai anche una bella voce. Come si sta muovendo la band attualmente? Prevedi prossimi live? (Che poi lascio i miei saluti anche al mitico Aldo). (Alessandro): Si tratta di un concept album, la suite contiene 7 parti e l’idea è che poi si pubblichi tutta quanta la suite e vorremmo farne un video, perché c’è dietro una storia importante. Nel disco racconto del dramma delle scuole residenziali canadesi che sono state un vero e proprio genocidio per le popolazioni Native del Nord America, all’epoca in cui i cristiani prendevano i bambini dalle loro tribù per educarli, ma in realtà lo scopo era quello di fermare la cultura nativa quindi far sì che i bambini dimenticassero i loro idiomi e che non vestissero più nei loro abiti tradizionali, per diventare dei buoni cristiani quindi occidentali con una certa mentalità. I bambini che non si piegavano purtroppo venivano uccisi. Addirittura c’è stato il Papa che ha chiesto scusa (se non ricordo male due anni fa) a nome della Chiesa; la maggior parte dei popoli nativi non ha neanche accettato queste scuse e c’era Trudeau (il primo ministro canadese) a presenziare, con un’espressione di fatica nell’accettare tutto ciò come parte integrante della storia canadese (lui come tutti gli altri canadesi). Io racconto di questi due gemelli (un bambino ed una bambina) che vengono separati, mandati in due scuole residenziali diverse. La bambina decide di far finta di non parlare più la propria lingua e di adattarsi alla vita diciamo da occidentale, continuando però a parlarla segretamente per non dimenticare, mentre il bambino (più ribelle) rifiuta, riuscendo poi a scappare nel momento in cui stanno per cremarlo e da lì inizia la ricerca di sua sorella. Egli non vuole che quella parte di loro muoia ed alla fine la ritrova, proprio mentre è in punto di morte e lei porta con sé un bambino che è suo figlio e tutti e tre si trovano a parlare il loro idioma (che lei ha insegnato a suo figlio) e quindi il fratello muore con la certezza che questa lingua e le sue tradizioni non saranno dimenticate. Epilogo positivo di una storia che nella realtà non è mai finita così, anche perché già molte lingue sono sparite, ma nell’arco di pochi anni altre faranno la stessa fine, perché alcune tribù sono ormai costituite da pochissime persone. Quindi mi sono fatto carico di raccontare una storia importante, dandole comunque una connotazione positiva.
C’è anche un po’ la metafora di quello che viviamo in questi in questi tempi moderni, in cui ogni giorno c’è una narrativa nuova su come si dovrebbe essere: un giorno Barbie, l’altro Mercoledì: ormai trend e narrative cambiano così spesso che non esiste neanche più la tua personalità, che puoi mantenere solamente se rimani fedeli a te stesso. In un mondo come questo è difficile (magari non per noi che non siamo cresciuti in un mondo in cui se avevamo anche solo un amico rockettaro facevamo un gruppo).
Penso ai ragazzi di oggi che accendono un computer come finestra sul mondo e c’è un input continuo e secondo me nel momento in cui tu non hai più nessuna certezza su chi puoi essere e su chi vuoi essere, su cosa ti piace (perché il mondo è un’evoluzione velocissima), non hai neanche tempo di costruire una tua personalità e finisci nelle mani dell’omologazione. Anche il “politically correct” a me sta iniziando a far paura, perché non si può più avere un’idea! Una volta quando le idee erano diverse c’era quella frizione positiva che ti faceva rafforzare ancora di più il tuo pensiero, quando ti scontravi con qualcuno che la pensava differentemente e questa cosa serviva per confrontarsi. In merito alle date: in questi giorni stiamo organizzando quello che è il classico release party per il 13 di ottobre più delle date per novembre, dicembre e gennaio. Abbiamo in forse un tour per febbraio che sarebbe bello accadesse. Siamo una band vecchio stampo, che dal vivo dà il doppio di quello che dà in studio. Abbiamo fatto tanti concerti insieme e suonare dal vivo è essenziale, anche perché siamo una “famiglia”.
Domanda lato produzione: numerose band italiane ed estere si affidano a te, dunque la qualità è verificata. Cos’è che ti sta più a cuore durante quest’attività? (Alessandro): Potrebbe sembrare una bugia, ma il mio obiettivo principale è che una band dopo aver lavorato con me debba averne nostalgia. Deve essere un’esperienza totale a livello umano e musicale. Voglio che le band dicano: ci mancheremo, perché è stata un’esperienza che ci ha fatto del bene. Ci sono quasi sempre riuscito. Ad esempio, l’esperienza di aver prodotto i Nanowar: forse saranno stati tre mesi di lavoro estenuanti, ma quando abbiamo finito io sentivo nostalgia per loro; è nata un’amicizia importante proprio perché l’esperienza non è stata solo: “Ok, andiamo a lavorare da Del Vecchio” che viene pagato alla fine del servizio offerto e via… No, l’esperienza deve essere: “Wow, ho lavorato con Alessandro ed ha veramente dato di più alla mia musica!”, perché secondo me l’esperienza vissuta assieme cambia il risultato musicale, facendo da collante totale. Il risultato tende ad essere migliore, anche perché io sono innamorato della musica e voglio essere fiero di ogni lavoro, ma soprattutto tengo molto al processo lavorativo e tendo a rimanere attaccato ad ogni progetto. Non c’è mai un lavoro meno importante dell’altro in base alla fama della band: chiunque lavori con me ha la stessa attenzione e la stessa dedizione.
Qual è stato il tuo concerto più gratificante (da artista / da fan)? (Alessandro): Ci sono stati dei momenti dove veramente penso di aver partecipato a dei concerti dove c’era del Divino! Il concerto più assurdo in cui ho visto anche musicisti di spessore piangere è stato quello dei Deep Purple con l’orchestra e Ronnie James Dio ospite nel ’99 circa, è stata un’esperienza mistica perché io sapevo che sarebbe stato l’ultimo tour di Jon Lord; quando Dio è salito lui sul palco è stato incredibile.
Da musicista devo dire invece l’ultimo concerto degli Edge of Forever in questo festival in Spagna che si chiama Zurbarán Rock a Burgos, che è stato veramente incredibile sia per gli ospiti (come Mike Tramp e Mystic Prophecy, più un sacco di altre band), con questa serata a detta di tutti difficile da battere perché si è creato qualcosa di magico quel. Un’ora e mezza di un’energia incredibile dal pubblico spagnolo per un festival gratuito; ma sai in Italia spesso ai festival gratuiti non partecipa tanta gente e rimangono più di nicchia; invece il Zurbarán è un evento che tutta quanta la regione attende… persone che magari non sanno nemmeno chi sia Mike Tramp, i White Lion, etc. e tutti i gruppi appena saliti sul palco hanno sentito un boato di euforia incredibile, da brividi.
Durante la tua carriera c’è mai stato un periodo di difficoltà più grande da sormontare? Come ne sei uscito? Che consiglio daresti alle band che incontrano più o meno lo stesso genere di difficoltà, che a volte ti portano a pensare di voler abbandonare tutto? (Alessandro): Periodi no ci sono un po’ per tutti ed assolutamente nei primi anni capitava molto spesso, per via delle ostilità della di una scelta importante come quella di voler fare il musicista nella vita, vivere di musica. Da fuori può sembrare semplice, magari chi mi vede pensa “Ale non può avere difficoltà, lavora con tutti i suoi idoli”… invece è provante a livello psicologico ed a livello umano comporta sacrifici fino anche quando si diventa Paul McCartney, perché ti devi esporre di continuo, vivendo nel giudizio perenne sul tuo operato. Poi anche quando si ha una stabilità lavorativa è un mondo dove un click può distruggere il tuo castello di sabbia; lo abbiamo visto con quante rockstar? Pensa alle band degli anni ’80… un momento sei primo in classifica, un attimo dopo cambiano i trend.
Anche se decidessi di mollare finirei per ricominciare di nuovo perché non ce la farei; c’è stato un momento nella mia vita quasi 20 anni fa, dove pur di lavorare stavo facendo musica che non mi piaceva e ciò mi distruggeva, fin quando non mi sono detto: “preferisco avere un altro lavoro e accontentarmi di avere l’hobby di far musica”. Mio padre che è un saggio mi ha guardato e mi ha chiesto: “Qual è la qualità sulla quale hai lavorato di più nella tua vita? E’ la musica? Ed allora tornerai di nuovo da lei, perché ne sei troppo attratto.” Il consiglio più sincero è quello di crearsi una stabilità economica e rimanere umili, perché l’arte è un è un mondo che richiede una grandissima dose di umiltà, di coraggio, ma anche di concretezza, perché se fallisci è necessario avere dei “materassi” dove almeno se vai a sbattere non ti fai troppo male.
I Social Media hanno cambiato l’industria musicale e diverse band hanno iniziato a cercare di capire come creare valore da un qualcosa che inizialmente portava via del guadagno. Tu che ne pensi? (Alessandro): Allora, io ho un rapporto di amore/odio con i Social Media, nel senso che li ritengo una grandissima invenzione per creare azione e connessioni. Cioè oggi potresti scrivere un messaggio a Michael Sweet e lui ti risponde, ma 30 anni fa sarebbe stato impossibile. Penso che per la musica sia necessario, nel senso che ormai la musica viaggia sui Social Media. Sono contento che le band ed i musicisti lo approccino sempre di più al livello professionale perché è un vero e proprio strumento di lavoro. Guarda anche con Tik Tok (ovviamente io ho il ribrezzo solamente a pensarci e nemmeno il profilo), ma quante band o anche simpatici vecchietti sono riusciti a rivitalizzare la propria vita grazie al profilo Tik Tok? E’ bello anche da vedere ed è anche una grande lezione di business.
Sì che poi l’argomento comprende anche tutte le nuove tecnologie e la possibilità anche a volte di scaricare album interi senza comprarli o per band non troppo famose di buttarsi comunque su Patreon… (Alessandro): L’arte in generale io la vivo in maniera meritocratica: se sei un bravo cuoco la gente verrà a mangiare da te se sei un bravo musicista la gente ti verrà ad ascoltare e se ti seguono in 100 o un milione non cambia. Io non penso che avrò mai un profilo Patreon ed anzi, onestamente mi auguro di finire la mia carriera prima che queste tecnologie siano l’unico modo per fare musica, perché io mi sveglio e voglio scrivere pezzi, non voglio riprendermi… Però capisco che è un lavoro: lo Youtuber e il mio essere musicista sono proprio due impieghi diversi. Prima parlavi di Roberto Tiranti che oltre a essere un mio carissimo amico (e lo ritengo veramente dei più grandi cantanti a chi ti abbiamo mai avuto in Italia) indipendentemente dal genere in cui si lavora, ha una solidità artistica, perché ha lavorato duramente per ottenerla. Ha imparato a diversificare il suo lavoro, fa l’insegnante, il cantante dei Labyrinth, il corista di Morandi, il corista TV e di Radio Italia… ci sono cantanti che non valgono un tacco delle scarpe di Roby. Una cosa che a me chiedono sempre è come ci si sente ad essere a volte dietro alle quinte perché magari lavoro con i Mister Big ma non dal palco con loro… io accetto che magari in quel momento lì quello che io veramente posso dare ai Mr Big è essere il produttore e va benissimo così.
Ti ho visto collaborare con Essere Animali. E’ un’associazione che apprezzo molto, ti va di raccontare ai lettori cosa ti piace di loro ed anche quelli che sono i valori che condividete? (Alessandro): Ho lavorato con tante associazioni perché sono vegano da anni e credo fortemente nella lotta per i diritti degli animali. Durante il mio periodo da maratoneta ho pensato di dedicare una corsa ad Essere Animali per raccogliere i fondi, dopo l’esperienza di anni precedenti con Peta, per la quale nella mia prima maratona avevo raccolto 2000-2700 sterline e poi mi sono detto: “Perché non aiutare un’associazione nazionale?
Sapevo che Claudio Pomo di Essere Animali è anche lui un runner ed ho provato a chiedergli di organizzare questa maratona per gli animali. Abbiamo raccolto 7.000 euro e creato un precedente: da lì ne sono nate altre, basate sulla raccolta fondi e sono stato contento di ciò che si è scatenato da un mio piccolo gesto. Stanno facendo un gran bene riuscendo a creare un awareness incredibile: sono molto legato a loro! Grazie a loro ho visto anche questo tipo di messaggio ed investigazioni sul TG5, in RAI, etc.; in Italia gli attivisti degli animali venivano visti come dei matti, al contrario di quello che succede in America per Peta, associazione che ha raggiunto davvero il massimo. Un mondo vegano al 100% è un’utopia, ma spero che si potrà vivere in un mondo più a misura d’animale.
Se non erro questa è la prima intervista in assoluto su di te sulle pagine di Verorock. Vuoi lasciare un saluto/messaggio ai nostri lettori? (Alessandro): Allora, grazie per avermi chiesto quest’intervista e io sarò sempre grato per il supporto dato, il lavoro di voi giornalisti a volte viene dato per scontato. Sono veramente grato del tuo tempo e della tua passione; grazie a ciò io posso avere un’esposizione col pubblico di Verorock (magari non tutti sanno chi sono o magari non tutti conoscono alcuni aspetti del mio lavoro), quindi l’ultima parte della dell’intervista la voglio veramente dedicare a te ringraziarti per il tuo tempo libero a tutti i lettori di Verorock (Sabrina piange :D)
Grazie Alessandro!