Dopo anni che ci si rincorreva vicendevolmente, vista la distanza fisica che ci separa, siamo finalmente riusciti a raggiungere l’amico Alessandro Del Vecchio, rinomato musicista, produttore e collaboratori dei maggiori artisti della scena AOR/rock melodica internazionale: il suo vasto curriculum parla da se e sarebbe qui irrispettoso elencare tutti i nomi con cui ha lavorato, rischiando di ometterne tanti altri. Il sottoscritto ha avuto così l’enorme piacere di parlare con il mastermind di origini campane, pilastro fondamentale della Frontiers Records, una delle etichette più importanti della scena hard’n’heavy mondiale che orgogliosamente da quasi due decadi ci rappresenta e porta alto il vessillo tricolore in tutto il globo! Abbiamo quindi ripercorso la sua carriera da musicista e da ascoltatore, partendo dagli esordi con gli Snake Eyes (poi Edge Of Forever – n. d. r.) fino all’incontro con la rinomata etichetta partenopea e alle attuali collaborazioni con Jorn, Hardline, Revolution Saints, Find Me e chi più ne ha più ne metta: non potevano mancare le domande sulla sua recente esperienza alla nuova edizione tedesca del Rock Meets Classic (le cui prove generali si stavano svolgendo proprio in concomitanza della nostra intervista – n. d. r.) e soprattutto all’attesissimo evento che lo vedrà per la prima volta in veste solista, ‘A MELODIC ROCK NIGHT’, previsto per il prossimo Sabato 30 Marzo al Dedolor Music Headquarter di Rovellasca (CO), che lo vedrà esibirsi assieme ad altre validissime band nostrane come Airbound, Alchemy, Black Tiger e il rocker australiano Dion Bayman! Insomma tantissimi gli argomenti affrontati ma non vogliamo rivelarvi troppe sorprese: buona lettura a tutti!
Ciao Ale, grazie anticipatamente per il tempo prezioso, visti i tuoi innumerevoli impegni, che ci stai concedendo e benvenuto su VeroRock.it: partiamo subito con la prima domanda! Il prossimo Sabato 30 Marzo ti esibirai, in occasione dell’evento ‘A MELODIC ROCK NIGHT’ che si terrà al Dedolor Music Headquarter di Rovellasca (CO), in veste solista: quali sono le tue aspettative e cosa invece dovrà aspettarsi l’audience, viste le tue tantissime collaborazioni oramai quasi ventennali? Che set sarà quello che proporrai in questa tua prima assoluta?
(Alessandro Del Vecchio): “Grazie a te caro Raffaele per la preziosa occasione concessami! La serata di Sabato 30 Marzo sarà un evento speciale perché in scaletta ci saranno tutti brani che io ho scritto con gli artisti con cui ho lavorato e l’idea è proprio quella di fare un piccolo viaggio tutti assieme di un’ora e x minuti in tutti quelli che sono i brani significativi della mia storia come musicista, autore, produttore e collaboratore, oltre a pescare quelle che sono delle piccole perle magari mai eseguite dal vivo proprio perché questa è veramente un’occasione unica e speciale per riproporle come ti dicevo.”
Parlando di Ale Del Vecchio musicista e appassionato di musica: quali sono state le tue influenze principali sin da quando hai iniziato a suonare e quali invece quelle (se ce ne sono) a cui ti ispiri o da cui trai ispirazione negli ultimi anni sia come produttore e sia come musicista?
(Alessandro Del Vecchio): “Ho iniziato principalmente con i Queen, la folgorazione che io ho avuto quando ascoltai per la prima volta “Bohemian Rhapsody”: ho avuto una sorta di chiamata mistica e in quel momento stesso ho detto a me stesso che volevo comunicare quello che io sono attraverso la musica, proprio come Freddie Mercury (alle medie mi chiamavano Freddie, ride). La seconda folgorazione è stata invece Yngwie J. Malmsteen, in primo superiore, quando Matteo Carno (il primo chitarrista degli Edge Of Forever) arriva e midice di aver scoperto il miglior chitarrista del mondo! Quel pomeriggio li ci siamo visti in cassetta da lui il famoso ‘Live in Japan’ con Soto, Jacob e i fratelli Johansson, e li non avevo mai visto una roba del genere. Poi da li ho conosciuto e approfondito tutte le band storiche come Deep Purple, Rainbow, Whitesnake, ecc. Poi con gli anni, essendo diventato un onnivoro musicalmente parlando (mentre prima invece ero più settoriale), mi sono lasciato coinvolgere e prendere da tutto ciò che è bello e ben suonato: che sia Lady Gaga o Madonna se un pezzo è scritto bene è al di sopra di tutto. La mia ispirazione da anni infatti non è più il nostro genere: dopo anni ascolto tantissimo pop e la musica che mi mette più in equilibrio con me stesso è il genere americano, quindi tutto quello che è folk elettrico/blues/country, diciamo la west coast americano. Con gli anni sono diventato più attento ai testi, che spesso invece sono un contorno abbastanza triste, quindi mi piace qualsiasi storia che sia ben raccontata a prescindere dal genere di riferimento: mi interessano soprattutto gli artisti che fanno molta attenzione ai testi e a come raccontano le loro storie.”
Essendo stato, se solo per diletto, anche io un appassionato dilettante di tastiere, quali sono i tuoi tastieristi preferiti in assoluto che reputi fondamentale per la tua formazione artistica?
(Alessandro Del Vecchio): “Be assolutamente ti direi Jens Johansson per quanto riguarda il virtuosismo, per me rimane il più grande tastierista in senso tecnico che ci sia stato negli ultimi settecento trilioni di anni: un autentico chitarrista con la tastiera in mano! Poi indubbiamente Jon Lord su tutti, David Paich e Steve Porcaro dei Toto. In realtà come tastieristi preferisco gli hammondisti, che si distaccano dal canone del tastierista hard rock: mi piacciono un po meno quelli che si basano solo sulla tecnica fine a se stessa ma che invece curano maggiormente gli arrangiamenti ed accordi originali. Si va da Rick Wakeman degli Yes a Kevin Moore dei Dream Theater fino a Derek Sherinian che ancora oggi lo ritengo un innovatore unico: mi piacciono i tastieristi con personalità e con un modo riconoscibile di suonare. ”
Oramai il binomio Frontiers – Del Vecchio sembra essere a dir poco indissolubile, visto che hai contribuito tantissimo a far crescere questa stupenda realtà italiana già da tanti anni presente sul mercato musicale internazionale: com’è nata questo piacevole connubio? Puoi darci invece qualche anticipazione su alcune novità Frontiers alle quali hai preso parte o a cui stai lavorando?
(Alessandro Del Vecchio): “premettendo che per me lavorare per Frontiers è un onore e lo ritengo un privilegio e gli sono sempre grato perché mi permettono di lavorare con quello che è il mio amore assoluto che è la musica, in modo stabile e riuscendo a realizzare il sogno di collaborare giorno per giorno con i miei idoli di sempre! Il tutto è nato in realtà già dal 2002, cioè da quando uscì il primo lavoro degli allora Snake Eyes (che poi diventeranno in futuro gli Edge Of Forever – n. d. r.), poiché avevamo un contratto con la MTM Music e la Frontiers distribuiva la musica loro. Nel 2011 poi un giorno semplicemente ho sfidato il destino per la seconda volta: ho scritto a Elio Bordi di Frontiers proponendomi come collaboratore sui pezzi o per la produzione vedendo se funzionava. Due minuti dopo Elio mi risponde chiedendomi se avevo dei brani: per fortuna avevo una settimana libera e quella mattina li composi subito “Road To Nowhere” che finì sul debutto dei Find Me di Robert LaBlanc. Appena gli mando il brano a Elio mi dice che era bello e lo prendevano, invitandomi subito a scriverne un secondo: il pomeriggio così mi metto e ho composto un altro brano, così il giorno successivo fino a che al quarto pezzo mi contatta Serafino Perugino e mi dice che voleva mettermi in contatto con Johnny Gioeli degli Hardline. Io li ovviamente sono rimasto colpito, mi si è mozzato il fiato: ho scritto “Fever Dreams” e Serafino lo manda subito a Johnny e lui si innammora subito del brano. Da li è iniziato tutto: ho collaborato poi con Fergie Fredericksen (ex Toto) e si è arrivati ad oggi. Un giorno Serafino mi scrive dicendomi che sognava di fare un disco con Dean Castronovo (ex Journey) e mi propone di scrivere un brano per lui: si parte così con i Revolution Saints, che assieme a ‘Danger Zone’ degli Hardline sono stati i miei biglietti da visita e lo sono ancora, essendo tra i singoli più venduti e visualizzati su Frontiers (“Fever Dreams” ha abbondantemente superato i due milioni di visualizzazioni e anche “Back On My Trail”, primo singolo dei Revolution Saints). Il tutto è nato quindi un po sfidando la sorte e un po di fortuna: Serafino come me è un visionario e spesso ci confrontiamo su queste sfide musicali, proponendo ciascuno qualcosa di nuovo. La collaborazione va avanti così, alimentata dalle nostre comuni follie musicali.”
A proposito Ale, pochi giorni fa ho ascoltato l’ultimo lavoro dei Find Me, ‘Angels In Blue’, che mi è piaciuto veramente tanto, complimenti!
(Alessandro Del Vecchio): “ecco li ad esempio ho contribuito come autore assieme a Steve, Peter Alpenborg, Nigel Bailey, persone con cui normalmente scrivo. Molto contento di aver scritto i pezzi con Stefano Lionetti, con cui avevo collaborato al primo dei LionVille. Sto lavorando a un progetto chiamato Love Killers che verrà presentato tra poche settimane: una bella band con un cantante storico del genere. Stiamo lavorando anche al terzo dei revolution Saints che uscirà tra Aprile e Maggio (mancano solo 2 o 3 brani dell’ultimo momento) e sto lavorando a cose con Jorn Lande, con gli Edge Of Forever oltre al nuovo disco degli Hardline in uscita ad Aprile! ”
Restando in tema Frontiers, quest’anno siamo giunti al traguardo della sesta edizione del Frontiers Rock Festival, il consueto appuntamento per tutti gli appassionati di melodic rock/AOR (che si svolgerà Sabato 27 e Domenica 28 Aprile presso il Live Music Club, Trezzo Sull’Adda (MI)): quali sono le novità più rilevanti, se ce ne sono, e quali band sei più felice o curioso di vedere on stage assieme ai tuoi Hardline?
(Alessandro Del Vecchio): “Sicuramente la curiosità di vedere Alan Parson dal vivo è qualcosa di unico perché lui sarà il nome più alto e più mainstream oltre che la vera e propria scommessa di questa edizione del festival, visto che potrebbe attirare anche un pubblico assai variegato e non relegato al nostro genere. Secondo me faranno felicissimi tutti i Fortune e sicuramente i The Defiants, visto che è una festa ogni volta che Bruno Ravel e compari salgono sul palco, sono molto felice di esibirmi con gli Hardline visto che presenteremo il nuovo disco in studio con la nuova formazione.”
A quali delle svariate edizioni del Frontiers Rock Festival a cui hai partecipato ti senti più legato e perché?
(Alessandro Del Vecchio): “Sicuramente la magia della prima edizione è stata qualcosa di irripetibile per come l’abbiamo vissuta tutti quanti noi presenti: un cartellone che rimarrà nella storia dei festival, sono legatissimo al nostro concerto degli Hardline e mi ricordo il sentimento che aleggiava il lunedì a fine festival quando sembrava fosse finito il mondo. Sono molto legato anche all’esibizione due edizioni or sono con i Revolution Saints perché in quel periodo li eravamo chiusi in studio e siamo usciti solo per quel live prima di rientrarvi: era il ritorno di Dean Castronovo! Ma la prima edizione è sicuramente stata la summa del nostro genere: indimenticabile!”
Parlando del tuo eccezionale lavoro con gli Hardline, innanzitutto mi complimento personalmente per il bellissimo ultimo ‘Human Nature’ (uscito per la Frontiers Music srl. Nel 2017 – n. d. r.), album che ho veramente apprezzato tantissimo sia per gli arrangiamenti melodici che per la maturità compositiva espressa, mai banale e scontata anche nei passaggi più easy: state lavorando ad un nuovo disco in studio? Qualche novità a riguardo?
(Alessandro Del Vecchio): certo, adesso non ricordo esattamente la data di uscita, comunque sarà in concomitanza con la prossima edizione del Frontiers Rock Festival a Trezzo sull’Adda a fine Aprile e si intitola ‘Life’! E’ un disco a cui sono legatissimo perché è anche la mia scommessa personale visto la nuova formazione: dopo il riuscitissimo debutto Gioeli/Castronovo, ho sperato di coinvolgere Mario Percudani negli Hardline perché sapevo che il suo modo di scrivere e approcciare alla musica avrebbe portato solo benefici alla band. Questo non per sminuire assolutamente il suo predecessore Josh Ramos, super nulla da dire, ma avevamo bisogno di un chitarrista che camminasse con noi e si incastrasse con il nostro modo di lavorare e comporre: questa volta ci siamo messi io Johnny e Mario, raccogliendo non so quante idee grazie all’entusiasmo di Mario. E’ stato un disco realizzato in un breve lasso di tempo, condensando al meglio tutto quello che avevamo, anche rispetto a ‘Human Nature’ (2016) che conteneva dei testi come “Take You Home”, semplicissimo e scritto in pochi minuti, veramente stupendo: mentre il nostro ultimo disco era stato una sorta di spartiacque col passato con una definizione maggiore del sound, con una continuità anche di formazione, il nuovo disco è ancora un altro passo in avanti! Sono molto felice anche del nostro nuovo batterista Marco Di Salvia e ci puntiamo tutti molto!”
I tuoi esordi nel campo internazionale risalgono agli Edge Of Forever: ci sono novità riguardo un nuovo disco in lavorazione o un tour in vista?
(Alessandro Del Vecchio): “ si, quest’anno uscirà il disco nuovo, già tutto scritto ed è in produzione, non vedo l’ora che esca al più presto. Perché gli Edge sono la mia creatura da sempre e ogni volta con loro è come fare un parto trigemellare (ride): è come ogni cosa che sinti tua ed è un po più difficile di essere distaccato. Ci saranno anche un po di novità rispetto alla lineup: sono molto emozionato di tirare fuori molti argomenti a me cari sotto un punto di vista personale. Mi son detto che, visto che canto i testi che spesso scrivo per altri, quando sei tu a interpretare quello che scrivi è ancora più bello. A me piace scrivere per chi deve cantare, non uso mai brani scritti per me e lasciati nel cassetto. Con gli Edge deve essere qualcosa che mi viene da dentro e che devo sviscerare perché per mia natura non piace concedermi così tanto come cantante: è difficile riuscire a cantare senza vedere la propria anima! Gli Edge sono quindi un po il mio “porto sicuro” dove posso tranquillamente parlare di me.”
Hai avuto la fortuna (a mio parere meritatissima) di collaborare con artisti immensi come Fergie Fredericksen (ex frontman dei Toto), con Jorn, Revolution Saints, Jim Peterik, Nela Schon, Deen Castronovo, Joe Lynnn Turner (ex Deep Purple e Rainbow), Steve Lukather e Bobby Kimball (Toto), Doug Aldrich (ex Whitesnake, Revolution Saints, The Dead Daises) e tanti altri ancora: quali collaborazioni ricordi in particolar modo? C’è un aneddoto in particolare riguardo qualcuno di questi artisti con cui hai condiviso parte della tua carriera?
(Alessandro Del Vecchio): “Guarda di aneddoti ce ne sono un’infinità (ride)! Sicuramente le collaborazioni più emozionanti sono state quelle con Fergie Frederiksen: non esiste una persona più buona e con un’aurea positiva come lui ed è veramente un peccato averlo perso ma mi ritengo veramente fortunato di aver potuto camminare con lui negli ultimi istanti della sua carriera. I primi brani che ha cantato in studio mi hanno provocato la pelle d’oca: penso che avrei potuto smettere di suonare il giorno dopo ed essere felice a livello spirituale e di emozioni. Un altro momento surreale è stato quando Neal Schon ha registrato “Way To The Sun” con i Revolution Saints perché descrivere a parole che cosa può succedere nella vita di una vista come me è difficile: io sono veramente cresciuto ascoltando quel genere, nonostante sia abituato da anni a lavorare con artisti di questo genere. Ci sono però dei momenti veramente surreali come questo con Neal, essendo un brano per me molto autobiografico e molto vicino al modo di pensare anche di Dean Castronovo: è un brano che parla di resurrezione, di sacrificio, di tante cose con le quali possiamo relazionarci un po tutti. Quando ho sentito il suo assolo sul brano mi sono letteralmente commosso, di ritorno dagli USA alle due di notte, perché non ci credevo, sembrava un sogno!”
Com’è stata l’esperienza di suonare alla kermesse Rock Meets Classic (svoltasi nel 2017 a Halle Westfalen, Germania) a cui hai preso parte? Raccontaci qualche ricordo in particolare o qualche emozione che conservi ancora nel tuo cuore!
(Alessandro Del Vecchio): “Penso che la prima edizione con Steve Lukather è stata quella a cui sono ancora oggi più legato, soprattutto quando Stevie al termine di “Rosanna” dei Toto mi ha indicato alla gente presentandomi. Pur avendo incontrato varie volte anche in passato Steve, quell’evento è stato veramente qualcosa di magico per me, avendo suonato assieme a Rick Springfield e Don Felder degli Eagles: in quel momento della mia vita la musica mi ha veramente curato! C’è stata una sera in cui Luke mi ha chiamato due volte per farmi prendere l’ovazione del pubblico e per me è stata un’esperienza unica perché ‘Rock Meets Classic’ ti consente di incontrare il top degli artisti internazionali con cui ci sei cresciuto.”
Come si è evoluto il tuo modo di comporre, suonare e produrre dai tuoi esordi ad oggi? In che modo e quanto hanno inciso e incidono le nuove tecnologie digitali nel processo compositivo e in sede live?
(Alessandro Del Vecchio): “Allora in sede live per fortuna non molto, perché a me piace molto l’approccio diretto: come una band che suona dal vivo in studio, perché è fondamentale scrivere pezzi con la band e non invece portarsi tanti strumenti aggiunti per riprodurre cose in sede live che poi non funzionano. In realtà il mio modo di scrivere non penso si sia evoluto chissà quando perché solitamente non scrivo a comando: vivo anche mesi di silenzio e poi se ho l’ispirazione partorisco immediatamente. In genere parto sempre da un ritornello o da un riff o da un’idea di storia in generale. Spesso non ti nascondo che mi siedo e ascolto anche cose che sembrano distanti dal nostro genere per capire cosa stuzzica l’attenzione delle persone oggi: mi capita anche di riscoprire dei classici che avevo dimenticato. Con gli anni ho imparato a essere un po più strutturato sul lavoro anche semplicemente perché ho meno lusso a livello di tempo e anche per una questione di freschezza dei singoli brani. I pezzi miei che hanno funzionato di più sono quelli che non ho rimaneggiato e scritto all’istante: questo per tutti i pezzi che mi rappresentano come “Fever Dreams” o “Take Me Home”. Mentre su altri invece si sente forse qualcosa di più cervellotico.”
Con quali artisti, con cui non hai ancora avuto occasione di collaborare, ti piacerebbe lavorare o suonare in futuro?
(Alessandro Del Vecchio): “ E’ una domanda difficile questa: di quelli con cui mi piacerebbe mettere una bella x sono Ritchie Blackmore, David Coverdale e Y. J. Malmsteen. Tutti e tre in passato sono stati a portata di mano ma è più una questione mia personale il voler collaborare con loro, sarebbe un altro sogno che si realizza! Di artisti invece che sono anche distanti dal nostro genere, mi piacerebbe lavorare con Derek Trucks o Warren Haynes che in realtà sono i miei ascolti come anche Eric Gales che per me è un figo pazzesco: loro sono veramente quelli che mi fanno ancora oggi emozionare musicalmente. Mai dire mai!”
Ogni giorno vedo che le tue collaborazioni in veste di produttore e arrangiatore/compositore con band conosciute e meno conosciute aumenta sempre più in modo esponenziale: quali, tra le giovani band con cui hai avuto modo di lavorare, ti hanno colpito maggiormente? Su quali di queste punteresti nel prossimo futuro?
(Alessandro Del Vecchio): “Urca! Fammi un secondo pensare perché molte delle band nuove sono un po come dei figli per me, ovviamente spero che il mio lavoro con loro sia la base del loro successo. Una band che sicuramente mi ha sconvolto sono stati gli State Of Salazar: io e Marcus Nygren, il cantante, avevamo collaborato con diversi artisti e sono sempre rimasto colpito dal suo modo di cantare. Mi erano sempre piaciuti, avevo anche il loro ep di debutto ma non mi aspettavo questa crescita fantastica così come altre band svedesi: loro sono un po diversi perché rispetto a band come i Crazy Lixx, Crash Diet o gli stessi Eclipse sono un po musicisti d’altri tempi, poco rockstar, e mi hanno veramente sconvolto. Loro mi hanno dimostrato di essere dei veri produttori di se stessi: il lavoro è stato quello di creare dei suoni adatti e creare una personalità che loro hanno saputo evolvere in modo pazzesco.”
Se non erro (correggimi se sbaglio) sei cresciuto in una famiglia in cui la passione per la buona musica è da sempre condivisa, a partire da tuo papà Tony a tuo fratello Rossano: quanto secondo te è stato fondamentale e decisivo questo amore comune per la musica per la tua crescita artistica fino ad arrivare ad oggi?
(Alessandro Del Vecchio): “Tutto ciò è stato fondamentale e decisivo e sarebbe impensabile essere arrivato dove sono senza il supporto dei miei genitori: il mio primo gruppo l’ho avuto a quattordici anni e li ho fatti abbastanza impazzire con le prove. A livello di supporto mi hanno sempre sostenuto, sia a me che a mio fratello Rossano con il quale sono stato sempre partner in crime: purtroppo non abbiamo fatto tanto assieme musicalmente ma siamo veramente legatissimi, essendoci auto alimentati sulla crescita e nell’ascolto musicale, aiutandoci a vicenda! Ovviamente con un papà che ti fa ascoltare i The Beatles e Jimi Hendrix da quando eri piccolo è tutto abbastanza naturale: a cinque anni il mio disco preferito era “Selling The England By The Pound” dei Genesis. In realtà è stato tutto molto naturale perché quello che ascoltava lui io ancora oggi la reputo pazzesco: è stata una vera e propria infusione religiosa! La cosa incredibile di mio padre Tony è che oggi lui si ascolta roba che ascoltavamo io e mio fratello all’epoca: gli spio sempre il suo Spotify e vedo le discografie che sta approfondendo. Se ci sono tre persone che spero di aver reso felice nella mia vita sono mia madre, mio padre Tony e mio fratello Rossano! Mia madre di origine campana ha sempre cantato, pur non ascoltando il mio genere, e per me è sempre fondamentale ascoltando costantemente musica a casa tutto il giorno!”
Domanda ironica e divertente (almeno spero): cosa pensa di fare Alessandro Del Vecchio nella vita adulta? Come ci si rivede da grande e cosa gli piacerebbe fare?
(Alessandro Del Vecchio): “Quando diventerò grande per davvero spero di andare in pensione e godermi la vita in una casa sopra l’oceano su una scogliera: scherzo. In realtà penso che tutti i musicisti rimangano un po bambini perché legati a un sogno: dall’arte alla musica allo sport, quando riesci a fare un lavoro che ti rappresenta veramente è come se continuassi sempre a giocare. Quella sorta di audacia e incoscienza da sognatore che hanno i bambini: un po il bello di noi musicisti è questo, anche se io sono un po a metà essendo un toro con i piedi nel cemento ben piantato. Spero nella mia vita di aver fatto del bene con tutte le persone con cui ho collaborato nelle vesti di musicista, collaboratore, produttore e spero di poter fare questo anche da grande (ride)! Oggi guardavo Mike Reno che suona da una vita e ieri abbiamo fatto un party con Dan McCafferty, storica voce dei Nazareth, che non può più andare in tour perché ha un problema vocale che non gli permette di sforzarsi: quando vedi uno così che potrebbe tranquillamente stato a casa e ti suona “Love Hurts” ti fa capire che per loro la musica è talmente importante che non saprebbero come esprimersi in altro modo, esattamente come James Brown. Io spero fortemente di poter fare così fino all’ultimo giorno della mia vita, perché la mia vera natura è che non riesco ad immaginarmi di essere altro: sicuramente sperare di fare sempre meglio e con risultati sempre più alti!”
Prima di concludere vorrei una tua opinione personale sulla scena musicale rock/metal italiana: cosa manca secondo te (se manca) per essere a livello di scena musicale come in realtà come la Svezia o la Gemrania per non citare altre realtà anglofone? Dipende dal pubblico, dai locali, dai promoter o dalla qualità e numero delle band in circolazione?
(Alessandro Del Vecchio): “da dove partiamo (ride)? A me piace essere positivo e vedere tutto quello che c’è di buono, e non è poco, nel nostro paese: in Italia abbiamo band fotoniche e musicisti e cantanti/autori veramente super, a riprova del fatto che ci sono artisti che fuori dal nostro paese hanno fatto tanto. Purtroppo la nostra realtà non è attualmente pronta a recepire questo genere musicale: il mio primo shock ricordo fu quando vini il ‘Monster Of Rock’ nel 1992 in televisione su Video Music. Se tu pensi che all’epoca Maiden, Black Sabbath con Dio, Pantera, Warrant erano in televisione ti rendi conto che questo ci dice tanto di quello avremmo potuto essere questo ci dice tanto: ma purtroppo non avevamo la cultura, le infrastrutture e a volta anche i testi non anglofoni o comunque poco curati. Negli anni ’90 e duemila abbiamo avuto band come Lacuna Coil, Rhapsody che sono osannate in tutto il mondo. Secondo me la colpa è un po di tutti e un po di nessuno: dipende sempre come gestisci la domanda e l’offerta. Sono quindici anni che lavoro più all’estero che in Italia e a volte mi chiedo come mai: il problema non è del nostro paese ma purtroppo è un dato di fatto che bisogna prendere come tale. Siamo un paese in cui la musica dal vivo è quasi sparita e il pubblico è abbastanza impigrito, mentre le cover band quelle esistono ovunque in tutti gli altri stati: in realtà semplicemente abbiamo un rapporto domanda-offerta diversa e non abbiamo ingolosito il pubblico, facendo arrivare il nostro genere mainstream. In un evento negli Stati Uniti vengo riconosciuto mentre qui in Italia non ti riconosce nessuno o quasi: ma oramai sono così tanti i fattori che non mi pongo più il problema. A me non cambia niente se suono davanti a migliaia di persone o davanti a cinquanta persone a Somma Lombarda, anzi in quest’ultimo contesto darei ancor di più! Bisogna prendere quello che di positivo ci sta nel nostro conteso e da li provare a costruire: a quando mi chiedono perché non provo a portare in Italia il ‘Rock Meets Classic’ mi viene da sorridere perché già è difficile organizzare un evento come il Frontiers Rock Festival figurati a portare una kermesse come questa qui che stiamo facendo in Germania, proprio perché c’è una differenza abissale di partecipazione tra i due contesti. Il pubblico AOR penso saranno esagerando quattrocento persone in Italia che si spostano ovunque: noi siamo poco abituati a spostarsi e a viaggiare a differenza dei tedeschi, avendo anche una cultura dei festival un po retrograda a partire dalle infrastrutture e a livello logistico e di burocrazia che non aiuta di certo. Io sono veramente fiero della scena italiana attuale, a prescindere dalle band più note che in tempi non sospetti hanno sfidato tutti gli stereotipi possibili e hanno avuto un successo meritato all’estero: in realtà oggi la scena che abbiamo è in un piccolo stato di grazia e si sta alzando il livello di qualità delle proposte e di alzare gli standard. Era impensabile che un’etichetta italiana come la Frontiers sarebbe riuscita a diventare tra le più importanti al mondo; idem per band come i Lacuna Coil che hanno firmato per Century Media: questo ha stimolato tutti noi musicisti a fare sempre di più. Se pensi a gente come Fabrizio Grossi che hanno fatto cose incredibili, all’estero ci reputano dei fighi mentre noi ci vediamo peggio di quello che siamo: l’altro giorno parlavo con un amico degli IceFish, una band stratosferica! Una cosa che ho notato lavorando e vivendo negli Stati Uniti è che a noi manca una cosa ovvero l’intraprendenza: abbiamo perso questa mentalità che ci ha reso grandi con i Romani e che abbiamo perso nel corso degli anni. Noi abbiamo insegnato tutto al mondo essendo stati dei visionari e intraprendenti, prendi ad esempio Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Oggi purtroppo in un paese dove non c’è crescita, dove manca proprio l’hummus culturale di base, è difficile avere stimoli che ci rendano positivi e vincenti, dando valore alla nostra intelligenza e creatività! Secondo me tutto sta nel fatto di riuscire a filtrare l’ambiente in cui vivi. Faccio l’esempio di Frontiers: il 110 % delle volte devi arrivare con la bravura e intraprendenza a battere la concorrenza. Oggi di musicisti incredibili ce ne sono infiniti ovunque ma a volte noi pensiamo di non farcela e di non essere al loro livello: secondo me questo è anche un problema di autostima. Pensa a figure intraprendenti come Adriano Olivetti, un autentico luminare e innovatore, nell’Italia del secondo dopoguerra, addirittura ci metto anche Berlusconi, che poi possono piacere o meno, ma hanno certamente avuto una mentalità positiva e innovativa per l’epoca in cui vivevano. Adesso stiamo conversando con uno strumento che deriva dalle invenzioni di Olivetti se ci pensi: in realtà viviamo in un contesto un po mediocre in cui la mediocrità viene esaltata a discapito della meritocrazia. Il problema però è andare contro a questi stereotipi, contro chi pensa che chi riesce a farcela lo deve solo alla fortuna o alle raccomandazioni: pensa agli IceFish, Virgil Donati poteva prendere ovunque tre musicisti talentuosi e li ha scelti proprio da noi! Pensa che molti dicono che Frontiers costringe i musicisti a lavorare con me: io vengo sempre presentato con del materiale assieme ad altri produttori e poi sono loro a scegliere quali preferiscono, come successo ad esempio con Jeff Pilson (storico bassista dei Dokken e dei Foreigner – n. d. r.). Bisogna veramente credere in se stessi con un’attitudine positiva, in tutti i campi: dovremmo semplicemente ricordarcelo tutti i giorni e sfidare un po il destino!”
Penultima domanda: a quali progetti in particolare ti stai dedicando in questi ultimi mesi? Un tuo album solista in arrivo?
(Alessandro Del Vecchio): “Eh per quanto riguarda un album solista ti confesso che non sono ancora abituato a vedere il mio nome da solo senza una band dietro: anche queste date soliste che attualmente ho in programma mi fanno venire un po di ansia, ma semplicemente perché sono più abituato ad avere un gruppo alle spalle. Se proprio dovessi fare un disco solista in futuro, di cui al momento non ne sento l’esigenza, penso sarebbe un disco blues! Attualmente mi sto dedicando ad i dischi di cui ti parlavo prima: Jorn, Edge Of Forever e Hardline, questi ultimi due in particolare hanno una priorità importante sia a livello lavorativo che di soddisfazione personale. Questi attualmente i miei piani futuri!”
Siamo giunti all’epilogo di questa intervista Maestro, grazie ancora per averci dedicato parte del tuo prezioso tempo: quale consiglio daresti a tutti i giovani musicisti che si apprestano ad iniziare una lunga e difficile gavetta nel mondo del melodic rock/metal nel nostro paese?
(Alessandro Del Vecchio): “Allora, essere preparati musicalmente è sottinteso, ma questo non vuol dire sempre essere dei bravi musicisti secondo me: vuol dire essere pronti e di vedute aperte, prendersi sul serio ma non troppo (dobbiamo ricordarci sempre perché abbiamo iniziato a fare musica) e soprattutto secondo me è fondamentale l’attitudine perché puoi essere bravissimo ma senza di quella non vai da nessuna parte! Ho visto di recente un documentario sui session man in cui si afferma che in realtà tu con i musicisti non condividi solo lavoro e musica, bensì la vita, stando a contatto ventiquattro ore al giorno: io ho sempre anteposto l’esperienza positiva di lavorare con me a quella solo prettamente musicale, non perché essa non sia importante e fondamentale, intendiamoci, ma perché ad alti livelli è dato per scontato che tu sia musicalmente valido! Lo Steve Lukather di turno o il Doug Aldrich non si preoccupano se tu sei bravo o meno, è già dato per assodato quello, mentre a loro interessa più avere una persona che abbia un’empatia con loro e contribuisca al benessere generale del loro progetto: è fondamentale essere veri ed essere delle brave persone, questo conta molto, essere una persona piacevole con cui avere a che fare, lasciando sempre un bel ricordo!
Un ultima domanda prima di concludere: vuoi lasciare un messaggio in particolare a tutti i lettori di VeroRock.it?
(Alessandro Del Vecchio): “Salve ragazzi, ringrazio tutti voi di VeroRock.it e tutta la redazione! Grazie per tutto il supporto, la stima e gli anni dedicati alla musica: so che voi, come molti altri vostri colleghi, dedicate da tanti anni tutto il vostro tempo libero a divulgare la musica e senza il vostro supporto e la vostra vicinanza, noi artisti non potremmo toccare tante persone! Personalmente vi ringrazio per il supporto perché voi fate da ponte tra noi musicisti e il pubblico: senza il vostro contributo per noi sarebbe tutta un’altra storia!”